(Upotreba čoveka, 1976)
di Aleksandar Tišma
traduzione italiana di Lionello Costantini
Jaca Book, 1986
pp. 326
€ 16.53
La letteratura sulla tragedia dell'Olocausto è decisamente ricca, ed è difficile orientarsi in questa selva di voci potenti quanto desiderose di raccontare. La prosa di Tišma, in questo contesto, si pone certamente come un caso singolare, animato dall'esigenza del ricordo quanto dalla volontà di non rinchiudere la vena poetica entro i confini angusti della denuncia e della commemorazione. L'effetto è un romanzo monumentale, il più famoso dello scrittore serbo, ritradotto quest'anno negli Stati Uniti e forse rappresentativo di un'intera tradizione letteraria, quella della Jugoslavia novecentesca.
La storia dei protagonisti, raccontata con scelte narrative che privilegiano la dimensione epica del racconto e pongono il lettore a stretto contatto con la realtà balcanica di primo Novecento, viene sviluppata sullo sfondo di una silenziosa riflessione sul senso della vita umana e sul valore dell'esistenza: lo stile di Tišma è lirico, dominato da una sensibilità che ricorda le composizioni di alcuni suoi compatrioti, e in particolare i magnifici racconti del più giovane Danilo Kiš. Al centro della visione dell'autore si trova un disilluso pessimismo, perfettamente sintetizzato da una sua celebre affermazione:
"Non sento affatto il bisogno di scrivere storie di vincitori. Penso che ogni vittoria sia falsa. Vera è solo la sconfitta, perché la vita è in definitiva sempre una sconfitta, a meno che non sia, dal principio alla fine, un'illusione. E le illusioni non mi attirano"