Indagine sullo scudetto revocato al Torino nel 1927
di Massimo Lunardelli
prefazione di Gian Carlo Caselli
Blu Edizioni, 2014
pp. 203
euro 14
Da interista, ho sempre provato una simpatia istintiva nei confronti del Torino: due club poco abituati alla vittoria, e che perciò hanno sviluppato un’epica della sconfitta che dona agli eventi più dolorosi della loro storia sportiva una tragica bellezza. Rispetto alla mentalità sportiva che ha il culto monoteistico della vittoria (tipica dell’altra squadra torinese, riassumibile nell’affermazione di Giampiero Boniperti: «Per la Juve vincere non è importante, è l’unica cosa che conta.»), nella storia del Torino permane una concezione di sport a trecentosessanta gradi che racchiude i picchi (il Grande Torino) e gli abissi (la sciagura di Superga, l’anonimato degli ultimi decenni) con eguale orgoglio, senza che la “vittoria” diventi discriminante decisiva per una gerarchia di ricordi che, prima che sportivi, sono umani.
La vicenda dello scudetto revocato al Torino nel 1927, che l’autore Massimo Lunardelli (bibliotecario nato a Torino nel 1961) ricostruisce in questo esaustivo volume, fa parte di quelle “storie” che oltrepassano il loro ambiente di nascita e che diventano rappresentative non solo di un ambiente sportivo, ma di un’epoca e di un Paese. Ma cosa successe? Alla fine del campionato 1926-27 il Torino conquista il suo primo scudetto; uno degli incontri decisivi si giocò il 5 giugno 1927: un derby con la Juventus, vinto in sofferenza per 2 a 1. Poco dopo un giornale romano, Il Tifone, grazie allo scoop di Renato Ferminelli (un giornalista che per piccole ripicche relative a un permesso stampa aveva il dente avvelenato nei confronti del Torino) fa scoppiare il caso: secondo le rivelazioni del giovane faccendiere Francesco Gaudioso, il Torino avrebbe corrotto con 25000 lire il difensore della Juventus Luigi Allemandi. Poco importa che Gaudioso si riveli un personaggio poco affidabile e che Luigi Allemandi figuri come il migliore in campo: siamo in pieno periodo fascista e il presidente della FIGC Leandro Arpinati – uno dei fidati di Mussolini e al tempo tra gli uomini più potenti d’Italia – conduce un’approssimativa indagine che “fa giustizia”: scudetto revocato al Torino e squalifica a vita di Allemandi (che usufruirà negli anni immediatamente successivi di un’amnistia).
Gian Carlo Caselli nella prefazione scrive:
Al contempo, però, il libro ci mostra anche che rispetto a quasi un secolo fa molte problematiche sono rimaste invariate e che nonostante tutto, nonostante oggi il calcio e il Paese vengano dipinti come allo sfascio, possiamo vedere che decenni fa le cose non andavano meglio, e ci chiediamo allora se le “questioni morali” e gli “scandali”, più che eccezioni che denotano una crisi di valori, siano in realtà il modus vivendi di un Paese (per il quale il calcio pare metafora perfetta). Leandro Arpinati, due giorni dopo la revoca dello scudetto al Torino, dice infatti:
Indagine sullo scudetto revocato al Torino nel 1927 arriva non a caso a parlare dei giorni nostri, e delle speranze – finora rimaste tali – della società granata di poter riaprire quel caso (Lunardelli lo chiama “il cold case del calcio italiano”) e poter aggiungere alla propria bacheca un titolo che non donerebbe ai tifosi solo una fievole gioia sportiva, ma soprattutto un senso di giustizia (poiché la giustizia non ha data di scadenza).
di Massimo Lunardelli
prefazione di Gian Carlo Caselli
Blu Edizioni, 2014
pp. 203
euro 14
Da interista, ho sempre provato una simpatia istintiva nei confronti del Torino: due club poco abituati alla vittoria, e che perciò hanno sviluppato un’epica della sconfitta che dona agli eventi più dolorosi della loro storia sportiva una tragica bellezza. Rispetto alla mentalità sportiva che ha il culto monoteistico della vittoria (tipica dell’altra squadra torinese, riassumibile nell’affermazione di Giampiero Boniperti: «Per la Juve vincere non è importante, è l’unica cosa che conta.»), nella storia del Torino permane una concezione di sport a trecentosessanta gradi che racchiude i picchi (il Grande Torino) e gli abissi (la sciagura di Superga, l’anonimato degli ultimi decenni) con eguale orgoglio, senza che la “vittoria” diventi discriminante decisiva per una gerarchia di ricordi che, prima che sportivi, sono umani.
La vicenda dello scudetto revocato al Torino nel 1927, che l’autore Massimo Lunardelli (bibliotecario nato a Torino nel 1961) ricostruisce in questo esaustivo volume, fa parte di quelle “storie” che oltrepassano il loro ambiente di nascita e che diventano rappresentative non solo di un ambiente sportivo, ma di un’epoca e di un Paese. Ma cosa successe? Alla fine del campionato 1926-27 il Torino conquista il suo primo scudetto; uno degli incontri decisivi si giocò il 5 giugno 1927: un derby con la Juventus, vinto in sofferenza per 2 a 1. Poco dopo un giornale romano, Il Tifone, grazie allo scoop di Renato Ferminelli (un giornalista che per piccole ripicche relative a un permesso stampa aveva il dente avvelenato nei confronti del Torino) fa scoppiare il caso: secondo le rivelazioni del giovane faccendiere Francesco Gaudioso, il Torino avrebbe corrotto con 25000 lire il difensore della Juventus Luigi Allemandi. Poco importa che Gaudioso si riveli un personaggio poco affidabile e che Luigi Allemandi figuri come il migliore in campo: siamo in pieno periodo fascista e il presidente della FIGC Leandro Arpinati – uno dei fidati di Mussolini e al tempo tra gli uomini più potenti d’Italia – conduce un’approssimativa indagine che “fa giustizia”: scudetto revocato al Torino e squalifica a vita di Allemandi (che usufruirà negli anni immediatamente successivi di un’amnistia).
Gian Carlo Caselli nella prefazione scrive:
«Quella di Lunardelli è sì la storia dello scudetto vinto dal Toro nel campionato 1926-27 e in seguito revocato, ma la torbida vicenda è incastonata in robuste pennellate che tracciano a grandi linee – praticamente fino ai giorni nostri – una storia dell’Italia politica e sportiva, in particolare del calcio.»Una doviziosa ricostruzione, basata sulla rassegna stampa di numerosi quotidiani dell’epoca e su varie fonti, mette in luce un momento di cambiamenti non solo sportivi, ma dell’intera società italiana di quasi novant’anni fa: il consolidarsi del fascismo e dunque di quel conformismo che è sempre stato caratteristica importante del popolo italiano, il calcio che da “dilettantesco” diventa professionistico, una stampa partigiana, la ricerca del capro espiatorio, la faziosità che diventa criterio sistemico di analisi della realtà.
Al contempo, però, il libro ci mostra anche che rispetto a quasi un secolo fa molte problematiche sono rimaste invariate e che nonostante tutto, nonostante oggi il calcio e il Paese vengano dipinti come allo sfascio, possiamo vedere che decenni fa le cose non andavano meglio, e ci chiediamo allora se le “questioni morali” e gli “scandali”, più che eccezioni che denotano una crisi di valori, siano in realtà il modus vivendi di un Paese (per il quale il calcio pare metafora perfetta). Leandro Arpinati, due giorni dopo la revoca dello scudetto al Torino, dice infatti:
«Ho pensato alla gran massa del pubblico, confesso che mi sono preoccupato di dare al caso la sensazione netta e precisa di un rigore inesorabile. Chi ha sbagliato deve pagare. Il football italiano è pervaso da qualche tempo a questa parte da un sottile veleno che lo mina alle origini. Guai se anche il pubblico comincia a dubitare che anche nel football, gioco collettivo e passionale al massimo grado, siano possibili losche e interessate pattuizioni di singoli, intesi a falsarne i risultati sportivi. Ho motivi di ritenere che sarebbe a breve scadenza la fine per lo sport del calcio che se pure gode dei favori delle folle piomberebbe nel discredito. Queste sono le ragioni per cui ho voluto essere, ripeto, inesorabile e non ho considerato null’altro che le buone ragioni del sano e onesto sport.» (1927)Non sembrano parole ancora più adatte ai vari scenari contemporanei? Penso al calcio-scommesse che è saltato nuovamente fuori negli ultimi anni, a Calciopoli, alle eterne polemiche sul calcio che “non è più sport ma business”.
Indagine sullo scudetto revocato al Torino nel 1927 arriva non a caso a parlare dei giorni nostri, e delle speranze – finora rimaste tali – della società granata di poter riaprire quel caso (Lunardelli lo chiama “il cold case del calcio italiano”) e poter aggiungere alla propria bacheca un titolo che non donerebbe ai tifosi solo una fievole gioia sportiva, ma soprattutto un senso di giustizia (poiché la giustizia non ha data di scadenza).
Piero Fadda.
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