La Repubblica del maiale
di Roberta Corradin
Chiarelettere, 2013
«La mortadella è buonissima, non c'è niente da fare, è proprio buona.
La
mortadella è comunista.
Il
salame... Socialista.
Il
prosciutto è democristiano.
La
coppa... Liberale.
Le
salsicce... Repubblicane.
Il
prosciutto cotto è fascista!»
Francesco Nuti (alias
Caruso Pascoski)
in Caruso Pascoski di
padre polacco (F. Nuti, Italia, 1988)
Con l'equivalenza finale
tra la finocchiona e i Radicali, Francesco Nuti – alias lo
psicanalista Caruso Pascoski in pausa pranzo, alle prese con un
panino “proletario” – completava il quadro delle equivalenze
tra salumi e partiti e ideologie nell'Italia dei tardi anni Ottanta.
E proprio la gustosa battuta di questo film (piuttosto bistrattato
dalla critica ufficiale, ma divenuto presto uno “stracult”
non solo per gli amanti del tormentato comico toscano) è forse la
perfetta epigrafe per introdurre La Repubblica del maiale.
Sessant'anni di storia d'Italia tra scandali e ossessioni culinarie
(Chiarelettere, 2013), lo studio che Roberta Corradin ha dedicato
alle vicissitudini politiche, sociali e culturali del Belpaese
rileggendole alla luce di tradizioni,
mode, abitudini e tic alimentari.
Lungi dall'essere un
libro impressionistico o addirittura “gigione” – per quanto sia
innegabile la sua capacità di cavalcare l'onda inesausta di
rinnovata attenzione mediatica per tutto l'edibile possibile e
immaginabile – il lavoro della Corradin, affermata giornalista
enograstronomica, rintraccia le premesse storiche della generale
“decadenza” in corso risalendo indietro fino all'antica Roma, e
si regge su una struttura rigorosa. Ogni capitolo (si parte dagli
anni Cinquanta, «dalla fine
della fame») si apre infatti con la descrizione degli
equilibri diplomatici nazionali e internazionali del periodo; a
questa seguono puntualmente cinque paragrafi destinati a ricordare,
nell'ordine: Le ossessioni culinarie del decennio,
vale a dire i cibi che era d'obbligo mettere nel carrello e cucinare
per essere al passo coi tempi; La cugina della ggente,
c'est à dire che cosa gli italiani “veri” potevano
realmente permettersi sulla tavola; Buon compleanno con...,
sulla torta status symbol del momento (la Dobos, la Petit
Four, la Mimosa e così via) acquistata per l'occasione o preparata
in casa da improbabili madri pasticcere; Un decennio passato a
bere, con una veloce classifica degli alcolici più in voga; e,
infine, Mangiamoci su. Menu vintage..., in cui l'autrice offre
una serie di ricette ormai indissolubilmente legate alla specifica
tranche storica, tratte da libri e riviste di cucina d'annata,
ma anche dal suo “archivio” personale.
Con uno stile brioso e
piacevole che nulla toglie alla ricchezza e alla profondità
argomentativa, la Corradin riesce così a restituirci l'affresco di
un'Italia che per molti versi si conferma un Paese il cui legame col
cibo è sempre stato così forte da influenzare senza mezzi termini
ciò che accade all'interno dei palazzi del potere e, per conseguente
effetto domino, nel più ampio consorzio/convito civile. Lo
dichiarano i titoli – simpaticamente realistici, nonostante la
ricerca un po' forzata dei giochi di parole – scelti per sigillare
i decenni: se la Penisola degli anni Cinquanta è (come da copertina)
Una repubblica fondata sul maiale è perché «la
Costituzione viene tenuta a battesimo dalla Comunità del porcellino,
fondata dai membri della Costituente»; lo stesso vale per
quella dei Sessanta – anni di Guerra fredda e insalate russe
(anche con la provvidenziale maionese in barattolo, e che piace a
tutti, comunisti e non) – e dei Settanta – in cui vigeva quella
che l'autrice definisce La strategia dell'ipertensione e
i patemi d'animo per la lotta armata si curavano con dosi massicce di
piatti alla francese, spesso non meno “plumbei”. Più
rassicuranti, ma alla lunga più dolenti, si fanno invece le note per
gli adolescenti e i nativi degli Ottanta – Anni di panna
in cui l'imperativo dell'ovattamento imbesuisce, rammollendola in
toto, una generazione cresciuta
a zuppiere di tortellini, filetto al pepe verde, merendine e Cornetti
Algida – e dei Novanta – in cui, letteralmente, Il
paese va in aceto, guastato dalle stragi di mafia, e dai nuovi
scandali legati a Tangentopoli. La svolta sembra arrivare con i
recentissimi anni Duemila, in cui si assiste a una sorta di risveglio
delle coscienze e tutti, pur nella crisi generale di denari e di
valori, con maggiore o
minore convinzione, Presidiamo il maiale e ci ricicliamo fan
sfegatati del culatello di Zibello e della gallina bionda piemontese
(ma anche, va aggiunto, ci volgiamo verso scelte di vita veg
radicale q.b.).
E il presente? Come
appare e si classifica il decennio in corso? La Corradin non lo dice:
per ora, data la brevità di distanza storica, sarebbe azzardato
proporre qualsiasi teoria, e ci si deve accontentare solo di
Anticipazioni e profezie su quelle che saranno le nostre
Ossessioni prossime future (sulle quali si accettano
scommesse). Forse – chi può dirlo? – saremo presto stanchi
addirittura dei ritrovati più à la page della (costosissima)
cucina molecolare, e sfiniti da palinsesti mediatici saturi di format
e talent-show enograstronomici potremmo addirittura
riscoprirci un popolo (un Paese) meno dipendente – o distratto,
finanche nella scaletta dei telegiornali – dai meri piaceri del
palato. E in questo, non c'è dubbio, la prossima Expo 2015 –
Nutrire il pianeta. Energia per la vita, dedicata ai temi
dell'alimentazione – sarà (o già è?) un bel banco di prova.
Auspicando non continui a confermarsi, tristemente, l'ennesimo
“magna-magna” in salsa tricolore. Perché, come conclude
l'autrice, «forse la Repubblica
del maiale è come il maiale stesso, forse solo da morta ci lascerà
finalmente un'eredità».
Cecilia Mariani
Cecilia Mariani