Mi piace essere golosa
di Colette
Traduzione di Angelo Molica Franco
Voland, 2014
pp. 90
euro 12,00
«Ma posso avere segreti per “Marie-Claire”?».
Sono poco meno di una trentina gli articoli che Sidonie Gabrielle-Colette – o più semplicemente Colette – scrive tra il 1938 e il 1940 per la neonata rivista femminile “Marie-Claire”. Una collaborazione tra le tante, questa sulla carta stampata, per la prolifica e poliedrica artista, che in quegli anni tra le due guerre è ormai una delle dame più importanti di Francia, nonché la prima in assoluto a essere stata insignita della Légion d'honneur (1936). A ricordare questa interessante collaborazione è oggi la raccolta Mi piace essere golosa, tradotta in italiano per Voland da Angelo Molica Franco: un libricino snello ma prezioso, che nel suo centinaio di pagine ripropone alcuni tra gli interventi più riusciti di colei che secondo Guy Martin – come si legge nella Prefazione. Colette à la carte – «incarna perfettamente la Parigina d'oggi» per la proverbiale attitudine libera, provocatrice e sensuale.
Quella che la scrittrice avrebbe dovuto tenere sulle pagine del neonato mensile era una rubrica di cucina: ma sebbene, come ricorda sempre Martin, la sua fama di «vera epicurea nata sotto il segno della buona tavola» fosse cosa nota, Colette decise di prendere questo incarico con “licenza poetica”, dedicando al tema strettamente culinario solo alcuni pezzi, tra i quali quello da cui lo stesso volumetto mutua il titolo. La “golosità” dell'artista, difatti, si applica – più in generale, ma non così banalmente come si potrebbe pensare – alla vita nella sua totalità, in ogni suo aspetto pratico e (quando il caso) teorico. Al suo pubblico di donne “giovani” e “dinamiche” e “lavoratrici” Colette parla di tutto, spaziando dunque dalla gastronomia all'arredamento, dalle dive del grande schermo (Bette Davis in primis) alla passione per i felini domestici, intercalando quasi sempre fatti di vita privata a riflessioni più astratte e generali sul senso del “tempo” – si veda L'anno è un nastro, 5 gennaio 1940 – e dello “spazio” – come quando rievoca le sue continue variazioni di domicilio (ben dodici) e disserta sulle abitazioni parigine (Sono davvero a casa mia, e voi?, 27 gennaio 1939) oppure in si sbilancia in osservazioni sulla natura “topicamente” provinciale di una metropoli come la stessa Ville Lumiére (La mia poesia è la mia provincia, 25 agosto 1939).
Colette è solo una delle figure di spicco della cultura e della letteratura contemporanea a cui l'allora direttrice Marcelle Auclair e il direttore editoriale Pierre Bost chiesero di curare una rubrica su “Marie-Claire”; e non c'è dubbio che la scelta ricadde su di lei anche per la certezza della sicura presa che il suo personaggio, molto noto anche alle cronache mondane, avrebbe avuto su una determinata categoria di lettrici rese ancora più sensibili dal clima prebellico. A loro, Colette – donna dai molti mariti, amori e amanti di entrambi i sessi – parla ovviamente anche di sentimenti, distribuendo perle di saggezza anche a quelle che, tra le scriventi, le appaiono più ingenue o ancora immature: in Senza di me (1 dicembre 1939) la scrittrice dimostra un'insolita pacatezza nel non condannare le lettere poco accorate di un marito al fronte; in Colette vi parla d'amore (24 maggio 1940) esorta una giovinetta a non dubitare che l'eros nel suo senso più ampio e non solo fisico possa svanire con l'avanzare dell'età; mentre in Ragazze di oggi, Colette vi parla (24 maggio 1940) le asprezze di una seconda guerra mondiale appena iniziata la spingono a lanciare alle donne francesi un messaggio di amore e di pace insieme a un invito alla sopportazione e alla sorellanza: «una, un'altra, e un'altra ancora, fanno un milione di donne utili...».
Chiude la piccola antologia un brano dal titolo interrogativo: Io li ho conosciuti tutti questi grandi seduttori. Qual’era il segreto del loro fascino? (24 maggio 1940). Qui Colette – seduttrice lei stessa di natura, mito vivente tra i miti, golosa dei suoi stessi ricordi di gioventù – passa in rassegna alcuni tra i nomi più leggendari dello spettacolo e del bel mondo frequentato fin dagli esordi, cercando di restituirne il carisma con poche battute: ecco la Bella Otero dalle altrettanto belle «gengive», capace di dare splendida mostra di sé anche durante i pasti; ecco il magnetico Le Bergy e il pericoloso Lucien Guitry, di fronte al quale giudicava più prudente dileguarsi; e ancora Geneviève Lantelme, che era «solo un viso», e Sarah Bernhardt, di cui dice: «la caricatura avrebbe giovato alla sua celebrità più di quanto potessero giovarle mille banali e adulatorie immagini del suo viso».
Giunto alla fine del volume, l'unico fatto che potrà spiacere al lettore – e a quello appassionato di Colette soprattutto – sarà proprio la selezione fin troppo ristretta dei brani, per quanto giustificata nella Presentazione dai curatori Gérard Bonal e Frédéric Maget: solo tredici sui ventisette totali consegnati dalla scrittrice. Unica pecca quantitativa, questa, per una pubblicazione comunque utile, e che tuttavia non manca di restituire il proverbiale senso di voracità e di amore per l'esistenza della sua celebre autrice.
Cecilia Mariani
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