Alla fine andrà tutto bene (e se non va bene... non è ancora la fine)
di Raquel Martos
Feltrinelli, 2014
Traduzione di Enrica Budetta
pp. 272
cartaceo € 15.00
Prendi Carla, una quasi-quarantenne logorroica, «troppo romantica e un po' tontolona [...] in tutti gli aspetti della vita» (p. 20), vivace e simpaticissima, che ha tanti amici, un carattere estroverso e un'opinione sul mondo e sulla sua Madrid. Qualcosa si incrina, prima ancora che si apra il romanzo: finisce la relazione con Roberto, egoista e menefreghista (ma «a volte succede, ti innamori di quello sbagliato e mandi tutto a rotoli» e «non ascolti quelli che cercano di avvisarti del pericolo di un rapporto così malato», p. 95); il lavoro in radio inizia a pesare, perché le tante aspirazioni di Carla sono via via frustrate e lo stipendio è da fame. A questo si aggiunge la notizia che aprirà la crisi maggiore (e animerà il romanzo): un'operazione alle corde vocali terrà Carla zitta per sei settimane.
La lunga convalescenza nasconde altro: costringe la protagonista a fermarsi davanti a questioni che avrebbe probabilmente rimandato ancora. Ad esempio, come affrontare la morte del fratello, dopo due anni di sofferenza? Davvero non c'è modo di dimenticare Roberto? E perché il suo migliore amico Juan si comporta così con lei, dopo una notte "accidentale" di sesso? Come riprendersi e ritrovare sé stessa, se l'intervento avesse danneggiato per sempre la voce?
Tutte domande che l'io narrante riversa, tratta e almeno in parte risolve in una narrazione fluviale, simpaticissima, facile da deglutire per le lettrici (sì, è un romanzo soprattutto al femminile), che riconosceranno il gusto del precedente I baci non sono mai troppi (sempre Feltrinelli, 2013). Non c'è solo la freschezza di una storia che ti pulisce la bocca da tanti romanzi amari e pessimistici: una punta di asprigno si sparge anche qui, è un retrogusto chiaramente, ma le paure di Carla sono inevitabili, e la sua grinta di tanto in tanto si interrompe per fare posto ai dubbi.
Ma anche le lettrici condivideranno il parere di Juan, e vorranno ricordare a Carla: "Tu sì che sei fantastica! Non dimenticarlo mai" (p. 184). E poi la capiranno per il fatto che "tutti a un certo punto della nostra vita abbiamo sentito che non siamo in grado di andare avanti, che non ci resta niente per cui lottare, né voglia, né forze per provarci, ma poi ci riusciamo, o almeno ci proviamo" (p. 76). Ecco il punto più positivo del romanzo: l'incoraggiamento a non perdersi d'animo, non per un ottimismo stupido e ingenuo, ma perché si può sempre combattere. Infatti Carla si dibatte, piange e sembra perdere speranza, ma poi recupera, si rialza e trova altri modi per comunicare, con tutta la sua passionalità mediterranea.
Anche lo scoglio del silenzio è presto superato: lavagnette, sms, whatsapp, chat, email sono solo alcuni dei modi che troverà Carla per raccontarsi (e per raccontare il romanzo, con una sfiziosa fusione tra narrazione tradizionale e stile asciutto e tachigrafico da nuove tecnologie). E poi ci saranno le smorfie per contraddire Juan a cena, gli sguardi d'intesa con la migliore amica Marián, le lacrime solo parzialmente nascoste alla madre, e anche... perché no, il linguaggio non verbale (e qui ci fermiamo per non togliere la sorpresa)...
La simpatia di Carla contagia subito, e dopo le prime cinquanta/sessanta pagine parteggerete per lei, e spererete che, almeno nel romanzo le cose vadano meglio che nella realtà (guarigione, crisi economica, sentimenti,...). Vi affezionerete all'estroversione di Carla, vi sembrerà di conoscerla da sempre. La vita di Carla è la vita di tante di noi e, allora, non resta che sperare in un rimedio, almeno in questo romanzo che sembra la sceneggiatura di una commedia brillante. Accettate il biglietto di andata e ritorno per la Madrid di Carla, a suon di pensieri e di messaggini scritti, e vi contagerà il buonumore.
GMGhioni
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