di Stefano Laffi
Feltrinelli, 2014
pp. 176
€ 14
“Giovani senza futuro”,
“giovani senza valori”, “giovani pieni di inventiva”, “giovani menefreghisti”:
si fa un gran parlare ultimamente di gioventù, spesso in maniera retorica e con
una acuta miopia al contesto storico; così non accade in La congiura contro i giovani, saggio
militante sulla situazione odierna degli under 30. Ho usato il termine
“militante” perché – oltre ad una forte prospettiva di critica sociale – la
spinta principale che muove la penna dell’autore, come denuncia lui stesso, è
viscerale e non semplicemente informativa: «... ho sentito l’urgenza di
svelarlo, di descriverlo a tutti nei dettagli, certo di averlo visto ma con il
dubbio che la complicità degli adulti mi avrebbe dissuaso dal crederci» (p.7).
Ciò di cui parla Stefano Laffi, ricercatore sociale attivo in diverse riviste,
è l’incubo che circonda tutti noi: una distopia consumistica e «adulto-centrica»
accettata con superficialità. La vera forza di quest’opera è l’unione tra
biografia, teoria e ricerca sul campo, proprio come in quel genere che
Berardinelli teorizza da qualche tempo. Il saggio perciò ha un passo vario che
può rallentare fino a soffermarsi su un’argomentazione precisa per poi
accelerare nell’invettiva o nel ricordo.
L’autore prende avvio dalla
nascita di una nuova persona, momento in cui tutto è precisamente parametrato e
la casualità naturale ha ben poco asilo. La competizione è immediata, la norma
marcherà stretto il bambino per moltissimo tempo e lui potrà scegliere tra il
narcisismo e l’inadeguatezza, ma difficilmente per la spontanea espressione di sé
stesso. Al contempo i genitori, così accurati nel controllo, mancheranno di
relazioni pazienti e accurate a causa di tempi di lavoro asfissianti (e
guadagni sempre più bassi). Tra le caratteristiche dello stile fluido che
caratterizza il testo c’è il frequente uso di domande retoriche come questa:
«qual è stata
la semina degli ultimi anni, di cosa abbiamo riempito il mondo, a cosa ci
dedichiamo di più? La risposta non è né bambini né piante, qualunque adulto da
questa parte del mondo sa bene che deve dedicare assai più tempo ad altro, che
a fine giornata avrà toccato il volante, il mouse o il cacciavite assai più di
qualunque forma di vita, che i segreti del proprio lavoro o le offerte del
discount gli sono più noti di quello che passa per la testa di suo figlio in
questo momento.» (p. 19)
Gli oggetti, secondo Laffi,
sono i veri dominatori della nostra vita, come in una grande Matrix: lavoriamo
per loro, gli dedichiamo tutte le nostre migliori energie, studiamo come
renderli desiderabili al di là di ogni etica e loro ci chiedono anche il nostro
tempo (per guadagnare denaro e acquistarli, e per la loro quotidiana
manutenzione). Molto interessante, da questo punto di vista, il racconto
sull’incontro tra esperti di marketing infantile: omologati uomini-azienda che
ipotecano la fantasia e il tempo dei più piccoli per puro guadagno («E così, se
sommi il tempo di esposizione ai messaggi e lo confronti con il tempo di
dialogo in famiglia, ti rendi conto di chi parla davvero ai tuoi figli» p. 60).
E se il mercato è la causa della distopia contemporanea, proprio il marketing è
il suo mezzo di controllo:
«Il marketing
mi è entrato in casa, mi ha pedinato, mi ha guardato nella pattumiera, ha
tracciato i miei comportamenti, ha scritto fra virgolette chiamandolo insight cosa penso fra me e me, e sa
cosa farò stasera o domani. Resto impressionato, e mi viene in mente che i sondaggi
e i focus group sono come una polizia segreta al soldo del regime di mercato.»
(p. 53)
La critica sociale di cui si
fa portatore La congiura contro i giovani
ha un ampio raggio d’azione, riuscendo a toccare anche esperienze minime e
dettagli che acquistano un’ombra nuova. Vale la pena soffermarsi sugli aspetti
più affini alla letteratura: la lingua, la lettura e le narrazioni. La prima ha
uno stretto legame con il potere (come già affermava Barthes), che si va
rafforzando in un contesto in cui la relazione diretta con l’adulto è spesso
problematica e filtrata da controllo, aspettative e lontananza:
«Di certo si
indebolisce il rapporto con la parola scritta, l’idea di una mediazione
riflessiva come premessa all’agire, la scrittura come luogo in cui fare ordine
delle cose e dare loro un senso, perché il consumo non ammette pause e
riflessione, lasciando il primato all’azione e all’istinto.
L’azione in
questione è però sempre sull’oggetto, non il gesto per gli altri e con gli
altri, le merci pur essendo altro da te fingono di aderirti, ti addestrano al
narcisismo, cioè a godere, non a conoscere.» (p.39)
A questo si aggiunge l’annichilimento nel comfort di quella avventura che è la
scoperta del mondo adulto fatto ormai di routine grigie e prive di eventi
significativi: la noia domina e di conseguenza le letture più accattivanti
diventano il fantasy, l’horror o il poliziesco. Una gioventù “espropriata
dell’esperienza” parte di un’umanità che ha perso il senso di rivolta (nel
senso datogli da Camus):
«È la
mancanza di ribellione, della sua stessa possibilità prima ancora del suo
esercizio, che ci rende così disumani. Ed è la censura della natura
“relazionale e casuale” del corpo a favore di una logica di controllo e di
premeditazione del godimento a impedire di fatto l’accesso all’amore, alla
scoperta dell’altro e della sua irriducibilità a qualunque nostro disegno.» (p.
69)
In un contesto simile, il
romanzo di formazione è una mistificazione: senza autorità, senza un panorama
stabile da distruggere o conquistare, in concorrenza con tutti per ogni cosa,
l’unica “maturazione” possibile è fare proprio il cinismo mercantilista in cui
i valori sono il successo, il godimento e la visibilità, perché in questa
società vince il più spietato.
Si potrà essere d’accordo o
meno con il punto di vista di Stefano Laffi, ma certamente non gli si può non riconoscere
uno stile icastico ed esplicito, diretta conseguenza di un pensiero ben
delineato e interiorizzato. Una lettura che guarda negli occhi e pone problemi
e domande.