in

"Una perfetta stanza di ospedale" di Yoko Ogawa

- -

Una perfetta stanza di ospedale

di Yoko Ogawa
Adelphi, 2009


€ 10,00

pp. 128


I racconti brevi di Yoko Ogawa riescono in un compito decisamente difficile, quello di offrire al lettore europeo - e in poche pagine - il fascino di una sensibilità diversa, permeata da una tranquillità interiore che resiste anche ai peggiori casi della vita. Allo stesso tempo, tuttavia, questa peculiare scrittrice giapponese sfida l'immagine usuale che l'Occidente ha della letteratura giapponese, rappresentandola come un mondo dominato da un rapporto armonico con la natura e dalla costante espressione di una saggezza sotterranea, capace di riconosce ovunque un confortante piano sovrannaturale. Piuttosto nei libri della Ogawa questo ordine interiore sembra derivare da una sorda impotenza nei confronti del mondo, ma innanzitutto di noi stessi: i personaggi che popolano le sue storie sembrano vittime di una legge superiore che non si può sconfiggere e alla quale non ha senso opporsi, oppure di una psiche che domina le loro azioni, lasciando spazio solo ad una rassegnata osservazione.



Una perfetta stanza d'ospedale rappresenta alla perfezione questo percorso stilistico. Pubblicato in Giappone nel 1989, si tratta di una raccolta di due storie brevi, accomunate dalla riflessione sulla inaccettabilità della morte e sul suo morboso, inquietante rapporto con la vita stessa. Il primo racconto, che dà il titolo all'opera, è narrato dal punto di vista di una giovane donna, che decide di descrivere gli ultimi giorni di vita del fratello ventunenne e malato terminale. Ritirandosi sempre più nell'asetticità della stanza di ospedale in cui il fratello è costretto, la protagonista sviluppa una progressiva insofferenza per tutto ciò che è riconducibile alla vita come fenomeno organico, colta nel suo aspetto più disgustoso e oscuro. L'esperienza del dolore e della perdita vengono così vissute lungo un complesso labirinto di insofferenze, manie e feticci, in cui la sensibilità della Ogawa mostra decisamente il proprio debito nei confronti della scrittura di Junichiro Tanizaki. 



La seconda storia sviluppa lo stesso tema da un'angolazione diversa: anche stavolta la protagonista si fa narratrice di una perdita, ma si tratta dell'allontanamento della nonna materna in una casa di riposo. Allo stesso tempo, però, la giovane donna si scopre incinta, ed è così costretta a vivere la scomparsa della nonna insieme all'attesa di un bambino, più una minaccia per la sua identità che promessa di felicità futura. L'attenzione morbosa ai dettagli, alla decomposizione fisica e psichica propria della vecchiaia come alle sensazioni viscerali della gravidanza, è filtrata attraverso uno stile che come sempre appare in qualche modo quieto, armonioso, proprio di un osservatore indifferente che contempla la propria disperazione come un oggetto estraneo. 



Si potrebbe dire, dunque, che al centro dell'opera della scrittrice giapponese - tanto apprezzata da maestri come Kenzaburo Oe - si trova il tema del soggetto e della sua perdita di identità, provocata tanto dall'esperienza del dolore quanto dalla percezione dell'insensatezza dell'esistere. Si fa sentire in questo l'influenza della letteratura occidentale, in particolare di Paul Auster, di cui la Ogawa è traduttrice nel suo paese. Le pagine di Una perfetta stanza di ospedale sono così senz'altro un'ottima introduzione al mondo interiore di questa meravigliosa quanto inquietante scrittrice, che ha eretto sull'esperienza dell'abbandono un ponte tra due culture.