C’era una volta Hugo Pratt e c’era una volta… anzi no, lui è per sempre perché Corto Maltese, nato il 10 luglio 1887, è immortale. Tant’è che mi sono trovato a parlarne proprio un 10 luglio, del 2014, mentre Corto compiva 127 anni. Ancora si tiene in forma e guarda un mare qualsiasi del suo universo. Gabbiani che si levano in aria mentre un rito, forse vudù, forse maori, sta per compiere il suo corso. Ero con due compagni d’eccezione: Marco Steiner, autore per Sellerio del gioiello intitolato, a proposito di uccelli, “Il corvo di pietra”, romanzo sulla prima avventura di Corto Maltese quattordicenne, e Stefano Babini, disegnatore del disincantato e anarchico marinaio.
Chi era Hugo Pratt per te, Marco?
«Hugo si definiva un fumettaro e io ero il suo ragazzo di bottega, lo aiutavo nelle storie, mi immergevo nelle ricerche e inevitabilmente nelle immagini che creava. La parte che ho preso di più da lui è stata la sua capacità di raccontare. Ti spiego, quando ci conoscemmo mi chiese quali fumetti leggessi e io gli risposi “Mandrake”, aggiungendo: e Salgari. La sua replica fu: beh… sei già un pezzo avanti. Poi, con Hugo, ecco profilarsi la sagoma di Corto e sai cosa ho scoperto? Che per raccontare una storia a fumetti ci vuole una grandissima cultura, una precisa conoscenza e una documentazione sterminata. Perché se devo disegnare una tavola con un indiano irochese che spara a un cervo in una foresta canadese della metà del Settecento, devo sapere come è fatto un irochese, come è vestito e che capigliatura porta, devo sapere come erano le foreste canadesi dell’epoca e il fucile con il quale uccide l’animale».
«Corto Maltese è il simbolo complessivo di un desiderio di viaggio e conoscenza. E la conoscenza è evoluzione, la conoscenza è qualcosa di alchemico che progredisce, si trasforma, proprio in questo modo l’ho pensata nel mio romanzo. Mi sono avvicinato a Corto con rispetto, senza nessuna pretesa di completare chissà cosa della sua vita, avendo sempre presente la sua vera essenza: Corto è un apritore di porte, Corto è la curiosità, cito come esempio il suo interesse per l’ebraismo e la cabala che sono strumenti di apertura eccezionali. Grazie a Corto si entra in altri mondi. Più che uno stato d’animo, che mi sa di passeggero, lo definirei un modo di essere».
Tu, Stefano, come hai conosciuto Hugo Pratt?
«Ah be’ la mia è stata un’avventura. Ero un disegnatore di provincia di figure erotiche e feci una mostra a Mordano, la città di Carlo Lucarelli. A un certo punto entra un signore vestito come un ufficiale sudista che scopro essere Lucio Manoni, il braccio destro di Hugo che, pensa te, cercava un cimitero militare inglese e aveva sbagliato completamente posto. Oramai che c’è, guarda la mostra e dice: “mi lasci alcune sue opere che le mostro a Hugo Pratt”. Sotto gli sguardi attoniti di sindaco, assessori e pubblico intervenuti all’inaugurazione, stacco alcuni disegni e li consegno a Manoni con il numero di telefono di casa di mia nonna. Dopo un po’ di tempo, sento uno squillo, rispondo e dall’altra parte della cornetta: “sono Hugo Pratt, vorrei parlare con Stefano Babini”. Penso a uno scherzo, mi tremano le gambe, invece è davvero Pratt che aggiunge: “domattina alle 7 a Mestre”. Parto con un treno notturno pazzesco dove non c’è nessuno se non un gruppetto di suore. In braccio tengo ovviamente i miei disegni erotici. Comunque alle 7 sono a Mestre e Manoni, puntuale, intima di salire in auto: “bene, andiamo a Losanna”. Come a Losanna? “A casa del maestro”. Non avevo neppure un paio di mutande di ricambio, né la carta di identità perché pensavo di tornare in serata e mia nonna mi aspettava per cena.
Arrivo a Losanna e Pratt viene subito al dunque: “fammi vedere le tue cose”. Le studia e sentenzia: “tu hai talento ma ora t’insegno il sentimento”. Sono rimasto lì 12 giorni. Nel frattempo Manoni, con un po’ di soldi di Pratt, va alla Benetton a comprarmi della biancheria. Il dodicesimo giorno, Pratt mi chiede: “parlami della ‘Strega Rossa’ il film con John Wayne”, che guarda caso avevo visto qualche sera prima di partire in una tv assurda tipo TeleElefante. Biascico qualcosa su Wayne e la trama del film e alla fine del soggiorno Hugo telefona alla Bonelli e a seguito della telefonata vi comincio a lavorare».
Il disegno nell’epoca del computer design può sopravvivere, Stefano?
«Questa domanda mi fa venire in mente la battuta de “Il grande Lebowski” quando a Jeff Bridges chiedono: cosa pensa del sesso virtuale? Ancora mi faccio le seghe a mano. Bene, per quel che mi riguarda uso un foglio di carta, l’inchiostro e gli acquerelli e ne gusto tutti gli odori. Sono della vecchia generazione».
Marco Steiner che ci dici della genesi del “Corvo di pietra”?
«Ero a Scicli dove avevano allestito una mostra sugli acquerelli di Hugo e su alcuni miei racconti di viaggio. Qui vengo a conoscenza di una serie di aneddoti. Il primo su una signora siciliana di fine Ottocento che di cognome faceva Maltese e importava ceramiche dall’Inghilterra. Allora la fantasia mi ha fatto immaginare che assieme a queste ceramiche ci fosse un corvo di pietra con nascoste formule magiche. Poi mi parlano delle trovature, queste grotte, fenditure rocciose, anfratti dove le famiglie siciliane a ogni ondata di invasori nascondevano i tesori a loro più cari. Infine a una cena conosco un cuoco di nome, Ciccio Sultano seduto a un tavolo dove alcuni siciliani con la coppola in testa mangiavano e bevevano di gusto. Ciccio Sultano, un nome del genere non lascia indifferenti, mi racconta di ricette e piatti dell’isola… insomma è venuta fuori una formula alchemica che mi ha portato alla trama del libro dove questi strani personaggi sono un po’ tutti misteriosi filosofi e Corto si trova alla prese con una vicenda che ho trovato perfetta per la sua formazione».
Insomma la fantasia, questa cosa sensuale, perfino sexy, ha colpito ancora tramite Corto e, indirettamente, Pratt.
«Sai cosa mi diceva Hugo? Tu racconta verità come fossero bugie, così potrai raccontare bugie come fossero verità. Questo è il segreto, alchemico, della scrittura. Se parti con un contesto storico preciso, una ricostruzione rigorosa a monte, puoi davvero lasciarti andare e fare sognare».
Svelato il trucco dello scrivere, qual è Stefano il trucco del fumettare?
«Ricorro ancora alle parole di Hugo: ricorda che per una bella storia a fumetti devi partire sempre con in testa un bel finale. Certo, la documentazione è fondamentale, ma… un bel finale. È chiaro che in corso d’opera la storia può essere modulata, qualcosa puoi cambiare e così faceva pure lui».
Qual è il luogo dell’anima di Marco Steiner viaggiatore?
«Il Mediterraneo. In fondo è qui che è nato Corto, da una maltese di origini zingaro-andaluse impregnata di ebraismo e da un padre contrabbandiere della Cornovaglia. Comunque importante è una cosa: ricordarsi che il viaggio sono le persone che si incontrano e con esse porsi sempre alla stessa maniera, come Corto che mostrava identico approccio con l’ammiraglio della flotta imperiale britannica e con il pescatore delle Fiji. In fondo, comportandomi in questa maniera sento di rispettare anche Hugo Pratt verso il quale, ribadisco, i miei sono omaggi senza alcuna pretesa di completare chissà quale biografia».
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