L’età del noir
di Renato Venturelli,
Einaudi, Torino, 2007
di Renato Venturelli,
Einaudi, Torino, 2007
Genere
(per quanto tale termine sia superato o forse solo inefficace nel delimitare frontiere
e demarcazioni relative a meccanismi inclusivi/esclusivi) alquanto duttile e
trasformista, transepocale e difficilmente inquadrabile in estetiche esatte, il
noir dagli anni novanta del secolo
scorso in poi ha invaso l'immaginario telecomandato delle mode contemporanee, proponendosi
come un marchio che al di là del cinema si espande nella letteratura, nel fumetto,
nei videoclip e quant’altro. Ma come definirlo in termini critici senza
risultare imprecisi, o peggio estenderlo ad ogni tipo di narrazione criminale
con forti connotazioni di violenza? Volendolo affrontare con rigore filologico
e da un’esclusiva angolazione cinematografica, è necessario ricostruire le diverse
tappe della sua nascita, sviluppo ed evoluzione, ipotizzandone il suo esordio intorno
al 1940, quando in un ampio bacino di raccolta confluiscono incroci e
contaminazioni di generi in voga nel cinema americano del decennio precedente: gangster-film,
poliziesco, horror, giallo, thriller, melodramma, woman's film apporterebbero
ognuno un contributo al nuovo mood di rendere in termini cinematografici
storie a sfondo criminale, dall'atmosfera cupa e opprimente, girate con uno
stile visivo ben delineato: bianco e nero contrastato, giochi di luce e ombra con
netta prevalenza della seconda, profondità di campo, illuminazione artificiale
e senza filtri, evidenti debiti con l'espressionismo tedesco e il realismo poetico
francese, distorsioni visive e narrative, caratterizzazione dei personaggi in
senso cinico e disilluso, forse anche esistenzialista. La nota saliente che
rende queste pellicole diverse dai crime
movie precedenti si rivela l’interiorizzazione
del racconto criminale, lo spostamento
dell’attenzione dalle dinamiche esterne (la soluzione di un giallo, l’ascesa di
un gangster, lo sfondo sociale) a quelle interne (i traumi del passato, i sensi
di colpa, la lotta impotente contro il destino, il rapporto con la morte, ecc).
Una
buona dose di violenza e sadismo (quasi sempre fuori quadro e più suggeriti che
mostrati, secondo una lezione che il cinema contemporaneo sembra aver
dimenticato del tutto) completano il quadro di un universo narrativo spesso
attinto dagli scrittori statunitensi cosiddetti hard-boiled e dai
tascabili pulp.
La puntuale ricognizione di Venturelli parte
proprio dagli albori per poi percorrere diacronicamente l’evoluzione del noir
americano fino alla sua deflagrazione alla fine degli anni ’50 (tesi
condivisa con altri autorevoli studiosi del settore come Paul Schrader), motivandola
con diversi fattori che pongono termine alla sua stagione aurea: avvento del
colore, diffusione del mezzo televisivo, crisi dello Studio System con riorganizzazione
del sistema produttivo e conseguente fine delle compagnie indipendenti o
minori.
Curiosamente,
la denominazione noir è stata coniata solo nel 1955 da alcuni critici
francesi, influenzati dalla collana Série
Noire che cominciava ad uscire proprio in quegli anni, e di conseguenza il termine è un’invenzione francese cui nel
periodo classico non ha mai corrisposto negli Stati Uniti una vera coscienza
produttiva. Lasciando per fortuna da parte il post/neo-noir con relative
rimodulazioni americane, europee e perfino asiatiche ad opera di registi postmoderni
che amano particolarmente il citazionismo e il tritatutto
dell'affabulazione caotica, il libro di Renato Venturelli si concentra
esclusivamente sulla stagione classica del noir americano, inquadrandolo
tra due date precise di inizio e di fine: Lo sconosciuto del terzo piano (Stranger
on the third floor, 1940)
aprirebbe così la serie e L'infernale Quinlan (Touch of Evil, 1958) la chiuderebbe perentoriamente.
Naturalmente anche qui la questione rimane aperta: alcuni toni e accenti noir
si possono già scorgere in alcune pellicole anni ’30 (per esempio in alcuni
lavori di Joseph von Sternberg), come del resto se ne possono rintracciare altri
dopo il 1958 (un titolo su tutti, La
vendetta del gangster – Underworld U.S.A, 1961). In ogni caso la
delimitazione di Venturelli risulta appropriata, in quanto gli anni ’60 in
America portano all’avvento di una società profondamente cambiata rispetto al
clima cupo degli anni bellici e poi del periodo maccartista, sicchè il noir nella
sua forma primigenia e più marcata può ritenersi esaurito, almeno per quanto
riguarda il riflettere un preciso scorcio storico e una data stagione di
produzione filmica.
L'indagine
su un crimine rappresenta spesso il punto di partenza, ma a differenza del
giallo tradizionale o del poliziesco a tutto tondo, nelle pellicole nere degli anni '40 e '50 ci si muove su
territori più ambigui, lontani da una sistemazione razionalistica e una
ricomposizione dell’ordine; qui l'eroe non si presenta più senza macchia e
senza paura, i buoni si confondono coi cattivi, e il lieto fine, se anche c'è,
lascia l'amaro in bocca e un senso diffuso di sotterranea disperazione.
L'onirico
è una delle componenti principali di questa nuova sensibilità (dedotto anche
dalla moda della psicanalisi che in quegli anni si diffondeva oltreoceano, sia
pure mediata e semantizzata secondo schemi poco ortodossi), ed effettivamente
in molti dei film che Venturelli analizza compaiono atmosfere da “subcosciente”,
allucinazioni, flashback o semplicemente scenari onirici che, seppure d’impianto
reale, mostrano dettagli e visioni imparentati coi sogni. Per quanto il noir
abbia poco a che fare col fantastico tout-court, pure le sue regioni
sono dislocate all'ombra dell’incubo e dell'oscurità.
Le
vicende criminali di solito riguardano un detective incaricato di far luce
su casi piuttosto intricati, oppure il classico triangolo dell'adulterio o
ancora, l'omicidio, il furto, la rapina, il ricatto, il tradimento, il passato
più o meno fuorilegge che incombe e non dà scampo. In una lettura iperfreudiana
del noir il crimine starebbe al posto dell'atto sessuale, vista anche l’insistita
caratterizzazione delle proprietà di genere. Nella schematizzazione piuttosto
rigida di questi film, infatti, uomini tutti d’un pezzo (ma che poi tendono a
sgretolarsi affondando in rapporti sempre più problematici con la realtà
circostante e perfino con la propria identità) si avvicendano in scena con
donne ultra-seduttive che sembrano incarnare una sorta di eterno femminino, offrendo abbondante materiale d’analisi a livello
di gender studies. Proprio
questi ultimi hanno messo in evidenza la rappresentazione del femminile
in qualità di donna fatale o più propriamente dark-lady: una visione da attribuire alla misoginia
di uno sguardo maschile atterrito dagli spazi sempre più ampi riservati alle
donne - dal forzato inserimento lavorativo negli anni di guerra, al ritorno a
casa dei reduci che faticano a reinserirsi in una società profondamente
cambiata soprattutto a livello di genere e di rapporto con l’altro
sesso. Sia così o altrimenti, la dark-lady figura come irrinunciabile
presenza nella galassia noir, vestendo i panni di una donna cinica e calcolatrice,
spesso anaffettiva e amorale, forse frigida e certamente disillusa, sistematicamente
determinata a manovrare il maschio per raggiungere i suoi scopi materiali, e ovviamente
fonte di perdizione per gli uomini che vogliono possederla o ridurla ad angelo del focolare. Qui subentra un altro
aspetto che Venturelli sfiora ma che in altri studi emerge in tutta la sua
evidenza, e cioè lo sradicamento esistenziale dei protagonisti del noir,
connotati quasi sempre dal rifiuto dell'istituzione familiare e di affetti
stabili. Donne e uomini, il cui unico scopo è quello di fare soldi facili e di
restare indipendenti da ogni legame, (soprav)vivono solitari e sghembi - come
le ombre prodotte da luci sapientemente piazzate in alto o in basso - violando
la legge e svuotandosi da ogni sincera relazione. Liberi e intrappolati allo stesso
tempo, vengono spesso invischiati in destini perdenti e infelici, là dove
proprio l'infelicità costituisce l'essenza della loro natura criminale tesa a
sostituire con i soldi il loro vuoto affettivo ed esistenziale. Denaro e sesso dominano
in ogni caso l’azione, almeno per quanto riguarda i moventi, dietro ai quali
però sussistono motivi e spazi profondamente allusivi e simbolici, come lo
stesso buio, la città anonima e spersonalizzante, una soggettività che va
franando, il confine tra veglia e sogno, i locali da ballo e le bische, le
tavole calde (alla Hopper), le auto e
gli hotel, ma anche le case borghesi dove avvengono insospettati delitti. A ben
guardare, un campionario di non-luoghi che raccontano la deriva
esistenziale di queste figure imparentate col nulla e l'evanescenza dei sogni
(come esplicitato nel finale del Mistero del falco (The Maltese Falcon,
1941).
La
scansione del libro procede secondo una ripartizione in capitoli che, dopo
un’introduzione riassuntiva, si susseguono per nuclei cronologico-tematici,
inquadrando esaurientemente gli aspetti contenutistici, i protagonisti, il
clima sociale, i percorsi e gli snodi di questo sorprendente e importante
filone cinamatografico. Il merito di Venturelli sta nell’ avvicinare alla
scoperta del noir i neofiti, e al contempo permettere di approfondirne
lo studio a coloro che conoscono già questi territori e desiderano trarre
ulteriori spunti di riflessione da un lavoro competente, scrupoloso e di
indubbia vivacità intellettuale. Per entrambe le categorie l’essenziale è amare
il cinema e possedere un minimo bagaglio
di visioni cinematografiche, preferibilmente d’antan. Completano opportunamente il volume un
apparato fotografico (rigorosamente in bianco e nero), gli indici dei film
menzionati e dei nomi con relativo rimando alle pagine.
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