La
guerra degli Scipioni
di Luca Rachetta
Mef, L’Autore Libri Firenze, 2009
di Luca Rachetta
Mef, L’Autore Libri Firenze, 2009
Dei molteplici ritratti caricaturali usciti dalla penna di
Luca Rachetta, quello dedicato a Giovanni Scipioni, uno dei componenti della
famiglia e interprete principale del mondo medio borghese “agiato”
rappresentato nella narrazione, sembra
appartenere a quella schiera dei personaggi che lo scrittore ama ritrarre e a
suo modo irridere nei suoi romanzi di formazione.
Giovanni è infatti un professore alle prese con un mondo
scolastico giovanile falsamente emancipato e un po’ troppo evanescente per un
uomo ancora aggrappato a indiscutibili metodologie didattiche e tradizionali
forme di comportamento. La conseguenza e il risultato sembrano condensarsi
sotto le veci, in particolare, di uno di
questi allievi, Mattia Lepri:
Col braccio destro appoggiato al davanzale della finestra cui era attaccato il proprio banco, guardava insistentemente al di là dei vetri, puntando la facciata dello stabile sito di fronte alla scuola come se volesse scrutare le scene di vita domestica celate dai muri esterni e lampeggianti a intermittenza, attraverso i piccoli varchi delle finestre e dei balconi. Ma siccome era assurdo pensare a una qualsiasi forma di interesse per le vicende quotidiane di persone a lui sconosciute, forse era più plausibile supporre che il ragazzo puntasse il palazzo prospiciente come avrebbe potuto il campanile di una chiesa o qualsiasi altro corpo che avesse occultato, con la sua mole, la vista del paesaggio che si poteva indovinare dietro di esso.[1]
Quello che dovrebbe essere per Giovanni l’Ort, il punto di riferimento della
propria esistenza, il locus amenous
rappresentato dalla famiglia, si rivela invece un boomerang sulla propria
incolumità psicologica, emozionale ed interiore: il rapporto con la figlia
Beatrice appare complesso e difficile da sostenere, per la distanza
generazionale, per le incomprensioni continue tra padre e figlia, per
l’insofferenza e l’incapacità di Giovanni di vivere la contemporaneità
accettando gli inevitabili cambiamenti che lo stesso trascorrere del tempo
segna in modo indelebile.
«Tu mi stavi pedinando!» gridò Beatrice puntandogli gli occhi infiammati in volto, mentre il padre sgranava i propri per la sorpresa «Sì, non negare! Ieri mentre stavo con gli amici al Parco dei Sospiri! E non inventarti menzogne o storielle per negare l’evidenza!» lo incalzò Beatrice prima che il padre riuscisse a rispondere, con lo stesso tono accalorato col quale aveva esordito. «Eri tu che ci seguivi! Ne sono sicura. Anche gli altri ti hanno riconosciuto! Sì, anche se cercavi di nasconderti dietro gli alberi ogni volta che giravamo la testa all’indietro!».[2]
L’altro fratello, Antonio Scipioni, è un eccentrico
impiegato comunale, relativamente “libero” nella conduzione delle proprie
mansioni impiegatizie: è fiero di aver istituito un sito, “fiore all’occhiello
del Comune” Dillo al sindaco con parole
tue, in cui vengono raccolte e segnalate alla massima autorità cittadina,
lamentele sui disservizi comunali o altre mancanze ai danni della popolazione.
Ironica e ben dettagliata è la cronaca dell’incontro tra i due nell’ufficio del
sindaco:
«Sindaco Voltattorni,» attaccò a dire come se stesse continuando un discorso già iniziato con le famose lettere e le richieste di incontro inoltrate direttamente alla segreteria del sindaco «ma è questa l’idea che lei ha riguardo all’amministrazione della cosa pubblica? A questo alludeva durante la sua campagna elettorale, quando prometteva di essere un primus inter pares al servizio della collettività? Ma perché un cittadino irreprensibile come il sottoscritto le deve correre dietro per chiederle un piccolo ma significativo riconoscimento alla serietà dimostrata e ai meriti conseguiti nell’esercizio quotidiano e indefesso del proprio lavoro. »[3]
Il fratello Paolo è invece alle prese con una moglie
inquieta con cui condivide una vita coniugale “faticosa” accanto ad una persona
che sospetta continui tradimenti, in realtà mai avvenuti, ma solamente
ipotizzati e vissuti nel proprio mondo onirico e ad un certo punto quasi
cercati…
«Dimmi chi è! Come si chiama!» gridò Eleonora. «Sì tanto l’ho capito che c’è di mezzo una delle sgualdrinelle che frequentavi anni addietro…O una nuova, ma dello stesso stampo! Perché voi uomini siete fatti così! Non lasciate se non avete l’alternativa già pronta e disponibile! Non siete come le donne, che hanno il coraggio di rimanere da sole…Voi uomini siete soltanto dei vermi pusillanimi!» «Sei pazza…Patetica…» rispose immediatamente Paolo, sconfortato dalla constatazione che Eleonora più parlava e più si allontanava dalla verità, quella che in parte sembrava avesse colto con la precedente ammissione delle proprie colpe. «Non c’è di mezzo nessun’altra donna, anche se ti fa comodo pensarlo…».[4]
Ecco che allora la caratterizzazione dei tre personaggi del
romanzo, “il professore, il misantropo e il nevrotico sentimentale” si muovono
nell’intento, per lo scrittore, di far emergere, attraverso una narrazione
chiara e talvolta fuori dalla logica corrente, tra il realistico, l’ironico e il
paradossale, i tormenti e i rovelli della vita umana. Protagonisti che ruotano
attorno ad una “sofferenza interiore” legata ad una nostalgia, fuori dalle
convenzioni di una società in crisi d’identità; sono i motivi ispiratori di un
umorismo non fine a se stesso ma che affronta con garbo, il rapporto complesso
dell’uomo all’interno della modernità attuale.
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