Midnightwalker
di Domenico Cosentino
Palladino
Editore 2014
pp. 156
€ 8,00
“Se pensate che la poesia sia esprimere i propri pensieri, la propria visione del mondo con grazia, dolcezza e raffinatezza, quelle di Cosentino non chiamatele poesie.” (citazione dal sito www.domenicocosentino.it)
Infatti,
non lo facciamo. Può coesistere il bello e il brutto in un solo volumetto, ci
chiediamo piuttosto? Sì, e ve ne porgiamo un esempio diretto, molto più
immediato di qualsiasi spiegazione.
Collusion
Mangio
il tonno in scatola della
Dicoop
direttamente
nella scatoletta
di
metallo,
affacciato
al balcone
con
il vento che mi asciuga il
sudore
osservando
il cavalcavia
dove
i marocchini vanno a
pisciare
di notte
le
foglie marciscono e diventano
gialle.
Le
finestre dell’asilo comunale
Hanno
tutti i vetri rotti
Come
gli spazi tra i denti
Di
quei vecchi
Che
hanno fatto la guerra
E
i loro occhi
Sono
ancora pieni di stupore.
Gipsy King
Le
zingare si lavano la fica
Nei
bagni dell’università.
Con
il piede poggiato sul
Lavandino
E
la gonna lunga a coprire
Le
vergogne,
strappano
fazzoletti di carta
e
se li passano sulla fessa,
velocemente.
Come
se stessero facendo
Una
sega ai propri uomini.
Alle
8.30 del mattino,
con
il sapore del caffè ancora
in
bocca
freno
un conato di vomito,
giusto
in tempo.
Fuori
ragazze
Con
la “S” pronunciata
Squittiscono,
mentre
il sole bacia
le
loro tette abbronzate
come
provole affumicate.
Ho
infranto la mia promessa
Di
non venire più
All’ateneo
E
ora me ne pento.
Tutto
questo
Per
una
Maledetta
cacata.
Ok,
qual è secondo voi la migliore di queste due poesie che convivono in “Midnightwalker” di Domenico Cosentino?
Certamente la prima. Perché? Ma per le mille ragioni subliminali attraverso cui
la poesia vera va dritta all’anima tramite scorciatoie intuitive. La seconda,
invece, è brutta. Non ci sono altre parole per definirla, brutta e basta.
Ecco,
il volume di Cosentino, che egli definisce “raccolta di pessime poesie” è una
commistione – tanto di moda oggigiorno – di prosa e poesia, miniracconti senza
capo né coda, e versi intervallati da parentesi quadre a segnare gli
enjambement, ma anche di pezzi belli e
brutti, come se non fosse in grado di distinguere, non volesse rinunciare a nessun
appunto preso, a nessuna riflessione sgorgata, oppure, più sottilmente, volesse
denudare un’anima fatta di contrasti, di poesia e volgarità, di sublime e
repellente.
Le
poesie sono discorsive, i racconti vagamente lirici. Alcuni testi in prosa
raggiungono una quasi compiutezza da novella, altri sono abbozzi, divagazioni,
versi scritti uno di fianco all’altro, semplici enunciazioni, quasi che il
protagonista si affacci ad una ipotetica finestra e ci racconti quel che vede e
come lo vede, o, meglio, come lo sente, confessando i suoi pensieri segreti, i
suoi tormenti, spesso oggettivati in cose concrete o in gesti snervati, senza
nemmeno cercare aiuto o soluzione, piuttosto come un dato di fatto, un’esposizione
di quadri e stati d’animo precari. Squallide camere d’albergo, cavalcavia,
musica in sottofondo, fumo, saracinesche chiuse.
Il
tema è la solitudine di un uomo che probabilmente si trova a vivere suo
malgrado una vita da immaturo, fra sigarette, onanismo, amori non corrisposti o
finiti, lutti e perdite familiari, rimorso, tempo che passa sprecato. Camere d’albergo
da pochi euro, domeniche solitarie, il sesso come opposto della comunicazione, gesto
non compiuto, voglia di toccare senza poterlo fare che si risolve nell’atto
consolatorio di masturbarsi in un lavandino. Gli affetti, i ricordi, i rimpianti,
i rimorsi per le parole non dette (e sono i momenti più alti) si condensano in
figure di familiari che non ci sono più o che stanno per andarsene, la scoperta
della malattia acuisce ancor più una solitudine vissuta come estrema,
incolmabile. Chi è vicino non capisce e non capirà mai l’autoemarginazione, il
disagio interiore, la tortale estraneità al resto del mondo.
“Il ragazzo è diventato anche lui adulto. Porta con sé la solitudine di chi soffre, perché anche lui ora sta soffrendo maledettamente, ogni giorno a ogni ora. Nel reparto dell’ospedale o nel suo letto. Quando finge di sorridere, quando sta con gli altri, ma gli altri non lo possono capire. Ora il ragazzo è un adulto solo. La solitudine di chi soffre.” (pag 94)
“Le cose si capiscono sempre dopo. Quando tu devi affrontare le tue disgrazie e le tue battaglie e capisci che sei da solo e che quella solitudine è davvero forza. Ma questo o comprendi dopo. Sul momento pensi solo a lamentarti e compiangerti.” (pag 65)
qualità, non accontentarsi di
mettere su carta i propri sentimenti, le illuminazioni, ma costruire qualcosa
di più. Nel pezzo intitolato “Anche quello era amore” ci è quasi riuscito.
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