Brasile 1950 – Brasile 2014: La maledizione del Mondiale in casa



Oggi, 12 Giugno 2014, in Brasile cominceranno i Mondiali di Calcio. L’unica altra volta che il Brasile è stato paese ospitante risale all’ormai lontano 1950. Sono passati sessantaquattro lunghissimi anni.

Il Brasile dei Mondiali del 1950 era una nazione umile in cui il calcio, impastato di umanità, si praticava con poche risorse economiche. C’erano i palloni di cuoio con le cuciture e le maglie delle squadre senza scritte. C’era il calcio bailado, fatto con stracci e fantasia. Il Brasile era un paese povero ma anche felice, in cui da mattina a sera per le strade si vedevano frotte di bambini giocare allegri e accontentarsi del poco che avevano. C’è un brano di un bellissimo romanzo di Fabio Stassi, È finito il nostro carnevale (Minimum fax, 2007), che descrive perfettamente l’atmosfera magica che si respirava in quel Brasile del 1950:

I bambini giocavano a pallone contro i muri delle case, per strada, sulle scalinate. Lì quasi nessuno aveva le scarpe. Il calcio era come l’amore, non costava nulla. Un pomeriggio mentre guardavo palleggiare dei ragazzini pieni d’estro su un campo di terriccio, venne giù il temporale più violento che mi avesse mai bagnato. Trovai riparo sotto la tettoia di un capannone. La pioggia si era fatta tempesta, e la tempesta diluvio. Un fiume di fango scorreva davanti ai miei piedi e vedevo baracche di lamiera verniciata scivolare giù dalle colline come biglie di vetro. Eppure, in tutto quel cataclisma, i ragazzini non avevano smesso di giocare. Sfidavano i fulmini con irriverenza. Gareggiavano a chi riuscisse a mantenere la palla più a lungo per aria. Si esibivano in controlli acrobatici, dribblando il vento e l’acqua. Se la loro passione era più forte di tutte le piogge della terra, i brasiliani quell'anno avrebbero di sicuro conquistato la Coppa del Mondo”.

Il Brasile è uno di quei posti in cui il calcio è ragione di vita, in cui un trionfo in Coppa del Mondo basta per far dimenticare povertà e disgrazie. Per il popolo brasiliano quel Mondiale giocato in casa era una questione di vita o di morte. La partita decisiva si giocò il 16 luglio 1950 al Maracanã di fronte a 199.854 spettatori, record di ogni tempo. Il Brasile, per vincere la Coppa, poteva anche pareggiare (allora le regole erano diverse). Fin lì aveva dominato tutte le partite e tutti i tifosi brasiliani erano sicuri che il Brasile avrebbe stravinto anche l’ultima gara. Fu Friaca a portare in vantaggio i brasiliani al 47’. Ma Il grande Juan Alberto Pepe Schiaffino, detto il Dio del pallone, pareggiò i conti per l'Uruguay al 66’. A quel punto il Brasile con il pareggio sarebbe stato ugualmente Campione del Mondo. Ma non si accontentò e si spinse in avanti, esponendosi al contropiede dell’Uruguay. Il minuto della partita che paralizzò tutti i tifosi brasiliani fu il 79’: la grande ala uruguagia Alcides Edgardo Ghiggia si involò sulla destra saltando il suo diretto avversario. Il forte portiere brasiliano Moacir Barbosa Nascimento si aspettava il cross e decise di fare un piccolo passo in avanti. Ma Ghiggia, vedendo il portiere fuori posizione, invece di crossare, tirò rasoterra verso il palo lasciato scoperto. Non ci fu niente da fare, l’Uruguay si portò in vantaggio e mantenne il risultato fino alla fine, vincendo a sorpresa e contro i favori del pronostico il titolo mondiale. 
Ecco come viene descritto questo indimenticabile momento in  È finito il nostro carnevale di Stassi:

A undici minuti dalla fine, Schiaffino finta elegantemente sulla tre quarti e passa la palla a Ghiggia. Ghiggia riceve. Tiro. Goal. Uruguay due. Brasile uno. Moacir Barbosa, il primo portiere nero del Brasile, divenne bianco per il pallore. Nessuno gli avrebbe più perdonato di averla soltanto sfiorato, quella palla. Al fischio finale dell’arbitro, il Maracanã si accasciò come un pappagallino colpito a morte a cui avevano strappato le ali, piuma per piuma, e tagliato la lingua. Come se fosse precipitato da un’altezza vertiginosa sino al centro della terra. Per paradosso, la squadra che lo aveva impallinato si faceva chiamare Celeste. Lo definirono il silenzio più irripetibile della storia del calcio. Chi lo ha ascoltato può confermarlo. Un silenzio di duecentomila persone spacca i timpani e chiude la gola. Molti persero la voce per sempre. Il cronista che commentava la partita per radio abbandonò il suo mestiere. In tutta la nazione, i poveri e gli idealisti presero a suicidarsi”



Il portiere Barbosa, prima di morire a settantanove anni, dopo aver trascorso il resto della sua esistenza nell'indifferenza generale, dirà: “C’è chi dopo trent'anni sconta una condanna per omicidio, la mia invece non è finita neanche dopo cinquanta
In Brasile quel giorno piansero tutti. Fu più di una partita di calcio, fu una tragedia che uccise diverse persone. Alcune morirono di crepacuore, altre si suicidarono.
Il capitano dell’Uruguay Obdulio Varela, detto El Negro Jefe, rimuginò a lungo sul fardello morale della vittoria. Queste sono le parole che il grande scrittore Osvaldo Soriano gli attribuisce in uno splendido racconto-intervista pubblicato il 16 luglio del 1972 nel supplemento culturale del giornale La Opinión: “Loro per quella sera avevano preparato il carnevale più grosso del mondo e se l’erano rovinato. Gliel’avevamo rovinato noi. Mi sentivo male per questo. Sarebbe stato bello vedere quel carnevale, vedere come la gente se la spassava con una cosa così semplice. Noi avevamo rovinato tutto per un titolo, ma cosa importava in confronto a tutta quella tristezza?”

Sessantaquattro anni dopo, di nuovo in casa, si disputa il Mondiale che il Brasile non può davvero perdere. Quello del 2014 sarà un mondiale diverso, con un’atmosfera iniziale meno felice rispetto a quella del 1950: i costi dell’organizzazione, infatti, sono stati spropositati, e in un paese in piena crisi economica i tifosi fanno fatica perfino a pagarsi i biglietti per assistere alle partite. Il calcio è sicuramente meno umano rispetto a qualche tempo fa, perché è ormai nelle mani avide dei governi, delle multinazionali, delle televisioni e degli sponsor.
Per i tifosi poi il terrore di rivivere la maledizione del 1950 è davvero concreto. Oltre al Brasile, infatti, ci sono squadre molto attrezzate per vincere la competizione. C’è la fortissima Argentina. C’è la Spagna, detentrice del titolo. C’è la sempre temibile Germania. Si comincia oggi, 12 giugno alle ore 22, a San Paolo con la sfida Brasile-Croazia. Si finisce il 13 luglio a Rio. Indovinate dove si gioca la finale? Al Maracanà. Ci sarà anche la nostra Nazionale, che non parte certo con i favori del pronostico. Speriamo di rivivere le emozioni e le gioie del 2006, anche se sarà molto difficile. Buon Mondiale a tutti! 

Ah, dimenticavo. C’è anche l’Uruguay.