Una
donna
di Sibilla Aleramo
Milano, Feltrinelli, 1906
Qualcosa in me si agitava di nuovo e di inesprimibile. Una commozione sorda, senza cagione fissa, mi teneva di continuo. Un bisogno di dolcezza, di tenerezza; una brama indistinta di poesia, di colori, di suoni, un languore per cui il mio essere veniva a momenti rapito nel sogno di estasi ignote…Quando mi scotevo, non riuscivo a riguardar intera la realtà.[1]
Una donna di
Sibilla Aleramo esce nel 1906. Si tratta più che di un’autobiografia di
un’esperienza di sé tradotta in scrittura. Il romanzo ha una struttura
tripartita: nella prima parte, la scrittrice narra la propria memoria
d’infanzia e la sua prima giovinezza; nella seconda, dal racconto emerge la
consapevolezza “del venire al mondo della donna”, e nell’ultima parte la
scrittrice descrive la sofferta separazione dal proprio nucleo familiare e
l’inizio di una nuova fase che reca la storia dell’anima dell’autrice. A
partire dalla biografia intellettuale e dalla città natale dell’autrice,
Alessandria, la vicenda ha inizio nel 1876.
La famiglia medio borghese della protagonista di Una donna ha nella figura del padre il
riferimento più importante per la ragazza, un modello esemplare e con cui lei
stabilisce una relazione magistrale accompagnata da una vera e propria
idealizzazione. La madre, seppur acculturata, è invece una figura più defilata e si dimostra
succube del marito. Socio in un’impresa industriale il marito ottiene una
proposta di avanzamento in carriera a Civitanove Marche, dove si trasferisce
anche la figlia.
La ragazza, entusiasta di aver avuto dal padre un incarico
importante in fabbrica, si trova però ben presto a vivere in una città di
provincia, in un paesaggio totalmente nuovo. L’uomo non ha un buon rapporto con
il resto della cittadinanza e tra i dipendenti, Sibilla incontrerà un giovane
che di lì a poco sarebbe diventato suo marito. Il matrimonio a cui arriva la protagonista è segnato da una precoce e inattesa violenza. Nonostante le
perplessità paterne, la ragazza decide di sposarsi.
Ben presto le differenze culturali tra i due iniziano a
pesare fortemente sul matrimonio. Anche la nascita felice di un figlio non riesce ad
abbattere i confini relazionali, sociali e culturali tra i due coniugi. La donna
nonostante la “schiavizzazione e le umiliazioni che è costretta a subire dal
marito, riesce a trovare spazio per una propria crescita professionale e a Roma,
approfittando di un periodo di
lontananza dal marito, inizia a collaborare a qualche rivista entrando in
contatto con ambienti che la stimolano sul piano letterario e culturale.
Nel frattempo la protagonista scopre le continue infedeltà del
padre e inizia un processo di deroicizzazione del mito paterno che viene
infranto: si assiste ad una progressiva metamorfosi e la ragazza perde il punto di forza in cui
credeva fortemente: il padre passa dall’essere un oggetto d’amore, a oggetto
d’orrore.
La donna sente
tutta l’infelicità che ha accompagnato l’esistenza della madre. Decide quindi
di compiere una scelta drastica e assolutamente non permessa a quel tempo: abbandonerà
la famiglia lottando tenacemente per vedersi riconoscere i diritti fondamentali
per ogni madre. La tutela genitoriale però le verrà brutalmente negata.
Il libro diventa un caso letterario e sono gli stessi
scrittori a lei contemporanei, a non condividere le scelte di Sibilla. Qual è
il significato di “dovere” per una madre?
Il libro è un’occasione per entrare nel mondo dell’emancipazione
femminile. Una donna diventa un’opera di verità, di cultura del
materno osservata in un’ottica garantista, di una letteratura sociale e ideologica all’interno di una voluta
battaglia rivoluzionaria. Elsa Morante ricevendo una lettera da Sibilla Aleramo,
intravede l’ansia profonda che pervade la scrittrice nel comunicare la propria
esperienza. Si tratta di un passaggio generazionale in cui emergono le
motivazioni della scrittrice enunciate come esigenza vitale nel trasmettere una
traccia significativa a partire dalla propria immagine di donna in lotta e in
movimento verso l’acquisizione dei diritti fondamentali. “Mi volgo indietro a
contemplare la mia storia con ammirazione e soddisfazione per quello che sono
riuscita a fare;” Orgoglio nella diversità di genere denunciate con forza, senza
nessun interlocutore.
Una donna come
tempo della scrittura dell’anima diviene un percorso di introspezione per
ricercare la radice del proprio sé. La parte finale possiamo interpretarla come
un giornale intimo in cui la scrittrice esplicita in modo diretto ciò che
prova, ciò che pensa e ciò che gli interessa fare.
Le ultime pagine
rappresentano una decisa volontà di riconoscimento, una scrittura osservata
come barometro dell’anima che reca in sé grumi di pensiero. Un romanzo in cui
finalmente l’autrice dà ascolto al proprio io, svelandosi attraverso una
scrittura che assume una veste salvifica di liberazione.