di Marco Cassardo
Miraviglia Editore, 2014
pp. 236
€ 16,50
"Giorgio, cosa ti succede? Non sei il solito Boe. Sei un'altra persona, assente, lontana. Problemi? Con me puoi confidarti".
"No, tutto ok. È che in questo periodo... Come dire, non so che pesci pigliare, la vita è un'anguilla".
(p. 87)
In ufficio tutti conoscono Giorgio Boe per i suoi vestiti formali, il tono pacato, l'affidabilità. E tutto quel grigiume nasconde i sentimenti di Giorgio per la sua collega Rossella, che lo tratta da amico o, per meglio dire, da confidente. A casa, la sorella Anita sospira per l'ipocondria e le paure quasi patologiche di Giorgio; il cognato Marlon cerca di far conversazione - spesso inutilmente - con Giorgio; e solo il nipote Dustin, con le sue idiosincrasie adolescenziali, sembra entrare in comunicazione con questo zio attento a non scoprire mai troppo le sue carte. Un uomo medio, insomma, come ce ne sono tanti. E come tanti (o tutti?) Boe ha un doppiofondo: inizia a covare odio per il suo lavoro sempre uguale, detesta il cognato Marlon, ama Rossella, seduce e si lascia sedurre in chat da Alice, una venticinquenne che scalda le serate di Giorgio con immaginazioni oltre le righe. Ma, come si legge nello stesso romanzo, "murarsi vivi è pericoloso. La tentazione di essere infelici è la più forte che c'è" (p. 138), e Boe vi ha ceduto a lungo, a costo di rinunciare al suo sogno di diventare cantante neomelodico, e di dedicarsi tuttalpiù al karaoke nella sua stanza.
Insomma, una vita repressa, dove tutti gli stimoli sono abortiti per paura di un rifiuto. Giorgio Boe sembra sempre di più un inetto alla Zeno Cosini, e ci aspettiamo una sua "ultima sigaretta", magari un'"ultima canzone" di Massimo Ranieri al karaoke. Invece, c'è un morbo che si fa strada fin dalla primissima pagina: l'influenza Ovina. Ricordate tutte le apocalissi mediatiche? Ecco, non conta per Giorgio essere realmente malato o no: lui, da bravo ipocondriaco, si sente tutti i sintomi della malattia, e decide di essere spacciato.
Cova quindi in silenzio i suoi dubbi più atroci, aumentati dagli articoli di cronaca che intervallano il romanzo e, al tempo stesso, fanno da background al climax ansiogeno di Boe. Forse la "verità" è però più soffusa e meno immediata:
"La verità è che per stare al mondo abbiamo bisogno di spaventarci o di fare la guerra. E allora trascorriamo tutto il nostro tempo a inventarci nemici. Ci eccitiamo così, il terrore e la violenza sono i migliori antidoti alla noia. Il giorno in cui riusciremo a stare ore e ore a fissare una pianta senza desiderare altro avremo raggiunto la felicità" (p. 137)
E il nemico potrebbe proprio essere la malattia... Allora anche l'idea di incontrare Alice, rivelare a Rossella il proprio amore e rivoluzionare via via la propria vita squallida, valorizzando improvvisamente l'hic et nunc, perché "non appena esce di scena, tutto ciò che è stato perde di senso, il passato diventa un formicolìo di ombre" (p. 115).
Non immaginate una riscossa alla Bruce Willis: Boe è pur sempre Boe, e scivola sul ghiaccio ogni volta che la vita lo sorprende. In effetti, i colpi di scena non mancano: alcuni sono particolarmente divertenti, fantasiosi, e mettono alla prova la resistenza di un uomo così metodico; altri inquietano un po', e non hanno un altissimo grado di verosimiglianza. In ogni caso, il romanzo resta un caso piacevole, ironico e intelligente di riscossa personale: cantare l'anti-eroe in questi anni va molto di moda. Certo, cantare un anti-eroe che ha per idolo Massimo Ranieri non s'era ancora visto.
GMGhioni
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