In uno dei vicoletti della vecchia Istanbul, al di là del porto, si trova il ristorante di Avrenos; ha le pareti dipinte di giallo, ospita una decina di tavoli e un lungo bancone sempre pieno di roba da mangiare.
I clienti di Avrenos sono sfaccendati - "artisti, giornalisti, uomini d'affari, nobili decaduti, viveur di mezza tacca" - e si rifugiano nel locale per passare le serate tra un sorso di raki e una boccata di fumo.
Istanbul, la porta che da Occidente conduce in Oriente, è la prima protagonista di questo romanzo di Simenon, maestro indiscusso nella scelta di quei chiaroscuri della parole con cui dà forma alle città delle sue pagine.
I vicoli di Galata, le ville di Tarabya affacciate sul Bosforo, i cimiteri di Eyup in cui passeggiare al chiaro di luna, il Pera Palas con le pareti addobbate da pesanti tappeti orientali e i mobili di mogano scuro, per ogni luogo c'è un dettaglio da ricordare, un colore che si fissa nella memoria come simbolo dominante di un personaggio, un paesaggio, un'emozione.
I vicoli di Galata, le ville di Tarabya affacciate sul Bosforo, i cimiteri di Eyup in cui passeggiare al chiaro di luna, il Pera Palas con le pareti addobbate da pesanti tappeti orientali e i mobili di mogano scuro, per ogni luogo c'è un dettaglio da ricordare, un colore che si fissa nella memoria come simbolo dominante di un personaggio, un paesaggio, un'emozione.
Accanto al Simenon delle atmosfere c'è quello che scolpisce memorabili caratteri e proprio in questo libro si trova una delle figure femminili più speciali di tutta la sua produzione: Nouchi.
Diciassette anni, una bellezza non convenzionale con il suo viso dai contorni irregolari, le gambe sottili e i seni già maturi. Dall'infanzia nella periferia operaia di Vienna a una vita da ballerina tra un night e l'altro, ha un unico saldo obiettivo: non soffrire più la fame e la povertà patite da bambina.
Delicata e feroce, spietata e compassionevole, innocente e sensuale, Nouchi è la sintesi di ogni opposto, la donna per cui ogni uomo perderebbe la testa. Da tutti si lascia corteggiare senza mai concedersi, ricerca le lusinghe ma non sarà mai disposta a chiudersi nel recinto di un rapporto, impegnata com'è a fuggire il suo passato e a godersi una Istanbul di feste e di champagne, di barche che scivolano sull'acqua del Bosforo e di piaceri goduti furtivamente.
Nouchi è l'ape regina che incanta tutti i clienti di Avrenos e soprattutto Jonsac timido e indeciso, quarantenne squattrinato che per lei si annulla, rinunciando definitivamente a costruire una propria vita.
Pur non trattandosi di un giallo, anche nei I clienti di Avrenos Simenon racconta una vicenda che ha un preponderante lato oscuro che si allungherà come un'ombra sui destini dei personaggi.
Questa volta è un male oscuro che sembra sorridere, che ammalia e seduce come quella affascinante Istanbul degli anni Trenta, abbagliante di colori ma in cui la notte è più umida e scura che mai.
Edizione di riferimento: Georges Simenon, I clienti di Avrenos (traduzione di Federica Di Lella e Maria Laura Vanorio), Milano, Adelphi, 2014, pp. 158.
Il pomeriggio, attraversando i giardini di Taksim che dominano il Corno d'Oro, Nouchi aveva arricciato il naso aguzzo, mentre le pupille, simili a due piccole biglie nere, le si avvicinavano l'una all'altra e aveva decretato: "Dobbiamo venire ad abitare qui". Jonsac aveva imparato a riconoscere quell'improvvisa fissità dello sguardo, quel fremito delle narici, l'espressione di una bramosia quasi animalesca.
Poi si girò verso un un uomo sui trentacinque anni, con i capelli già grigi e un sorriso beffardo, che si inchinò per salutare la ragazza e le baciò la mano.
"Ousun, il banchiere.."
"Ci siamo già conosciuti" disse lei.
Anche lui se lo ricordava, ma forse non osava rievocare le circostanze dell'incontro. Fu Nouchi a spiegare: "E' stato a Costanza, in Romania... Al Maxim..."
Fra i due, era l'uomo a sentirsi in imbarazzo. Lei continuò a sorridere con l'aria di sufficienza per tutta la durata di quella cena caotica, senza ordine, in cui ognuno mangiava quello che voleva quando voleva e pagava la propria parte.
Erano lì, tutti insieme, Selim bey che recitava versi, Ousun che andò a sedersi ai piedi di Nouchi, Mufti accompagnato da Lelia, lo scultore con suo fratello, che aveva una faccia da calmucco, Tefik bey, e altri due o tre giovani che Jonsac non conosceva. Di fronte, Costantinopoli allargava contro il cielo purpureo il ventaglio dei suoi minareti e delle sue cupole [...] Qualche barca a vela scivolava sul Bosforo. Davanti al porto erano ancorate delle navi, e nella luce del tramonto i loro scafi verniciati col minio si accendevano di rosso sangue.
A cura di Claudia Consoli