Rosaria
Lo Russo (Firenze, 1964) è una delle voci più forti e generose della poesia
italiana contemporanea. Oltre a scrivere, Rosaria Lo Russo traduce, legge,
interpreta i testi: si definisce “poetrice”, parola che condensa il suo lavoro
di produzione scritta e la sua attività di performer.
A
partire dalla fine degli anni Ottanta la Lo Russo ha pubblicato numerosi testi poetici e
raccolte. Mi limito a ricordare qui Commedia (Bompiani, 1998), Penelope (Edizioni d’If, 2003), Crolli (Le Lettere, 2012) e –
recentemente – una silloge di parte della sua produzione poetica, Poema (1990-2000) (Zona, 2013). In
costante dialogo con la parola della scrittrice americana Anne Sexton, di cui è
traduttrice, ha interpretato numerosi
testi suoi e di altri autori (come ad esempio di Piera Degli Esposti e Wisława
Szymborska). La sua è una poesia che gioca sulla musicalità dei significanti,
una parola che ritorna come un refrain da leggere a voce alta.
Giovedì
3 luglio ho avuto il piacere di incontrare Rosaria Lo Russo nella sua Firenze, torrida e
splendente sotto il sole di un pomeriggio estivo. Appuntamento alla Biblioteca
Nazionale e poi una passeggiata e un gelato in Oltrarno, che è stata la
verdeggiante cornice della nostra chiacchierata. Dalle prime parole sul suo
lavoro è emerso con chiarezza che in lei non c’è separazione tra attrice,
lettrice, scrittrice e traduttrice: sono tutte attività che si nutrono a
vicenda all’interno del suo lavoro. Rosaria aggiunge simpaticamente che lei in
realtà fa la locandiera, come Mirandolina: possiede, infatti, una casetta vicino
Firenze che affitta ad avventori e a chi ha bisogno di un po’ di quiete.
Simpatica e affabile, Rosaria Lo Russo ha
donato ai lettori di CriticaLetteraria queste preziose riflessioni.
Come pensi di inserirti nel panorama
della poesia contemporanea italiana? E che panorama è secondo te?
È
un panorama molto composito, anche se in realtà penso sia piuttosto una folla.
C’è un livello medio-alto molto diffuso e dei prodotti molto intelligenti (penso
ad esempio all’antologia Parola plurale).
Se devo collocarmi da qualche parte allora mi inserisco nella poesia scritta da
donne, una scrittura che nasce come performativa. Mi rispecchio perfettamente,
ad esempio, nel lavoro portato avanti con Daniela Rossi, quello di Fragili Guerriere, un manifesto di
poetica femminista. Senza pregiudizi però e senza schieramenti nitidi. Sono
bisognosa di storicizzazione e tempi lenti.
Quali sono i tuoi “padri” e quali le
“madri”? In che modo ti senti influenzata da loro?
Ammetto
senza riserve l’influenza di alcuni autori, perché è palmare: Dante e Anne Sexton
ad esempio. Ma poi il resto è una nebulosa. Il rapporto con gli autori per me è
vocale: non mi muovo in base alle fonti, ma in base alle voci. E, visto che io
mi ritengo una storica e studiosa del teatro, come faccio a non considerare le
voci di Piera Degli Esposti o di Carmelo Bene? Il mio è un percorso passionale
e multimediale. Ho amato come persone di famiglia donne per me “cristiche” come
la Rosselli o la Sexton.
Come è cambiata la tua scrittura dal suo
inizio, quindi dagli anni Ottanta?
A
un certo punto ho creduto di avere smesso di scrivere, ma ho ripreso dopo
cinque anni di pausa, con Crolli. Ho
sempre un maggiore interesse a scrivere per il video, la musica, la
performatizzazione della parola poetica. Ma, contraddittoriamente, dopo cinque
anni di tabula rasa, mi sono sentita attratta da fenomeni sociali. Sono forse
passata da un “barocchismo” a una “scrittura senza puntelli” e ora la mia
parola probabilmente si legge senza un costante riferimento ai padri.
Allora non è un caso che recentemente tu
abbia scritto una poesia per i terremotati dell’Emilia e un’altra per un
ragazzo morto in un incidente di moto. Si può intravedere un fine militante
dietro le tue parole?
Sì,
il fine c’è. Il poeta deve essere specchio e critica della società,
specialmente quando questa è malata. E allora la poesia sta nel nosocomio, come
dice il titolo di una mia raccolta.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Vorrei
sempre andare in territori non esplorati. Sto lavorando a un progetto che si
intitola Three women perception, in
collaborazione con un’altra artista italiana e una francese. Mettiamo in scena
la circolarità di tre esperienze femminili e sarà una performance in cui
verranno citate molte femministe. È un lavoro che si pone la domanda “è
possibile un’estetica femminile che non sia più derivata?”. Per ora si farà in
Francia, l’anno prossimo, prima a Bourges e poi al Cube di Parigi.
Serena
Alessi
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