di Emma Travet (Erica Vagliengo)
goWare
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2014
Assuefarsi alla superficialità è cosa facile in un mondo colmo di lustrini e glitterato fino alla nausea. Il glamour che Carry Bradshaw chiede a Mister Big in una scena di Sex and the City 2 va bene, ma se preso a piccole dosi, e soprattutto con eleganza e intelligenza.
Poca eleganza e poca intelligenza mostrano coloro che con superficialità bollano come frivolo e leggero, quello che lo è, ma solo in apparenza. Il mondo della moda, del giornalismo che strizza l’occhio allo chic, al glamour, al glitter in apparenza è tutto fumo e niente arrosto. Ma le cose stanno veramente così?
Erica Vagliengo, o meglio, Emma Travet, non può essere considerata una superficiale, anzi. È una ragazza che ha saputo costruire una superficie intelligente, ironica, ma soprattutto profonda.
Lucidamente consapevole delle logiche che muovono il mondo del lavoro, della moda, della mondanità, ha deciso di scoperchiare il vaso di Pandora e di mostrare la fatica che c’è dietro la patina glitterata.
Voglio scrivere per Vanity Fair, già dal titolo, mostra i due perni intorno cui ruota l’ambizione dalla giovane protagonista: un desiderio innato («voglio scrivere») e la passione per un mondo (quello di «Vanity Fair») che tutte le donne (e perché non dirlo? anche gli uomini, in parte) hanno.
E si presti attenzione alla rivista scelta: una testata intelligente, accattivante, completa, che riesce a catturare l’attenzione anche degli scettici. Di chi bolla tutto quello che ha a che fare con la moda come “frivolo”.
La fiera delle vanità è sicuramente una provocazione: il vezzo occupa lo stesso identico posto dell’attualità, della politica, della cultura, della geografia.
E scrivere per la fiera delle vanità è un desiderio che non si raggiunge semplicemente con la dimestichezza con vetrine, sfilate, acconciature. Non è prerogativa di chi conosce a menadito le tendenze della prossima stagione.
Il libro è una storia di difficoltà guardate dalla prospettiva giusta: quella dell’ottimismo. È la storia di un sogno che si infrange contro la realtà: ma è anche la storia di come si può affrontare questa realtà. Semplicemente vivendola. E non è un caso che il (erroneamente) definito “romanzetto” interagisca a trecentosessanta gradi con quella che circonda Emma.
Il lettore, la lettrice possono entrare nelle pagine del libro, possono vedere con i loro occhi di cosa si sta parlando, senza perdere di vista il contatto con quello che conta veramente.
Si è di fronte alla storia di un sogno, che si consuma all’ombra di una piccola rivista di provincia, con tutto il portato di avventura che ciò comporta.
Un romanzo di formazione dei nostri tempi: che deve confrontarsi con i social, con le nuove forme di comunicazione. Ma soprattutto un’eroina che sfodera, riga dopo riga, un’intraprendenza, costruita sulla leggerezza più vera, più pulita, e quindi più positiva. Una leggerezza ironica che sa prendere sul serio le cose serie e sa prendere alla leggera le cose leggere. Che sa soppesare, ma soprattutto sa pensare. Un’eroina che si fa avventura dopo avventura, critica dopo critica. Ma soprattutto un’eroina che ha fatto dello stile l’unica vera arma possibile: uno stile proprio, “linkato" attraverso l’ironia, la grinta e la voglia di non arrendersi mai. Uno stile che dà forma a un romanzo interattivo che scorre piacevolmente, che regala sorrisi, ma soprattutto che non promette fumo. Ed è un messaggio di non poco conto: un messaggio che si fa attraverso la convinzione che nulla è impossibile, se c’è la tenacia. Ed è tenacia anche mandare una volta a settimana il proprio curriculum alla rivista dei sogni, non si sa mai.
E in un momento in cui chiunque si sente in diritto e in dovere di scrivere per dire qualcosa, ci si trova di fronte un romanzo così: disarmante nella sua semplicità, una presa diretta con un mondo che, in fondo,è quello di tutti. Un disagio che ognuno può sentire sulla propria pelle. Ma soprattutto una risposta a chi crede che il precariato, la crisi, la mancanza del posto fisso si possano affrontare con il pessimismo, con il “tanto peggio di così…”.
Il pregio del romanzo è sicuramente quello di non essere chiuso, autoreferenziale: con una mossa intelligente e ponderata, esso si lega a doppio filo al blog (ericavagliengo.com), il quale è fondato sulla stessa logica del libro. Colore, leggerezza, spirito, humor, ironia, ma con uno sprazzo di serietà su serietà tutto: non solo moda, non solo make-up, non solo shopping, ma anche cibo, viaggi, contatti con altri scrittori e giornalisti.
Perché forse la carta vincente di Emma/Erica è proprio questa: scendere dal piedistallo e camminare per strada, guardando, osservando e incuriosendosi. Facendosi da sé, imparando anche dalle disavventure.
E tutto concorre alla riuscita dell'obiettivo di essere "uno di noi, perché una fra noi": dal lessico, quotidianamente raffinato, ma mai banale, anzi elegante, prezioso, senza, però, essere aulico; alla sintassi, mai ardua, ma complessa quanto basta; alle istanze narrative, verosimili perché vere; al sistema dei personaggi, fisicamente presenti a far compagnia al lettore (splendida la nonna, personaggio capolavoro, così come il capo Vintage), che può discorrere con loro; alle rifiniture dei dettagli, mai lasciati al caso, ma sempre funzionali all'economia generale, senza spreco.
Un romanzo che gioca a fare l'equilibrista tra gli eccessi; parco, ma al contempo straripante di idee, di ottimismo, ma anche di ragionevolezza.
Recensire questo libro è arduo: di cose da dire ce ne sarebbero a bizzeffe. Ma non possono essere dette, perché vanno sperimentate in prima persona. Perché è un libro che dovrebbe essere di tutti, sempre a portata di mano. Per semplificare, ma anche per complicare. Per tirare su di morale, quando serve. Ma soprattutto per non perdere la speranza.
Il consiglio che chi scrive sente di dare è quello di leggere attentamente Voglio scrivere per Vanity Fair, senza farsi sfuggire nulla. Giocando con i link, con i consigli e con la vita di Emma, ma anche prendendo tutto ciò sul serio.
Ma soprattutto ammiccare con la coda dell’occhio anche al blog, vero romanzo a puntate, vera realtà, ma anche vero sogno.
I romanzi di formazione non sono finiti, anzi… Hanno trovato vie diverse, modi diversi di comunicare, motivi diversi per dire qualcosa. Ma possono continuare a esistere, in tutta la loro potenza, in tutto il loro ottimismo.
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