Infinito edizioni, 2014
€ 10
Alla fine del libro viene spontaneo
chiedersi davvero chi siano questi “ragazzi
di Teheran” dopo che Antonello Sacchetti ci ha accompagnato per mano, dopo
le nostre iniziali titubanze fatte di luoghi comuni e stralci di Internazionale
letti alla veloce tra una stazione e l’altra della metropolitana, per i grandi
e piccoli centri dell’Iran, luogo fatato per antonomasia, il Paese delle Mille
e una notte ma anche spietato, con nella memoria ancora gli infuocati proclami
di Khomeini.
La domanda non è fine a se stessa anzi va proprio al centro dell’oggetto preso in disamina: l’Iran è un Paese estremamente singolare, fatto non tanto di contrasti quanto di diverse gradazioni di nuances, spesso sottili per uno straniero, che lo rendono un “mistero a cielo aperto”.
Il primo dato, quasi rivoluzionario per noi italiani, che salta subito all’occhio è come l’Iran sia uno Stato popolato da giovani: infatti il 70% dei suoi abitanti ha meno di 30 anni. Ed ecco che il libro si popola subito di personaggi pieni di vita come sono i giovani possono esserlo: ragazzi spesso molto preparati a livello scolastico, che sanno parlano correttamente almeno tre lingue (il farsi, lingua nazionale, l’arabo e l’inglese) e ragazzi che sognano un futuro migliore, futuro che sono disposti a trovarlo anche al di fuori della Repubblica Islamica.
Sacchetti intervista, chiacchiera e pranza con tantissimi ragazzi e ragazzi iraniani, che sono accumunati tutti “da bellissimi occhi, spesso marroni o neri, ma talvolta azzurri o verdi” che ci lasciano interdetti su quel quadretto che i Media, ad uso e consumo delle più becere semplificazioni giornalistiche, ci hanno propinato e in una certa misura continuano ancora a propinarci dell’Iran. Ecco che in questo Paese, sino ai primi anni del Nuovo millennio, si è assistito ad una crescita senza paragone negli altri Stati del Medio Oriente (ma neppure in larga parte del Mondo Occidentale) dei blog, scritti con fervore e resi celebri da corrispondenze intessute con le principali testate internazionali. Quindi una società viva e moderna, una sorta di esatto controcanto all’immagine in “nero e marrone” che la pubblicistica, soprattutto americana, ci ha presentato l’Iran dalla Rivoluzione Khomeinista del 1979 ad oggi? No non è proprio così semplice. Infatti nelle descrizioni contenute in questo libro si può evincere molto chiaramente come la vittoria di Ahmadinejad nel 2005, sostanzialmente esponente dell’ala più radicale degli sciiti, ha fatto sì che il Paese si cristallizzasse su posizioni arretrate e facendo sì che quella trasformazione verso usi e costumi più liberali, dopo l’effimera esperienza in chiave riformatrice di Khatami nel 1997.
Ecco allora che l’Iran, pur avendo un sistema scolastico di primo livello (soprattutto quello universitario è iper selettivo se si pensa che, specie di imbuto al contrario, è esattamente il contrario del sistema italiano: in Iran pochi entrano ma quasi tutti questi escono, mentre in Italia è l’opposto) non riesce a produrre una vera industria che non sia quella petrolifera. Ed ecco allora che, almeno stante un sondaggio effettuato tra i neolaureati, il 100% dichiara che vorrà andare all’estero a lavorare perché in Iran non vi sono le possibilità di sviluppo e di farsi una vita.
Certamente la situazione politica internazionale è molto cambiata rispetto al periodo dell’elezione di Ahmadinejad: lo storico avversario rappresentato dall’Iraq Saddam Hussein è stato spazzato via, la presenza americana nella regione è stata ridotta al lumicino e i rapporti con i Paesi del Golfo si sono notevolmente rasserenati. In più, proprio come negli anni del “Grande Gioco”, l’Iran si sta sempre più avvicinando alla Russia (e di riflesso alla Cina).
Insomma oramai è ritenuto una potenza a livello regionale (anche per il fatto di possedere l’atomica, “anonimo sito più simile ad una fabbrica nucleare”) e un interlocutore di tutto rispetto, come dimostrano anche le recenti discussioni sulla nascita di una “lega dei giusti 2.0” contro l’Isis. Nel libro di Sacchetti, fatto molto più di volti e di storie di persone che di dati statistici o elucubrazioni sui sistemi elettorali, emerge quindi un Paese dilaniato tra passato e presente, che ancora non riesce ad “aggiornarsi” verso il presente ma anche in cui, sempre in maniera più evidente, appare che il regime teocratico “stia facendo vedere la corda”. Uno dei profili Instagram più seguito di questi ultimi tempi è quello dei “Rich kids of Teheran” ovvero una sorta di “Gossip Girl condito con il mazé” (salsa di verdure e yougurt) in cui i giovani delle famiglie più facoltose della città s’immortalano nelle loro giornate piene di sfarzo e ostentazione per la ricchezza, tra uno spinello e un occhiale a specchio, tra corse su auto sportive e foulard multicolori.
È vero che le forme delle ragazze devono essere nascoste per legge, ma proprio per questo “la femminilità è espressa soprattutto dagli sguardi”. Una Nazione raccontata bene da artisti di talento, una su tutte Marjane Satrapi, autrice della graphic novel, autentico best-seller, Persepolis che raggiunta dallo stesso Antonello Sacchetti, afferma, a proposito di un altro suo album Taglia e cuci (in cui, mentre gli uomini vanno a schiacciare un pisolino pomeridiano, un gruppo di donne, radunate intorno ad un samovar, parlano e sparlano di tutto, di amore, di figli, di sesso e di sogni):
Mattia Nesto
La domanda non è fine a se stessa anzi va proprio al centro dell’oggetto preso in disamina: l’Iran è un Paese estremamente singolare, fatto non tanto di contrasti quanto di diverse gradazioni di nuances, spesso sottili per uno straniero, che lo rendono un “mistero a cielo aperto”.
Il primo dato, quasi rivoluzionario per noi italiani, che salta subito all’occhio è come l’Iran sia uno Stato popolato da giovani: infatti il 70% dei suoi abitanti ha meno di 30 anni. Ed ecco che il libro si popola subito di personaggi pieni di vita come sono i giovani possono esserlo: ragazzi spesso molto preparati a livello scolastico, che sanno parlano correttamente almeno tre lingue (il farsi, lingua nazionale, l’arabo e l’inglese) e ragazzi che sognano un futuro migliore, futuro che sono disposti a trovarlo anche al di fuori della Repubblica Islamica.
Sacchetti intervista, chiacchiera e pranza con tantissimi ragazzi e ragazzi iraniani, che sono accumunati tutti “da bellissimi occhi, spesso marroni o neri, ma talvolta azzurri o verdi” che ci lasciano interdetti su quel quadretto che i Media, ad uso e consumo delle più becere semplificazioni giornalistiche, ci hanno propinato e in una certa misura continuano ancora a propinarci dell’Iran. Ecco che in questo Paese, sino ai primi anni del Nuovo millennio, si è assistito ad una crescita senza paragone negli altri Stati del Medio Oriente (ma neppure in larga parte del Mondo Occidentale) dei blog, scritti con fervore e resi celebri da corrispondenze intessute con le principali testate internazionali. Quindi una società viva e moderna, una sorta di esatto controcanto all’immagine in “nero e marrone” che la pubblicistica, soprattutto americana, ci ha presentato l’Iran dalla Rivoluzione Khomeinista del 1979 ad oggi? No non è proprio così semplice. Infatti nelle descrizioni contenute in questo libro si può evincere molto chiaramente come la vittoria di Ahmadinejad nel 2005, sostanzialmente esponente dell’ala più radicale degli sciiti, ha fatto sì che il Paese si cristallizzasse su posizioni arretrate e facendo sì che quella trasformazione verso usi e costumi più liberali, dopo l’effimera esperienza in chiave riformatrice di Khatami nel 1997.
Ecco allora che l’Iran, pur avendo un sistema scolastico di primo livello (soprattutto quello universitario è iper selettivo se si pensa che, specie di imbuto al contrario, è esattamente il contrario del sistema italiano: in Iran pochi entrano ma quasi tutti questi escono, mentre in Italia è l’opposto) non riesce a produrre una vera industria che non sia quella petrolifera. Ed ecco allora che, almeno stante un sondaggio effettuato tra i neolaureati, il 100% dichiara che vorrà andare all’estero a lavorare perché in Iran non vi sono le possibilità di sviluppo e di farsi una vita.
Certamente la situazione politica internazionale è molto cambiata rispetto al periodo dell’elezione di Ahmadinejad: lo storico avversario rappresentato dall’Iraq Saddam Hussein è stato spazzato via, la presenza americana nella regione è stata ridotta al lumicino e i rapporti con i Paesi del Golfo si sono notevolmente rasserenati. In più, proprio come negli anni del “Grande Gioco”, l’Iran si sta sempre più avvicinando alla Russia (e di riflesso alla Cina).
Insomma oramai è ritenuto una potenza a livello regionale (anche per il fatto di possedere l’atomica, “anonimo sito più simile ad una fabbrica nucleare”) e un interlocutore di tutto rispetto, come dimostrano anche le recenti discussioni sulla nascita di una “lega dei giusti 2.0” contro l’Isis. Nel libro di Sacchetti, fatto molto più di volti e di storie di persone che di dati statistici o elucubrazioni sui sistemi elettorali, emerge quindi un Paese dilaniato tra passato e presente, che ancora non riesce ad “aggiornarsi” verso il presente ma anche in cui, sempre in maniera più evidente, appare che il regime teocratico “stia facendo vedere la corda”. Uno dei profili Instagram più seguito di questi ultimi tempi è quello dei “Rich kids of Teheran” ovvero una sorta di “Gossip Girl condito con il mazé” (salsa di verdure e yougurt) in cui i giovani delle famiglie più facoltose della città s’immortalano nelle loro giornate piene di sfarzo e ostentazione per la ricchezza, tra uno spinello e un occhiale a specchio, tra corse su auto sportive e foulard multicolori.
È vero che le forme delle ragazze devono essere nascoste per legge, ma proprio per questo “la femminilità è espressa soprattutto dagli sguardi”. Una Nazione raccontata bene da artisti di talento, una su tutte Marjane Satrapi, autrice della graphic novel, autentico best-seller, Persepolis che raggiunta dallo stesso Antonello Sacchetti, afferma, a proposito di un altro suo album Taglia e cuci (in cui, mentre gli uomini vanno a schiacciare un pisolino pomeridiano, un gruppo di donne, radunate intorno ad un samovar, parlano e sparlano di tutto, di amore, di figli, di sesso e di sogni):
“Gli americani si sono sorpresi che le donne iraniane avessero una vita sessuale? Ma dai! La nostra popolazione è raddoppiata in 25 anni e come credete che sia avvenuto? Come saranno arrivati tutti questi bambini, se non facendo l’amore?”.Nel libro si possono inoltre trovare molti spunti per la riflessione politica, come nel capitolo intitolato “Khomeini fa schifo” nel quale si evidenza come la stragrande maggioranza della popolazione risiedente nelle città siano contraria e abbia un giudizio molto negativo di colui che Franco Battiato, nell’album Patriots del 1980, diceva “L'ayatollah Khomeini per molti è santità”. Molto diversa la situazione nelle campagne e nelle zone rurali, dove la rivoluzione khomeinista è ancora vista come “faro dell’Islam, luce del mondo scita e autentica affermazione dell’identità culturale iranica”. Ecco il vero contrasto sito nell’Iran di oggi: non il derby “innovazione VS tradizione” bensì quello tra campagna e città. Un conflitto molto più globale e comune in un Paese tanto e intimamente “altro”. Forse i tempi in cui Pasolini scriveva che le strade di Isfhan “sono popolate da figli dignitosi e umili, con le loro belle nuche, le loro belle facce limpide sotto i fieri ciuffi innocenti” sono tramontati, ma ecco chi sono oggi i ragazzi di Teheran: sono ragazzi dalla grande vivacità intellettuale (e in certi casi anche dalla grande irruenza e indisciplina). Segnali questi di un Paese estremamente vivo, dato che gli iraniani, anche se sparsi in viaggio per il Mondo, non dimenticano mai la terra delle Mille e una Notte e dei Magi, perché, sulla scia del grande poeta iraniano Saadi “Il viaggiatore senza conoscenza è come un uccello senz'ali”.
Mattia Nesto
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