Il romanziere: il medico dei casi disperati



Il mondo secondo Garp
(The world according to Garp)
di John Irving
BUR Rizzoli, 1999 (1978)

pp. 511




Stavolta non è facile. Sono letteralmente, o meglio letterariamente, colpito nel vivo. Mai avrei creduto che un personaggio potesse lambire il punto di maggiore sensibilità del sottoscritto caratterizzato dall’ammirazione inattaccabile per Barney Panofsky. Ebbene T.S. Garp è uno che merita di stare nell’Olimpo. Non ha scalzato dal trono sua maestà, ma siede al suo fianco.

Il Garp di John Irving percuote e assesta colpi. Questo è già di per sé un merito, perché la letteratura ha da essere un punto di vista un più, fornito a chi intende usufruirne, scomodo e scorrettissimo. Qui troverete centinaia di pagine senza che il pelo sia lisciato una sola volta dalla parte giusta. Andiamo con ordine.

Intanto cosa contiene questo libro? È la storia, ridotta all’osso, di uno scrittore. Ma si può scrivere di vari argomenti: poesie, saggi incomprensibili alla Cacciari, testi di giardinaggio e di cucina, e son quelli che oggi riempiono le classifiche ai primi posti. Garp si intestardisce su una particolare forma di scrittura: il romanzo. Questo me lo fa amare perché è davvero un genere occidentalissimo, anzi il prodotto principe della nostra cultura. E io sono un occidentale, con i difetti e la limitatezza che questa definizione porta, non sogno le steppe o le savane. Ammiro ma non aspiro a essere un lama tibetano e neanche lo volevo quando a forza di Bertolucci, Baggio e Richard Gere pareva dovessimo diventare tutti buddisti. Come arriva Garp al romanzo? Facciamo un passo indietro e fermiamoci alla figura di sua madre.
Jenny Fields è un’infermiera che rimane incinta del figlio all’epoca della seconda guerra mondiale senza maritarsi. Volutamente, per libera scelta. Solo lei sa quale “angelo” sia intervenuto, il resto del mondo ne è all’oscuro: si tratta di un mitragliere americano ferito in un combattimento aereo nei cieli d’Europa che prima di spirare, nel letto di un ospedale dove Jenny presta servizio, ha la fortuna di esaudire il suo ultimo, è proprio il caso di dire, desidero. Ovviamente la raffica della contraerea tedesca gli ha sbalenato il cervello per cui il tizio giace sulla lettiga senza capire cosa stia succedendo con quella infermiera. Egli ha la forza di emettere la sua ultima di… raffiche assieme a uno strano vagito fumettistico dalla bocca: Garp. Per Jenny, è il nome giusto per suo figlio.
Jenny, vista dagli altri come la donna che ha concepito senza essere inseminata, una sorta di Madonna laica e negletta che veste sempre il camice bianco d’ordinanza, ha il suo Gesù bambino da accudire. Uso questa metafora evangelica primo perché mi piace, secondo perché ci sta e non a caso la vita di Garp non andrà oltre i 33 anni. Poi quando ho letto il passaggio del libro di Jenny che si scopa il mitragliere mi è venuta in mente la canzone di Lucio Dalla… e quel giorno lui prese a mia madre sopra un bel prato l’ora più dolce prima di essere ammazzato. Anche se la situazione è esattamente l’opposto visto che è la donna, come descritto, a prendere l’uomo.
Sulle sue esperienze, compresa la scelta della gravidanza così originale, Jenny scriverà un libro in grado di proiettarla nel campo del femminismo di cui diventa leader indiscussa e idolatrata. Un saggio monumentale concepito a Vienna, dove si è trasferita con Garp adolescente, che esplode con la sua carica di radicalismo politico una volta che i due sono rientrati negli Stati Uniti. Nel frattempo la madre ha trasmesso il gene della scrittura all’erede, che proprio nella capitale austriaca elaborerà il suo primo racconto visionario. Quello che Garp preferirà per tutta la vita. Nel passaggio cromosomico-artistico, si verifica però una mutazione fondamentale.
Nel mondo secondo Jenny, infermiera, le persone si dividono in categorie precise a seconda della patologia o della ferita. Madonna Jenny tenta di salvare ognuno, a modo suo, senza distinzioni e con tantissimo impegno e abnegazione. Nel mondo secondo Garp, invece, siamo una cosa soltanto: casi disperati. Allora cosa deve fare uno scrittore? Innanzitutto ambire a una promozione professionale sul campo e la frase simbolo del capolavoro di Irving recita infatti: «Che cos’è un romanziere: un medico che cura solo casi disperati». Non uno scrittore qualsiasi bensì un romanziere. Che non è più un semplice infermiere, è un medico.
Per curare, per curarci, abbiamo un enorme bisogno di vigore: anche in termini prettamente fisici. Non a caso Garp sarà prima atleta e poi istruttore di lotta libera. Dinanzi alla infelicità del vivere, ai ricordi peggiori, alle paure, alle violenze peggiori, perché questo è un romanzo di grandi paure e grandi violenze, resta una risorsa energetica che è un inno a noi stessi: scrivere. Scrivere per aggredire questa infelicità, scrivere per annichilire le paure, assumerle, fagocitarle. La guerra contro di esse è impari, sono sempre pronte a riemergere, inevitabilmente, perché ogni esperienza terribile che ci regala il destino mai potrà essere esorcizzata. Eppure, la terapia resta quella.
A differenza di Barney, che combatte il male di vivere concedendosi quelli che passano per piaceri e usandoli come stampelle su cui poggiare il peso dell’esistenza, Garp non può arrivare a questo approccio per sfortuna e circostanze. Non perché non si voglia bene o non voglia bene a chi gli sta accanto. Semmai è proprio questo sentimento che lo macera, lo consuma, lo intestardisce in atteggiamenti paradossali, contraddittori. A volte morbosi. Garp coglie che la vita è un attorcigliarsi fra degenerazioni caratteriali e fatti che accadono, ed è sempre poco chiaro cosa dia origine a cosa, se siano le disgrazie a generare le psicosi o viceversa. Garp resta impigliato in questa spirale, non ce la può fare ad affrontare le sue sconfitte con l’arma innata della passione, come Barney, ma trova un rifugio.

Tramite tentativi, più o meno riusciti, più o meno legati all’autobiografia, più o meno gratificanti per se stesso. Fare il romanziere è una fatica, combattuta attraverso anni caratterizzati da inerzia, svogliatezza, complessi di inferiorità, tradimenti, mancanza di ispirazione. Tristezza nello scoprire che quest’ultima risorga dalle tragedie personali. Ma una macchina da scrivere, oggi un computer, comunque una tastiera, che riempie un foglio bianco, o un file, di letterine nere in successione che infine compongono una storia di cui si è convinti, da offrire agli uomini, resta, nella disperazione, uno sprazzo d’energia. Ineguagliabile.