L'estate dei segreti perduti
di E. Lockhart
DeAgostini, 2014
Il primo sentimento che suscita il romanzo di E. Lockhart è sicuramente curiosità: la storia presentata è piuttosto intrigante e per un momento convince quasi a dimenticare il target di riferimento del romanzo, quel young adult sempre più difficile da definire; ignorando quindi momentaneamente il sottogenere di appartenenza, We are liars – titolo originale del romanzo, senza dubbio molto più efficace e adatto di quello scelto per l’edizione italiana- appare come la storia di una ricchissima e potente famiglia americana, che ogni estate si riunisce nell’isola privata dei Sinclair per trascorrere insieme le settimane di vacanza tra spiaggia, gite in barca, chiacchiere, falò e cene nella casa patronale. I nipoti più grandi del patriarca Harris anno dopo anno sono diventati inseparabili in quelle settimane trascorse insieme sull’isola, una sorta di club dei Bugiardi (così si definiscono) chiuso al resto del mondo e che solo in quel piccolo microcosmo privato esiste, mentre a vacanze finite ognuno torna alla propria vita e si perdono i contatti fino all’anno successivo. Adolescenti ricchi e inquieti, i ragazzi Sinclair – Cadence, Johnny e Mirren- pochi anni prima hanno accolto Gat, il nipote dai tratti esotici del nuovo compagno di Carrie Sinclair, che i ragazzi presto considerano un membro della famiglia, e soprattutto dei Bugiardi, a tutti gli effetti, nonostante la sua estraneità pesi non poco al resto della famiglia. Quattro adolescenti quindi, un’isola privata dove trascorrere una manciata di settimane, la scoperta dei sentimenti, il primo amore intenso e struggente. Ma soprattutto segreti.
Gelosie e veleni dietro la facciata della solida famiglia borghese, divisa invece da calcolo e interessi economici e da un padre padrone che gode nel vedere le tre figlie fare a gara per il suo affetto (o per meglio dire, per il suo denaro); e, ancora più misteriosi, i segreti che via via si insinuano proprio tra i Bugiardi, quell’estate numero quindici in cui Cadence rimane coinvolta in un misterioso incidente e di cui sembra non ricordare quasi nulla ma che, inevitabilmente, rompe per sempre l’equilibrio apparente della famiglia Sinclair. Nessuno è disposto a parlare di cosa sia realmente accaduto, ma la giovane è ovviamente determinata a scoprire da sola, e grazie all’aiuto dei Bugiardi, la realtà delle cose mettendo insieme pezzo dopo pezzo verità che si faranno sempre più sconvolgenti.
C’era un volta un re che aveva tre bellissime figlie, alle quali era molto affezionato. Un giorno, quando già le tre principesse erano in età da marito, il regno fu funestato dall’arrivo di un terribile drago a tre teste. Il drago inceneriva interi villaggi, distruggeva i raccolti, bruciava le chiese e uccideva vecchi, bambini e chiunque incontrasse sul suo cammino. Il re allora promise la mano di una delle principesse a colui che fosse riuscito a sconfiggere il drago. Si presentarono paladini e cavalieri bardati di armatura, in sella a prodi destrieri e armati di lance e scudi. Uno dopo l’altro, vennero sconfitti e sbranati dal drago. Alla fine il re pensò che forse una fanciulla sarebbe riuscita a intenerire il cuore del mostro e riuscire laddove i cavalieri avevano fallito. Così mandò la figlia maggiore a impietosire il drago. Ma il drago non ascoltò nemmeno una parola e fece un solo boccone della principessa. Allora il re provò con la seconda figlia. Ma il risultato fu lo stesso. Il drago la inghiottì prima che potesse aprire bocca. Infine, il re mandò la figlia più giovane a implorare pietà al drago. Era una fanciulla talmente bella e intelligente che sarebbe certamente riuscita dove le altre avevano fallito. Sbagliato. Il drago divorò anche lei. E così il re rimase solo al mondo e disperato. E adesso rispondete a questa domanda: chi ha ucciso le tre principesse? Il drago? O il padre?
Abbastanza quindi per stuzzicare la curiosità del lettore, attratto da una trama intrigante che promette tuttavia molto più di quel che mantiene. Innanzitutto il limite più evidente del romanzo è l’incapacità di andare oltre la letteratura young adult e cercare un pubblico più variegato: nonostante le premesse infatti e la buona idea di fondo, il romanzo della Lockhart difficilmente saprebbe conquistare un pubblico adulto, non solo per il punto d’osservazione da cui la storia è raccontata, la sedicenne Cadence io narrante e protagonista della vicenda per la quale il mondo degli adulti resta uno sfondo sfuocato cui fare sporadici riferimenti mentre il reale cuore della narrazione è proprio quel gruppo di giovani inquieti; l’eccessivo sentimentalismo che occupa prepotentemente la prima parte del romanzo, con lo struggimento per il primo amore, è melassa pura che con le sue frasi fatte e al limite della banalità rischia davvero di annoiare anche un pubblico più congeniale.
La costruzione dei personaggi poi è davvero ingannevole: ci si aspetta un approfondimento psicologico assai maggiore di ognuno di loro o almeno dei protagonisti della vicenda che invece restano purtroppo mere ombre di persone reali, fissati per sempre nel ruolo minimo che è stato loro assegnato, incapaci di sviluppo, introspezione, sfaccettature.
Difetti difficili da perdonare ad una storia che davvero, in mani più esperte e mature, avrebbe senza dubbio dato esiti diversi. Pensiamo soltanto alla distruzione del mito borghese: la perfetta famiglia Sinclair che dietro la facciata di perbenismo e ricchezza cela rancori, relazioni disfunzionali, avidità e fallimenti; un patriarca che in fondo non nasconde il perverso piacere di vedere le tre figlie – adulte incapaci di affrancarsi dal controllo famigliare, costruirsi un’identità e una vita, che instaurano rapporti fragili o complicati- in una continua, sottile e fino ad allora mai dichiaratamente aperta lotta, che non gareggiano più per l’affetto di quel padre maligno ma esplicitamente per il suo denaro, le case in cui sono cresciute, i bei mobili e arredi che erano appartenuti alla madre di recente scomparsa (e figura effimera in questo affresco famigliare turbolento); e poi quei quattro adolescenti, primogeniti delle tre ragazze Sinclair, apparentemente ignari della faida famigliare in atto, pronti ad accogliere come un fratello il nuovo arrivato e stringersi ancora di più nel loro piccolo mondo ideale che ogni volta dura il tempo di un’estate eppure l’affetto che li lega è capace di rinnovarsi con eguale slancio anno dopo anno, come solo l’adolescenza è capace. Una materia che in mano esperta – non vorremmo dire, maggiormente capace- avrebbe saputo forse essere la base di un romanzo intenso, magari l’ennesima storia sul crollo del mito borghese americano, ma perché no ci piace immaginarla invece come un’interpretazione nuova di un topos che la letteratura statunitense ha in passato ampiamente sfruttato, con esisti spesso sorprendenti (un esempio su tutti: le rappresentazioni di Franzen). E quei protagonisti adolescenti avrebbero stregato - con il loro mistero, l’ambiguità della trama, l’assolutezza dei sentimenti- anche un lettore anagraficamente più maturo o semplicemente più esigente. Perché in fondo non è l’età dei protagonisti del romanzo a limitarne fortemente la portata, o se così fosse dovremmo rivedere buona parte della tradizione letteraria occidentale ed i suoi giovani eroi, e nemmeno forse – o non del tutto- l’eccessiva sentimentalità riversata nella storia d’amore tra Cadence e Gat, di cui dopotutto ai fini della trama si fa fatica a comprenderne la necessità.
La materia del mistery in chiave adolescenziale poi, non è del tutto nuova e sia in ambito letterario che televisivo ha ispirato storie anche piuttosto interessanti (penso per esempio alla serie americana Pretty Little Liars), aprendo orizzonti ancora non troppo esplorati e che si discostano dal filone davvero abusato negli ultimi anni del soprannaturale. Nel romanzo della Lockhart il mistery è sicuramente fulcro della storia, la suspense accompagna il lettore pagina dopo pagina, mentre segreti e rancori si fanno più chiari fino allo svelamento finale (ma che forse si, avevamo già in parte intuito).
Apprezzabile invece la scelta di uno stile volutamente non lineare, frammentato e brusco, espressione ideale della protagonista e voce narrante della storia, Cadence, che cerca di raccontare al lettore la storia della sua famiglia e soprattutto ricostruire, a due anni dal misterioso incidente, quell’estate numero quindici rimasta nella sua mente un ricordo confuso e frammentario. Insieme al lettore Cadence compie questo doloroso viaggio tra ricordi rimossi e segreti celati, che pagina dopo pagina scopriamo insieme alla protagonista, facciamo le medesime supposizioni su quanto sia realmente accaduto ogni volta dando una sfumatura diversa al libro che abbiamo tra le mani: storia d’amore tragico e struggente? Giallo? Mistery? Horror?
Sicuramente da notare, si diceva, la giusta scelta stilistica, con quella voce specchio preciso dell’insicurezza e fragilità della protagonista, l’ironia e gli sbalzi d’umore e di registro, che l’autrice costruisce sapientemente – e altrettanto sapientemente il traduttore italiano ha saputo riportare- e che diviene uno degli aspetti più interessanti del romanzo.
Qui e là sono poi disseminati potenziali spunti di riflessione che, se maggiormente approfonditi, avrebbero senza dubbio conferito maggior intensità al romanzo, ma che purtroppo restano invece solo accenni e pensieri fugaci: le differenze sociali e culturali che si accompagnano ad un malcelato bigottismo, il potere corrompente del denaro e la vacuità di vite senza sostanza, il gap generazionale… Ci vuole un estraneo a volte, o un evento tragico – o, come in questo caso entrambe le cose- per vedere con maggior chiarezza, per rivelare la vera natura delle cose dietro la patina del perbenismo e perfino per comprendere davvero noi stessi, spesso ingenuamente convinti di essere superiori a condizionamenti e retaggio culturale. E poi, come solo nei pressi del finale il lettore scoprirà, c’è la forza dell’adolescenza, quel senso di assoluta onnipotenza e cieca convinzione di essere i soli in grado di comprendere davvero la realtà delle cose, sicuri di essere unici detentori della verità e della chiave per rimettere ordine al caos del mondo degli adulti; perché in fondo, più dei battiti del cuore è il divario generazionale il fulcro del romanzo della Lockhart, è la fragilità e insieme il sentimento di onnipotenza dell’adolescenza contrapposta alla cieca rabbia distruttiva degli adulti la ragione di fondo della storia. E, infine, il senso di colpa, che come un macigno confonde la mente e rende quasi impossibile la vita. Il romanzo della Lockhart è quindi una continua altalena tra interessanti costrutti stilistici e debolezze narrative, sdolcinato sentimentalismo adolescenziale e maturi spunti di riflessione.
È contraddizione, assoluti e ripensamenti: è, in una parola, l’adolescenza.
La costruzione dei personaggi poi è davvero ingannevole: ci si aspetta un approfondimento psicologico assai maggiore di ognuno di loro o almeno dei protagonisti della vicenda che invece restano purtroppo mere ombre di persone reali, fissati per sempre nel ruolo minimo che è stato loro assegnato, incapaci di sviluppo, introspezione, sfaccettature.
Difetti difficili da perdonare ad una storia che davvero, in mani più esperte e mature, avrebbe senza dubbio dato esiti diversi. Pensiamo soltanto alla distruzione del mito borghese: la perfetta famiglia Sinclair che dietro la facciata di perbenismo e ricchezza cela rancori, relazioni disfunzionali, avidità e fallimenti; un patriarca che in fondo non nasconde il perverso piacere di vedere le tre figlie – adulte incapaci di affrancarsi dal controllo famigliare, costruirsi un’identità e una vita, che instaurano rapporti fragili o complicati- in una continua, sottile e fino ad allora mai dichiaratamente aperta lotta, che non gareggiano più per l’affetto di quel padre maligno ma esplicitamente per il suo denaro, le case in cui sono cresciute, i bei mobili e arredi che erano appartenuti alla madre di recente scomparsa (e figura effimera in questo affresco famigliare turbolento); e poi quei quattro adolescenti, primogeniti delle tre ragazze Sinclair, apparentemente ignari della faida famigliare in atto, pronti ad accogliere come un fratello il nuovo arrivato e stringersi ancora di più nel loro piccolo mondo ideale che ogni volta dura il tempo di un’estate eppure l’affetto che li lega è capace di rinnovarsi con eguale slancio anno dopo anno, come solo l’adolescenza è capace. Una materia che in mano esperta – non vorremmo dire, maggiormente capace- avrebbe saputo forse essere la base di un romanzo intenso, magari l’ennesima storia sul crollo del mito borghese americano, ma perché no ci piace immaginarla invece come un’interpretazione nuova di un topos che la letteratura statunitense ha in passato ampiamente sfruttato, con esisti spesso sorprendenti (un esempio su tutti: le rappresentazioni di Franzen). E quei protagonisti adolescenti avrebbero stregato - con il loro mistero, l’ambiguità della trama, l’assolutezza dei sentimenti- anche un lettore anagraficamente più maturo o semplicemente più esigente. Perché in fondo non è l’età dei protagonisti del romanzo a limitarne fortemente la portata, o se così fosse dovremmo rivedere buona parte della tradizione letteraria occidentale ed i suoi giovani eroi, e nemmeno forse – o non del tutto- l’eccessiva sentimentalità riversata nella storia d’amore tra Cadence e Gat, di cui dopotutto ai fini della trama si fa fatica a comprenderne la necessità.
La materia del mistery in chiave adolescenziale poi, non è del tutto nuova e sia in ambito letterario che televisivo ha ispirato storie anche piuttosto interessanti (penso per esempio alla serie americana Pretty Little Liars), aprendo orizzonti ancora non troppo esplorati e che si discostano dal filone davvero abusato negli ultimi anni del soprannaturale. Nel romanzo della Lockhart il mistery è sicuramente fulcro della storia, la suspense accompagna il lettore pagina dopo pagina, mentre segreti e rancori si fanno più chiari fino allo svelamento finale (ma che forse si, avevamo già in parte intuito).
Apprezzabile invece la scelta di uno stile volutamente non lineare, frammentato e brusco, espressione ideale della protagonista e voce narrante della storia, Cadence, che cerca di raccontare al lettore la storia della sua famiglia e soprattutto ricostruire, a due anni dal misterioso incidente, quell’estate numero quindici rimasta nella sua mente un ricordo confuso e frammentario. Insieme al lettore Cadence compie questo doloroso viaggio tra ricordi rimossi e segreti celati, che pagina dopo pagina scopriamo insieme alla protagonista, facciamo le medesime supposizioni su quanto sia realmente accaduto ogni volta dando una sfumatura diversa al libro che abbiamo tra le mani: storia d’amore tragico e struggente? Giallo? Mistery? Horror?
Sicuramente da notare, si diceva, la giusta scelta stilistica, con quella voce specchio preciso dell’insicurezza e fragilità della protagonista, l’ironia e gli sbalzi d’umore e di registro, che l’autrice costruisce sapientemente – e altrettanto sapientemente il traduttore italiano ha saputo riportare- e che diviene uno degli aspetti più interessanti del romanzo.
Qui e là sono poi disseminati potenziali spunti di riflessione che, se maggiormente approfonditi, avrebbero senza dubbio conferito maggior intensità al romanzo, ma che purtroppo restano invece solo accenni e pensieri fugaci: le differenze sociali e culturali che si accompagnano ad un malcelato bigottismo, il potere corrompente del denaro e la vacuità di vite senza sostanza, il gap generazionale… Ci vuole un estraneo a volte, o un evento tragico – o, come in questo caso entrambe le cose- per vedere con maggior chiarezza, per rivelare la vera natura delle cose dietro la patina del perbenismo e perfino per comprendere davvero noi stessi, spesso ingenuamente convinti di essere superiori a condizionamenti e retaggio culturale. E poi, come solo nei pressi del finale il lettore scoprirà, c’è la forza dell’adolescenza, quel senso di assoluta onnipotenza e cieca convinzione di essere i soli in grado di comprendere davvero la realtà delle cose, sicuri di essere unici detentori della verità e della chiave per rimettere ordine al caos del mondo degli adulti; perché in fondo, più dei battiti del cuore è il divario generazionale il fulcro del romanzo della Lockhart, è la fragilità e insieme il sentimento di onnipotenza dell’adolescenza contrapposta alla cieca rabbia distruttiva degli adulti la ragione di fondo della storia. E, infine, il senso di colpa, che come un macigno confonde la mente e rende quasi impossibile la vita. Il romanzo della Lockhart è quindi una continua altalena tra interessanti costrutti stilistici e debolezze narrative, sdolcinato sentimentalismo adolescenziale e maturi spunti di riflessione.
È contraddizione, assoluti e ripensamenti: è, in una parola, l’adolescenza.
Benvenuti nella splendida famiglia Sinclair. Qui non ci sono criminali. Non ci sono drogati. Non ci sono falliti. I Sinclair sono atletici, alti e belli. Siamo una facoltosa famiglia di stirpe democratica. Abbiamo sorrisi smaglianti, menti squadrati e un terribile servizio a tennis. Non importa se i divorzi straziano i muscoli dei nostri cuori. Non importa se il fondo fiduciario si sta esaurendo e le fatture inevase si accumulano sul ripiano della cucina. Non importa se i flaconi di pillole affollano il comodino. […] Siamo Sinclair. Nessuno è spiantato. Nessuno commette mai errori.
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