Photo: Jeffrey Dunn. |
È il Marzo del 1911, quando Hugo von Hofmannsthal propone a Richard Strauss in una lettera il progetto di
"un'opera di mezz'ora, per piccola orchestra da camera, [...] un misto di figure eroico-mitologiche in abbigliamento del Settecento, con crinoline e pennacchi di struzzo, e di figure della commedia dell'arte, Arlecchini e Scaramucci, che introducono una componente buffonesca e sempre intrecciata con la componente eroica",ossia quel che sarà Ariadne auf Naxos. Qualche mese prima era andata in scena la prima del Rosenkavalier, con la regia di Max Reinhardt, riscuotendo un enorme successo e consacrando il felice sodalizio tra lo scrittore ed il musicista; l'occasione era quindi ghiotta per tributare il giusto merito al regista ed offrirgli una piccola opera, come appendice di una piéce teatrale.
La scelta di quest'ultima ricadde sul Borghese gentiluomo (Der Bürger als Edelmann) di Moliére, già musicato da Lully più di due secoli addietro, e col testo tradotto e rimaneggiato dallo stesso Hofmannsthal. Dopo un anno di lavoro, in cui Strauss – come testimonia l'epistolario – non lavorò con troppa convinzione ed assiduità, andò in scena la prima, il 25 Ottobre 1912. Non fu un successo, il lavoro fu accolto tiepidamente dal pubblico, probabilmente finanche frainteso, dando ragione allo scetticismo di Strauss ed al suo infallibile spirito imprenditoriale. Hofmannsthal, però, non si diede per vinto ed insistette per una Neubearbeitung, una nuova edizione della sua creatura – rappresentata a distanza di quattro anni, il 4 ottobre del 1916 – staccandola dal dramma di Moliére e dotandola di una sua propria autonomia, con l'aggiunta di un Vorspiel, un prologo, chiaramente epesegetico della propria poetica. Il motivo di questo attaccamento alla sua Ariadne, questa sua ferma volontà di difenderla, non è da ricercare unicamente nel rapporto "filiare" che lega qualsiasi autore – chi più, chi meno – ai propri lavori; si tratta piuttosto di un dato biografico d'una certa rilevanza, penetrato quasi per osmosi nell'Ariadne.
Photo: Jeffrey Dunn. |
Entrambe sono caratterizzate dal non dimenticare, dall'essere segnate a vita da un'esperienza traumatica, come rimarcherà egli stesso in una lettera1 e come il personaggio del Componist ricorderà per Arianna durante il Vorspiel2.
Ma non è questo, naturalmente l'unico motivo dell'intreccio hofmannsthaliano. Innanzitutto c'è il profondo legame con l'antichità classica, particolarmente radicato in lui ed in tutta una generazione di letterati tedeschi, che con l'Ariadne assumerà i colori tenui di un acquerello, in un'ambientazione mai perfettamente delineata, ma volutamente vaga e sfumata (al contrario della precedente Elektra, ad esempio), che ha strappato ad Andrea Landolfi la felice definizione di Grecia di cartapesta. Siamo lontani dalla rappresentazione della ferinità, d'un'antichità primitiva e bestiale, figlia dei più feroci istinti primordiali, teorizzata dalla Nascita della tragedia di Nietzsche.
L'Ariadne è un'opera eroica, declinata nell'unica forma in cui essa nel '900 può oramai sussistere, ossia come gioco parodico. Un fine divertimento letterario con cui Hofmannsthal raggiunge l'apice del suo gusto per la variazione, andando così a costituire la prima affermazione della sua Stilverdrehungsmanie, la tendenza, cioè, alla contaminazione e confusione di generi, stili ed ambientazioni. Che poi, altro non è che lo stesso tipo di operazione effettuata dai grandi tragediografi classici Eschilo, Sofocle ed Euripide, – la cui lezione Hofmannsthal aveva sicuramente presente – i quali, lavorando sul mito, lo piegarono a proprio uso e consumo. Il mito è, quindi, materia viva. A questo ramo s'innesta la vena creativa dello scrittore austriaco, inserendo nell'isola deserta in cui è relegata Arianna alcune maschere della commedia dell'arte, rendendo palese il divertissement parodico, contrapponendo alle ninfe Najade, Dryade ed Echo le maschere Harleckin, Brighella, Truffaldin e Scaramuccio; ed ad Arianna, la sedotta ed abbandonata, Zerbinetta, la seduttrice dai facili costumi. Un gioco di antitesi che si risolve in un miracolo di equilibrio tra comicità e profondità. Non doveva, però, essere così perspicuo al pubblico dell'epoca e la necessità di redigere un Vorspiel rivela la più intima esigenza dell'Hofmannsthal intellettuale: essere compreso. Sotto questa luce deve essere inteso il gioco – e credo di non abusare di questa parola – metateatrale, in cui si stabilisce il presupposto della compresenza di serio e faceto: nella casa di un ricco borghese della Vienna dabbene due compagnie, una musicale ed una teatrale, si preparano per allestire in successione rispettivamente l'Ariadne auf Naxos e Zerbinetta e i suoi quattro amanti, quando per un capriccio del padrone di casa sono costretti a rappresentare contemporaneamente le loro opere sullo stesso palcoscenico; il frutto dei loro sforzi sarà l'opera che segue, nella quale – come già anticipato – i personaggi della commedia dell'arte si ritrovano per incanto sulla stessa isola dove Arianna è stata abbandonata. Il ricorso al "teatro nel teatro" è quasi sconosciuto all'ambiente tedesco, preceduto in lingua italiana da Salieri (Prima la musica, poi le parole), Gnecco (Le prove di un'opera seria) e Donizetti (Le convenienze ed inconvenienze teatrali), ma soprattutto dal più vicino Leoncavallo, che, con i suoi Pagliacci nel 1892, pare suggerire sia l'impianto drammatico (nella dicotomica successione realtà-finzione) che l'argomento serio all'Ariadne di Hofmannsthal-Strauss.
A
livello musicale il Vorspiel
si apre con una breve introduzione orchestrale, il cui Leitmotiv
impiega da subito melodie rapide e ampi intervalli in sincope degli
archi, rinnegate poco dopo da frasi cromatiche e suadenti, meno
mosse, che si rarefano fino all'ingresso dei personaggi in scena,
lasciando il posto ad una lunga serie di recitativi accompagnati, con
pochi frammenti melodici affidati all'orchestra in secondo piano. Una
particolarità dell'opera è la compresenza del recitativo e del
parlato, con un preciso intento ironico-satirico. Il ricco borghese
committente delle due Kunsfertigkeiten,
delle due rappresentazioni teatrali, è un parvenu,
un illetterato incompetente, che poco comprende dell'universo
artistico. E quindi, lui, come metafora del pubblico del primo
Novecento, non compare mai in scena in prima persona, ma parlando per
bocca d'un suo servo, l'Haushofmeister,
ordina che siano esauditi i propri capricci. Ed quest'ultimo è
l'unico a comunicare parlando e non cantando, ad esplicitare la
distanza del suo padrone/pubblico dal mondo artistico. Poche le
caratterizzazioni musicali vere e proprie in questo Vorspiel,
a testimoniare l'effettivo impegno leggero di Strauss. Alcuni
culmini, in termini di altezza e di tensione lirica, sono raggiunti
dal personaggio del Componist3
intento a difendere a spada tratta la sua creatura; mentre, com'era
naturale, gli interventi dei commedianti sono accompagnati da una
musica sorniona ed allusiva. I recitativi sembrano così evolversi e
svilupparsi in forme più complesse, per poi di nuovo regredire,
facendo calare il sipario su un duetto del Componist
e di Zerbinetta, i campioni di due mondi artistici apparentemente
inconciliabili, tanto da strappare all'agitato finale del Vorspiel
un cupo accordo di Do minore.
La
successiva ouverture all'Oper
è particolarmente ispirata e profonda ed adempie al compito di
calare il pubblico nell'atmosfera di un dramma già consumato,
l'abbandono di Arianna sull'isola di Nasso. Ed è qui, al contrario
del Vorspiel,
che la dimensione dialogica vien quasi a perdersi, ed ogni intervento
si carica di autoreferenzialità, quasi un parlare tra se e se, in
funzione d'una presentazione al pubblico. La forma musicale, in
quanto tale, è ormai liquefatta e solo a volte si raddensa in grumi
lirici e corali, timidi echi della tradizione, quasi
indipendentemente dalla volontà di Strauss, che parrebbe accogliere
così la lezione wagneriana della melodia infinita. Interessante la
contrapposizione statica tra Arianna/Coro di Ninfe e Zerbinetta/Coro
di maschere, con le parti corali rese interessanti dalla struttura
spesso canonica. L'interazione vera e propria tra i personaggi in
scena arriva con l'ingresso di Bacco sul palcoscenico, annunciato
dalle ninfe. Si tratta, però, di un iniziale continuo fraintendersi,
con Arianna che pensa ad un ritorno di Teseo e Bacco che inizia ad
invocare il nome di Circe. Il momento dell'agnizione lascia Arianna
sola sull'isola, al verso tritt
der Gott hingegangen, sind wir stumm4.
Sola come effettivamente era sempre stata fino all'arrivo del dio,
come se effettivamente gli altri personaggi fossero solo frutto della
sua immaginazione, come "figurine di gesso sulla stufa"5.
La voce di Bacco porta Arianna alla scelta, alla decisione, alla libertà dal ricordo dell'abbandono, facendo ammutolire ed uscire di scena in silenzio tutti le immagini che hanno animato la sua solitudine. Si consuma qui il passaggio dalla preesistenza all'esistenza, cui Hofmannsthal già accennava nella famosa Lettera di Lord Chandos del 1902. E sia chiaro anche Bacco è uscito dalla sua preesistenza: non è più il fanciullo eterno adolescente ammaliato dalla maga Circe, ma è cresciuto attraverso le sue esperienze e si presenta ad Arianna nel massimo fulgore della sua divinità, come se fosse il Bacco di Nonno di Panopoli, appena terminato il lungo viaggio delle Dionisiache. Il significato mistico-esoterico è chiaro, tanto lampante da aver convinto i due autori, a distanza di quattro anni tra una e l'altra versione, a modificare un unico punto dell'Oper: il finale. Infatti, nella prima stesura, il tutto si chiude con un corale a cui partecipano tutti i personaggi, una sorta di commiato del coro alla maniera del dramma greco antico; mentre la rielaborazione del 1916 termina con il duetto di Arianna e Bacco, a rilevarne la crescita interiore, l'avvenuto passaggio all'esistenza, sotto l'egida della psicologizzazione del mito e della ritualità dell'esperienza erotica, lasciando allo spettatore – con le parole di Landolfi – "uno dei frutti più felici della collaborazione tra il poeta e il musicista".
La voce di Bacco porta Arianna alla scelta, alla decisione, alla libertà dal ricordo dell'abbandono, facendo ammutolire ed uscire di scena in silenzio tutti le immagini che hanno animato la sua solitudine. Si consuma qui il passaggio dalla preesistenza all'esistenza, cui Hofmannsthal già accennava nella famosa Lettera di Lord Chandos del 1902. E sia chiaro anche Bacco è uscito dalla sua preesistenza: non è più il fanciullo eterno adolescente ammaliato dalla maga Circe, ma è cresciuto attraverso le sue esperienze e si presenta ad Arianna nel massimo fulgore della sua divinità, come se fosse il Bacco di Nonno di Panopoli, appena terminato il lungo viaggio delle Dionisiache. Il significato mistico-esoterico è chiaro, tanto lampante da aver convinto i due autori, a distanza di quattro anni tra una e l'altra versione, a modificare un unico punto dell'Oper: il finale. Infatti, nella prima stesura, il tutto si chiude con un corale a cui partecipano tutti i personaggi, una sorta di commiato del coro alla maniera del dramma greco antico; mentre la rielaborazione del 1916 termina con il duetto di Arianna e Bacco, a rilevarne la crescita interiore, l'avvenuto passaggio all'esistenza, sotto l'egida della psicologizzazione del mito e della ritualità dell'esperienza erotica, lasciando allo spettatore – con le parole di Landolfi – "uno dei frutti più felici della collaborazione tra il poeta e il musicista".
Adriano
Morea
Clicca qui per vedere ed ascoltare l'Ariadne auf Naxos, nell'esecuzione dei Wiener Philharmoniker
1"Potrebbe
darsi benissimo che Ella abbia completamente dimenticato questa
cosa, tuttavia non credo che Lei faccia parte di quelle persone che
dimenticano, e fosse pure qualcosa di insignificante".
2"Die
eine unter Millionen, [...] die Frau, die nicht vergißt"
3Il
quale, per merito di Strauss, è interpretato da un'attrice en
travesti, a simboleggiarne
l'inesperienza
4Trad.:
"è apparso il dio, e noi siamo ammutoliti"
5Epistolario
di Hofmannsthal, 23 Luglio 1911
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