di Adele Marini
Fratelli Frilli Editore, 2013
Non-fictional novel. Così Adele Marini definisce A Milano si muore così, sua ultima fatica da qualche mese in libreria per i tipi di Fratelli Frilli. Non-fictional significa che quello che viene raccontato è in gran parte vero, forse inventato in alcuni dettagli, in sfumature che possono anche sfuggire al lettore. Ma Adele Marini non mente. E la differenza tra inventare e mentire, per quanto sottile, è significativa quando si parla di letteratura, di realismo, di una forma di scrittura a cavallo tra la fiction e la realtà. L'epoca in cui viviamo ha visto una sempre maggiore tendenza nel romanzo realista a eliminare la finzione, metterla in un angolo per concentrarsi sulla realtà; questa nuova forma di scrittura utilizza, però, gli strumenti della creazione letteraria per pulire la prosa dell'asetticità del saggio, per renderla più incisiva e accattivante, per guardare al mondo da una prospettiva diversa che induca il lettore a una nuova lettura della realtà che lo circonda.
Una serie di delitti efferati legati insieme da due elementi: l'assassino e l'arma. E una tecnica narrativa che intesse lentamente la trama del testo. Un intreccio di fili che il lettore ricollega insieme, che davanti ai suoi occhi confluiscono in un unico fluire. Questi sono gli ingredienti di A Milano si muore così. Un romanzo più difficile a scriversi che a leggersi.
Adele Marini riesce a sbrogliare una matassa complicata con singolare destrezza: personaggi ben costruiti, descrizioni puntuali e organizzazione del materiale narrativo perfetta. La storia è quella di un “macellaio”, nel senso di un crudele picciotto di una 'ndrina milanese, che è nato marchiato a vita. Un cane da guardia di un boss che a Milano sta organizzando una scissione dalle 'ndrine calabresi e che nel capoluogo lombardo, capitale del Nord e della legalità, ha ormai instaurato un sistema mafioso efficiente e, soprattutto, redditizio, infiltrato in ogni ambito della vita cittadina. Il picciotto è chiaramente l'assassino, un sicario nei confronti del quale il lettore arriva a provare anche pena: non ha avuto modo di scegliere, Nicola “U' Bucceri” (il macellaio, appunto), che ha visto il padre morire ammazzato, che non ha un cognome ed è schiavo del suo boss a cui deve la cosa più importante, la vita.
La sua controparte è Vincenzo Marino, commissario di polizia, napoletano. È lui che capisce, intuisce, un legame tra i delitti che stanno macchiando di sangue l'inverno milanese. Per questo, per una sorta di consapevolezza posseduta solo da chi certe cose le ha vissute praticamente sulla propria pelle, Marino richiama da Roma il commissario Leoni, collega-amante trasferitasi nella capitale per seguire la sua carriera.
Non c'è nulla che il lettore non sappia o non possa capire, neanche l'inquietante scoperta di una Società Segreta. Adele Marini mette tutte le carte sul tavolo: i sequestri, gli omicidi, i suicidi, l'organizzazione parallela. Ciò che tiene incollati alle pagine di A Milano si muore così non è il mistero, ma lo sgomento, una sensazione di disagio e di indignazione dati dalla prova schiacciante di un dubbio: la mafia al Nord. Perché la città in cui si aggirano boss e sicari non è Napoli, Palermo e neanche New York. È Milano, capitale morale di un Paese che la morale se l'è dimenticata, confinata nelle mani e nella testa di uomini lasciati soli, inermi, a combattere ad armi impari come dei moderni don Chisciotte contro dei giganti veri, in carne, ossa e Beretta. Con la differenza, però, che il Cavaliere dalla Triste Figura al suo fianco aveva Sancho, scudiero d'eccezionale saggezza.
Domanda: Adele, iniziamo da quell'etichetta non convenzionale di non-fictional novel che ti premuri di apporre al tuo testo. Di solito uno scrittore precisa l'esatto opposto, ovvero che tutto quello che viene narrato è frutto della sua fantasia e ogni riferimento alla realtà è da considerarsi casuale. Cosa significa per te?
Risposta: Significa che il mio romanzo si basa più o meno sulle stesse ricerche che si fanno per i saggi d’indagine. Ma ho cucito fra loro avvenimenti appartenenti alla realtà con il filo della fantasia. Questo, per superare tre scogli: 1. Veicolare informazioni precise al grande pubblico che a un saggio non si avvicinerebbe. 2. Evitare il rischio di querele che in Italia sono il grande ostacolo alla libertà di stampa, perché abbiamo una legge esageratamente restrittiva in materia. Una legge scritta e ripetutamente inasprita da parlamentari che sono anche avvocati difensori. 3. Sintetizzare e avvicinare nel tempo, attraverso una trama che ha un inizio e una fine, eventi frantumati in una miriade di episodi, oggetto di indagini a loro volta frantumate perché effettuate da corpi investigativi diversi per conto di varie procure, quindi diluite esageratamente nel tempo. Con questo, non dico che travesto la realtà, ma che inserisco storie, situazioni, episodi e temi del mondo reale in una trama, in modo da offrire due piani di lettura: quello dell’intrattenimento e quello dell’informazione. Detto questo, anch’io appongo sempre la dicitura: “opera di fantasia , ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale”. Perché tutti i miei personaggi sono immaginari anche se si muovono dentro contesti reali
D: Sostenere che A Milano si muore così, insieme ad esempio a Gomorra e a Romanzo criminale, concorre a delineare una forma letteraria nuova è azzardato?
R: Il nonfiction novel è un genere letterario nato molti anni fa nei paesi anglosassoni. Cito American Tabloid e Sei pezzi da mille, di James Ellroy e quasi tutti i libri di Grisham, giusto per fare pochi esempi. Da noi lo si è scoperto da poco e lo si pratica soprattutto dopo le ultime modifiche restrittive apportate alla legge sulla stampa. Però piace al pubblico e pare che si stia facendo spazio sugli scaffali delle libreria con una certa vivacità. E’ giusto citare Romanzo Criminale di De Cataldo e Gomorra di Saviano che sono gli esempi più famosi, ma ci sono anche opere di autori poco conosciuti. L’editore Chiarelettere, specializzato in saggi d’indagine, ha iniziato da pochissimo una nuova collana intitolata “Narrazioni” dedicata proprio ai nonfiction, chiamati anche romanzi d’indagine o romanzi dossier.
D: Leggendo il tuo libro il lettore non può che ricordare le parole dell'attuale Governatore della Lombardia Maroni che qualche anno fa giurava e spergiurava che la mafia a Milano non esistesse. Da qualche anno, però, si è iniziato a parlarne. Eppure si ha la sensazione che questo rimanga un tabù, non solo per una classe politica evidentemente inetta, ma anche per molti comuni cittadini. Si sa che c'è, ma se ne parla poco. Cosa ne pensi?
R: Penso che la mafia, soprattutto la ‘ndrangheta, non sia percepita come problema perché conviene a troppi. Con la mafia si ottengono voti e poi, per ricambiare il favore dei boss, si aprono cantieri per opere inutili, spesso dannose, costosissime (tipo le rotonde che in periodo elettorale spuntano come funghi), che però danno lavoro. Con la mafia si fanno affari, si ottengono soldi in prestito senza garanzie e in pochissimo tempo, salvo poi venire fagocitati perché le rate e gli interessi sono quasi sempre impossibili da saldare. Con la mafia certi locali pubblici fanno soldi con le slot. Con la mafia si fanno scommesse clandestine su tutto: dal calcio ai combattimenti dei cani. E potrei continuare.
Purtroppo gli italiani hanno l’abitudine inveterata di vivere solo nel presente, di pensare al ‘tutto e subito’ e pochi si preoccupano del fatto che questo Paese stia andando alla malora perché i soldi che la mafia incamera illecitamente dal pubblico e dal privato poi devono essere ripagati dai cittadini con le tasse o con l’aumento spropositato dei prezzi. Senza contare che l’imprenditoria mafiosa esercita una concorrenza sleale e allontana gli investimenti stranieri.
D: Vincenzo Marino incontra diverse difficoltà sulla sua strada: un commissariato poco amichevole, un magistrato che pare addormentato, un PM (Pubblico Ministero, ndr) della Dda (Direzione Distrettuale Antimafia, ndr) ambizioso eccetera. Una situazione ben diversa dai divertenti commissariati del noir degli ultimi anni, dove tutti, o quasi, sembrano andare d'accordo (viene da pensare a Montalbano o a Maigret). Come a dire: la realtà è ben diversa dalla finzione. O no?
R: Mah, la realtà è realtà. Con tutte le difficoltà e gli scontri che si ritrovano nel quotidiano. I miei personaggi sono costruiti proprio per mostrare il backstage delle indagini e della macchina della giustizia: successi e tonfi, zone luminose e zone in ombra che impediscono che si arrivi alla verità giudiziaria in tempi ragionevoli. Questo accade perché ci sono troppi corpi d’indagine che spesso si intralciano, troppe frammentazioni, troppi gradi di giudizio. Tutto questo, unito alle attribuzioni di competenza alle procure, rende quasi impossibile l’accertamento dei fatti anche quando sembrerebbero palesi.
D: I personaggi, le situazioni, i casi. Cosa c'è di vero e cosa c'è di finto nel tuo romanzo?
R: Molti elementi, anzi, direi la maggior parte, appartengono alla realtà e sono facilmente riconoscibili (gli ‘orti’, l’escamotage dei subappalti per aggirare l’obbligo di presentazione del certificato antimafia, i voti di scambio, il riciclaggio attraverso attività commerciali gestite da cinesi, i bambini ammazzati dalle mafie, la modalità della custodia degli ostaggi durante i sequestri degli anni ‘80 ecc. ). Altri lo sono solo parzialmente ma chi segue la cronaca è in grado di separare la realtà dalla fantasia. I personaggi sono invece inventati anche se sono costruito in modo da essere funzionali agli argomenti. Marino e Leoni sono seriali.
D: Pur essendo non-fictional, A Milano si muore così ha una precisa struttura narrativa. Diversi fili che si intrecciano, due personaggi (il commissario Marino e Nicola) che hanno la funzione di fare da collante tra di loro, e un lungo capitolo finale (il pentimento di Garrusio) che riconduce tutto ad un'unica, complessa, trama. Ecco, perché non dargli l'aspetto di un vero e proprio saggio? Credi che utilizzare strategie narrative proprie alla letteratura sia più efficace, più incisivo?
R: Sì, lo credo. E’ per questo che dedico tanto tempo alle ricerche. I saggi vengono acquistati e letti soprattutto da specialisti e da appassionati che per lo più sono già informati sugli argomenti trattati. La fiction rende godibili e quindi più appetibili dal grande pubblico, verità scomode e complicate. Il mio è un altro modo di fare divulgazione in un Paese come il nostro, dove chi legge più di tre libri all’anno è considerato un forte lettore.
D: Chiudiamo con una domanda d'attualità, che però sorge spontanea leggendo il tuo romanzo. Qual è, secondo te, lo stato di salute dell'antimafia nel Nord Italia, a Milano in particolare?
R: Si fanno grandi sforzi. I magistrati rischiano la vita, perché al Nord si rischia la vita come al Sud! I politici fanno promesse, ma poi arrivano le elezioni e i voti gestiti dalle cosche fanno gola.
Direi che a Milano, rispetto alle passate amministrazioni che giuravano di non sapere cosa fosse la criminalità organizzata, qualche passo in avanti si è fatto. Il problema però è profondo come l’oceano perché negli anni del silenzio e della trattativa le mafie, soprattutto la ‘ndrangheta, ovvero la mafia dei traffici criminosi (droga, rifiuti tossici e non, usura, gioco d’azzardo, slot ecc.) della finanza illegale e degli affari illeciti (appalti pubblici e privati, commesse ecc.), si sono radicate profondamente al Nord infiltrando ogni settore dell’imprenditoria e della finanza.
Non resta che concludere dicendo che A Milano si muore così è un romanzo un po' al di fuori degli schemi nel panorama del noir italiano. Rappresenta, probabilmente, quella frontiera in grado di aprire gli occhi al lettore, di spiegare con parole semplici e uno schema riconoscibile problemi complessi, la cui soluzione non sembra essere alla portata. La letteratura, in questo caso, irrompe nella vita reale, non evade da essa, ma ne diviene strumento d'esegesi fondamentale. Con A Milano si muore così Adele Marini non ha semplicemente dato prova di essere un romanziere di qualità, ma ha contribuito a rendere ciascuno dei suoi lettori più consapevole del mondo che lo circonda. Raramente, negli ultimi anni, questioni etiche ed estetiche sono andate così d'accordo.
Non-fictional novel. Così Adele Marini definisce A Milano si muore così, sua ultima fatica da qualche mese in libreria per i tipi di Fratelli Frilli. Non-fictional significa che quello che viene raccontato è in gran parte vero, forse inventato in alcuni dettagli, in sfumature che possono anche sfuggire al lettore. Ma Adele Marini non mente. E la differenza tra inventare e mentire, per quanto sottile, è significativa quando si parla di letteratura, di realismo, di una forma di scrittura a cavallo tra la fiction e la realtà. L'epoca in cui viviamo ha visto una sempre maggiore tendenza nel romanzo realista a eliminare la finzione, metterla in un angolo per concentrarsi sulla realtà; questa nuova forma di scrittura utilizza, però, gli strumenti della creazione letteraria per pulire la prosa dell'asetticità del saggio, per renderla più incisiva e accattivante, per guardare al mondo da una prospettiva diversa che induca il lettore a una nuova lettura della realtà che lo circonda.
Una serie di delitti efferati legati insieme da due elementi: l'assassino e l'arma. E una tecnica narrativa che intesse lentamente la trama del testo. Un intreccio di fili che il lettore ricollega insieme, che davanti ai suoi occhi confluiscono in un unico fluire. Questi sono gli ingredienti di A Milano si muore così. Un romanzo più difficile a scriversi che a leggersi.
Adele Marini riesce a sbrogliare una matassa complicata con singolare destrezza: personaggi ben costruiti, descrizioni puntuali e organizzazione del materiale narrativo perfetta. La storia è quella di un “macellaio”, nel senso di un crudele picciotto di una 'ndrina milanese, che è nato marchiato a vita. Un cane da guardia di un boss che a Milano sta organizzando una scissione dalle 'ndrine calabresi e che nel capoluogo lombardo, capitale del Nord e della legalità, ha ormai instaurato un sistema mafioso efficiente e, soprattutto, redditizio, infiltrato in ogni ambito della vita cittadina. Il picciotto è chiaramente l'assassino, un sicario nei confronti del quale il lettore arriva a provare anche pena: non ha avuto modo di scegliere, Nicola “U' Bucceri” (il macellaio, appunto), che ha visto il padre morire ammazzato, che non ha un cognome ed è schiavo del suo boss a cui deve la cosa più importante, la vita.
La sua controparte è Vincenzo Marino, commissario di polizia, napoletano. È lui che capisce, intuisce, un legame tra i delitti che stanno macchiando di sangue l'inverno milanese. Per questo, per una sorta di consapevolezza posseduta solo da chi certe cose le ha vissute praticamente sulla propria pelle, Marino richiama da Roma il commissario Leoni, collega-amante trasferitasi nella capitale per seguire la sua carriera.
Non c'è nulla che il lettore non sappia o non possa capire, neanche l'inquietante scoperta di una Società Segreta. Adele Marini mette tutte le carte sul tavolo: i sequestri, gli omicidi, i suicidi, l'organizzazione parallela. Ciò che tiene incollati alle pagine di A Milano si muore così non è il mistero, ma lo sgomento, una sensazione di disagio e di indignazione dati dalla prova schiacciante di un dubbio: la mafia al Nord. Perché la città in cui si aggirano boss e sicari non è Napoli, Palermo e neanche New York. È Milano, capitale morale di un Paese che la morale se l'è dimenticata, confinata nelle mani e nella testa di uomini lasciati soli, inermi, a combattere ad armi impari come dei moderni don Chisciotte contro dei giganti veri, in carne, ossa e Beretta. Con la differenza, però, che il Cavaliere dalla Triste Figura al suo fianco aveva Sancho, scudiero d'eccezionale saggezza.
Domanda: Adele, iniziamo da quell'etichetta non convenzionale di non-fictional novel che ti premuri di apporre al tuo testo. Di solito uno scrittore precisa l'esatto opposto, ovvero che tutto quello che viene narrato è frutto della sua fantasia e ogni riferimento alla realtà è da considerarsi casuale. Cosa significa per te?
Risposta: Significa che il mio romanzo si basa più o meno sulle stesse ricerche che si fanno per i saggi d’indagine. Ma ho cucito fra loro avvenimenti appartenenti alla realtà con il filo della fantasia. Questo, per superare tre scogli: 1. Veicolare informazioni precise al grande pubblico che a un saggio non si avvicinerebbe. 2. Evitare il rischio di querele che in Italia sono il grande ostacolo alla libertà di stampa, perché abbiamo una legge esageratamente restrittiva in materia. Una legge scritta e ripetutamente inasprita da parlamentari che sono anche avvocati difensori. 3. Sintetizzare e avvicinare nel tempo, attraverso una trama che ha un inizio e una fine, eventi frantumati in una miriade di episodi, oggetto di indagini a loro volta frantumate perché effettuate da corpi investigativi diversi per conto di varie procure, quindi diluite esageratamente nel tempo. Con questo, non dico che travesto la realtà, ma che inserisco storie, situazioni, episodi e temi del mondo reale in una trama, in modo da offrire due piani di lettura: quello dell’intrattenimento e quello dell’informazione. Detto questo, anch’io appongo sempre la dicitura: “opera di fantasia , ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale”. Perché tutti i miei personaggi sono immaginari anche se si muovono dentro contesti reali
D: Sostenere che A Milano si muore così, insieme ad esempio a Gomorra e a Romanzo criminale, concorre a delineare una forma letteraria nuova è azzardato?
R: Il nonfiction novel è un genere letterario nato molti anni fa nei paesi anglosassoni. Cito American Tabloid e Sei pezzi da mille, di James Ellroy e quasi tutti i libri di Grisham, giusto per fare pochi esempi. Da noi lo si è scoperto da poco e lo si pratica soprattutto dopo le ultime modifiche restrittive apportate alla legge sulla stampa. Però piace al pubblico e pare che si stia facendo spazio sugli scaffali delle libreria con una certa vivacità. E’ giusto citare Romanzo Criminale di De Cataldo e Gomorra di Saviano che sono gli esempi più famosi, ma ci sono anche opere di autori poco conosciuti. L’editore Chiarelettere, specializzato in saggi d’indagine, ha iniziato da pochissimo una nuova collana intitolata “Narrazioni” dedicata proprio ai nonfiction, chiamati anche romanzi d’indagine o romanzi dossier.
D: Leggendo il tuo libro il lettore non può che ricordare le parole dell'attuale Governatore della Lombardia Maroni che qualche anno fa giurava e spergiurava che la mafia a Milano non esistesse. Da qualche anno, però, si è iniziato a parlarne. Eppure si ha la sensazione che questo rimanga un tabù, non solo per una classe politica evidentemente inetta, ma anche per molti comuni cittadini. Si sa che c'è, ma se ne parla poco. Cosa ne pensi?
R: Penso che la mafia, soprattutto la ‘ndrangheta, non sia percepita come problema perché conviene a troppi. Con la mafia si ottengono voti e poi, per ricambiare il favore dei boss, si aprono cantieri per opere inutili, spesso dannose, costosissime (tipo le rotonde che in periodo elettorale spuntano come funghi), che però danno lavoro. Con la mafia si fanno affari, si ottengono soldi in prestito senza garanzie e in pochissimo tempo, salvo poi venire fagocitati perché le rate e gli interessi sono quasi sempre impossibili da saldare. Con la mafia certi locali pubblici fanno soldi con le slot. Con la mafia si fanno scommesse clandestine su tutto: dal calcio ai combattimenti dei cani. E potrei continuare.
Purtroppo gli italiani hanno l’abitudine inveterata di vivere solo nel presente, di pensare al ‘tutto e subito’ e pochi si preoccupano del fatto che questo Paese stia andando alla malora perché i soldi che la mafia incamera illecitamente dal pubblico e dal privato poi devono essere ripagati dai cittadini con le tasse o con l’aumento spropositato dei prezzi. Senza contare che l’imprenditoria mafiosa esercita una concorrenza sleale e allontana gli investimenti stranieri.
D: Vincenzo Marino incontra diverse difficoltà sulla sua strada: un commissariato poco amichevole, un magistrato che pare addormentato, un PM (Pubblico Ministero, ndr) della Dda (Direzione Distrettuale Antimafia, ndr) ambizioso eccetera. Una situazione ben diversa dai divertenti commissariati del noir degli ultimi anni, dove tutti, o quasi, sembrano andare d'accordo (viene da pensare a Montalbano o a Maigret). Come a dire: la realtà è ben diversa dalla finzione. O no?
R: Mah, la realtà è realtà. Con tutte le difficoltà e gli scontri che si ritrovano nel quotidiano. I miei personaggi sono costruiti proprio per mostrare il backstage delle indagini e della macchina della giustizia: successi e tonfi, zone luminose e zone in ombra che impediscono che si arrivi alla verità giudiziaria in tempi ragionevoli. Questo accade perché ci sono troppi corpi d’indagine che spesso si intralciano, troppe frammentazioni, troppi gradi di giudizio. Tutto questo, unito alle attribuzioni di competenza alle procure, rende quasi impossibile l’accertamento dei fatti anche quando sembrerebbero palesi.
D: I personaggi, le situazioni, i casi. Cosa c'è di vero e cosa c'è di finto nel tuo romanzo?
R: Molti elementi, anzi, direi la maggior parte, appartengono alla realtà e sono facilmente riconoscibili (gli ‘orti’, l’escamotage dei subappalti per aggirare l’obbligo di presentazione del certificato antimafia, i voti di scambio, il riciclaggio attraverso attività commerciali gestite da cinesi, i bambini ammazzati dalle mafie, la modalità della custodia degli ostaggi durante i sequestri degli anni ‘80 ecc. ). Altri lo sono solo parzialmente ma chi segue la cronaca è in grado di separare la realtà dalla fantasia. I personaggi sono invece inventati anche se sono costruito in modo da essere funzionali agli argomenti. Marino e Leoni sono seriali.
D: Pur essendo non-fictional, A Milano si muore così ha una precisa struttura narrativa. Diversi fili che si intrecciano, due personaggi (il commissario Marino e Nicola) che hanno la funzione di fare da collante tra di loro, e un lungo capitolo finale (il pentimento di Garrusio) che riconduce tutto ad un'unica, complessa, trama. Ecco, perché non dargli l'aspetto di un vero e proprio saggio? Credi che utilizzare strategie narrative proprie alla letteratura sia più efficace, più incisivo?
R: Sì, lo credo. E’ per questo che dedico tanto tempo alle ricerche. I saggi vengono acquistati e letti soprattutto da specialisti e da appassionati che per lo più sono già informati sugli argomenti trattati. La fiction rende godibili e quindi più appetibili dal grande pubblico, verità scomode e complicate. Il mio è un altro modo di fare divulgazione in un Paese come il nostro, dove chi legge più di tre libri all’anno è considerato un forte lettore.
D: Chiudiamo con una domanda d'attualità, che però sorge spontanea leggendo il tuo romanzo. Qual è, secondo te, lo stato di salute dell'antimafia nel Nord Italia, a Milano in particolare?
R: Si fanno grandi sforzi. I magistrati rischiano la vita, perché al Nord si rischia la vita come al Sud! I politici fanno promesse, ma poi arrivano le elezioni e i voti gestiti dalle cosche fanno gola.
Direi che a Milano, rispetto alle passate amministrazioni che giuravano di non sapere cosa fosse la criminalità organizzata, qualche passo in avanti si è fatto. Il problema però è profondo come l’oceano perché negli anni del silenzio e della trattativa le mafie, soprattutto la ‘ndrangheta, ovvero la mafia dei traffici criminosi (droga, rifiuti tossici e non, usura, gioco d’azzardo, slot ecc.) della finanza illegale e degli affari illeciti (appalti pubblici e privati, commesse ecc.), si sono radicate profondamente al Nord infiltrando ogni settore dell’imprenditoria e della finanza.
Non resta che concludere dicendo che A Milano si muore così è un romanzo un po' al di fuori degli schemi nel panorama del noir italiano. Rappresenta, probabilmente, quella frontiera in grado di aprire gli occhi al lettore, di spiegare con parole semplici e uno schema riconoscibile problemi complessi, la cui soluzione non sembra essere alla portata. La letteratura, in questo caso, irrompe nella vita reale, non evade da essa, ma ne diviene strumento d'esegesi fondamentale. Con A Milano si muore così Adele Marini non ha semplicemente dato prova di essere un romanziere di qualità, ma ha contribuito a rendere ciascuno dei suoi lettori più consapevole del mondo che lo circonda. Raramente, negli ultimi anni, questioni etiche ed estetiche sono andate così d'accordo.