Feltrinelli, 1997
pp. 239
"[…] ho l'impressione che fissare i nomi dei torturatori abbia un senso, e sa perché?, perché la tortura è una responsabilità individuale, l'obbedienza a un ordine superiore non è tollerabile, troppa gente si è nascosta dietro questa miserabile giustificazione facendosene uno schermo legale, capisce?, si nascondono dietro la Grundnorm."
Un cadavere decapitato viene trovato casualmente nei pressi di un accampamento di zingari alla periferia di Oporto. Il fatto stuzzica l'interesse di un giornale scandalistico di Lisbona, che invia sul posto un giovane cronista. Questi, aiutato – o forse sarebbe meglio dire manovrato, nonostante l'accezione negativa lo renda un termine ambiguo – da un bizzarro ma colto e abilissimo avvocato, riesce a tirare le fila della vicenda, che si scopre essere il risultato di un abuso da parte della polizia, permettendone l'approdo in sede giudiziaria.
Su questa ossatura piuttosto semplice, ripresa da un fatto di cronaca avvenuto in Portogallo qualche anno prima, Tabucchi costruisce un romanzo articolato e profondo, denso di significati e di tensione civile, scritto con il consueto stile caratterizzato dalla descrittività venata di ironia, dalla grande capacità di introspezione, dalle tantissime citazioni magistralmente integrate nel testo, che riescono a non essere mai pura ostentazione enciclopedica ma sempre arricchimento culturale del – e attraverso il – testo stesso.
Narrando il procedere dell'indagine giornalistica sul fatto di cronaca, Tabucchi affronta e lega l'un l'altro diversi temi. Manolo il Gitano, il personaggio che materialmente scopre il cadavere, racchiude in sé un'entità collettiva relegata ai margini della società e costretta a vivere in condizioni infime; gli agenti che hanno sequestrato, torturato e ucciso il giovane Damasceno Monteiro incarnano il problema dell'abuso di potere, della violenza e del risentimento. L'avvocato de Mello Sequeira, motore di tutta l'indagine e di fatto il personaggio principale del libro (anche se formalmente questo ruolo è ricoperto da Firmino, il cronista), è colui che rappresenta la coscienza civile, che lotta per stabilire un principio etico in una realtà minacciata dalla deresponsabilizzazione morale derivante dalla distorsione concettuale dei fondamenti del diritto.
La vicenda finisce in tribunale ma non c'è giustizia: nonostante i fatti siano stati chiariti e le responsabilità stabilite, gli assassini vengono condannati a pene lievissime; questo non grazie all'abilità dei propri avvocati o all'insipienza dell'accusa, ma a causa della condizione patologica di uno Stato che non riesce a fare i conti con se stesso, che si rifiuta di sanzionare i propri rappresentanti accettando versioni dei fatti ridicole e incredibili e mortificando così la propria credibilità democratica prima ancora che giuridica.
Antonio Tabucchi, che ci ha lasciati già da due anni, scrisse quest'opera nel 1997, ambientandola nella sua patria d'adozione, il Portogallo, conferendole tuttavia una marca di universalità spazio-temporale che la rende plausibile in qualsiasi scenario reale, evocando ricordi di situazioni già viste anche in tempi e luoghi a noi molto vicini.
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