Nel libro di Settimj viene raccontato l’universo maschile
attraverso l’unico modo possibile: le fiabe, l’ironia e le donne
Per quanto mi riguarda sono sempre innamorato
di
Sandro Settimj
Mondadori,
2014
264
pagine
16
euro
“Sono
solo canzonette” cantava Edoardo Bennato ma nessuno ci credeva poi tanto:
le canzonette non sono mai stato –ette,
ma sono state cose tremendamente serie, almeno un tempo, in questo Paese. In un
certo senso hanno fatto il Paese, ne hanno costruito l’immaginario, ne hanno
plasmato i miti e gli interpreti più giusti, hanno fatto sentire i giovani “biologicamente diversi” da tutti quelli
che non avevano 20 anni. E neppur le fiabe sono state una cosa “solo per bambini”. Basti citare i
fulgidi esempi di Vladimir Propp oppure di Italo Calvino, i cui studi, assieme
anche alla rivalutazione proposta dall’Antropologia Culturale e dalla Psicoanalisi
lacaniana, hanno fatto sì che le fiabe diventassero affari tremendamente seri. Infine
sul tramonto dell’universo maschile è stato scritto praticamente tutto e da
tutti (soprattutto da uomini, perché a quanto pare le donne non sono molto
interessate all’argomento). A partire dal Primo Novecento con il dandy che pian
piano trascolorava in personaggi oscuri e ambigui, sia in letteratura come nel
mondo della pittura e del cinema, da Ulrich protagonista de “L’uomo senza qualità”, ai ritratti di
Egon Schiele sino a Peter Lorre nei panni di “M- Il mostro di Dusseldorf”.
E Ugo, in questa danza da derviscio
rotante fatta di nomi e paroloni, cosa c’entra?
Ugo è il protagonista, indiscusso si
sarebbe detto una volta, del romanzo Per quanto mi riguarda sono sempre
innamorato di Sandro Settimj edito da Mondadori. Ugo è assieme quello che figura scritto ad inizio di questa recensione: è una
canzonetta, un ragazzo eternamente giovane, anzi bambino, che crede nelle
favole (fino ad un certo punto della sua vita si svolge attorno ad una
fiaba, non come una fiaba, ma attorno, differenza topografica sostanziale in
casi come questi) ed infine è un uomo e
oltre ad essere un uomo è anche un “maschio del nuovo millennio in crisi
esistenziale”. Ora siamo pronti a stenderci sul lettino dello psicanalista
assieme a lui e ad ascoltare le sue storie.
Queste, che ad una lettura
superficiale potrebbero sembrare una “parata
di ritratti femminili”, sono bel altro. Le donne non sono solo il cuore di
questo romanzo, forse ne sono il cervello, le stelle fisse, ma il cuore
è da un’altra parte, perso tra la nebbia di Cremona, la sabbia dell’Oceano
Indiano e le coperte di un letto polveroso in una cantina.
Sebbene le donne abbiano un ruolo
basilare nell’economia e nella natura di questo libro, esse non ne incarnano l’essenza, rimangono sullo sfondo, sono complementi d’arrendo; frase questa che non
deve suonare come latamente maschile, tutt’altro. Infatti le ragazze di Settimj sono complementi d’arredo in chiave “liberty”
ovvero di un’importanza basilare, contrafforti fondamentali perché l’edificio (narrativo)
si tenga su di sé. Ma l’abbiamo detto e non ritrattiamo: non solo loro ad
essere l’animo del romanzo.
Il
romanzo è il romanzo di “sformazione” di un giovane uomo pieno di sogni, senza
particolari ambizioni, se non quella di terminare la sua tesi su Cerentola,
starsene tranquillo sulla spiaggia maldiviana oppure vivere in pace, senza
troppo da spartire con il mondo di fuori, così rumoroso e caotico. Eppure lentamente,
con continui rimandi avanti ma soprattutto indietro nel tempo, vediamo questo fragile
ma solido ritratto di giovane uomo mutare (con la lentezza del bradipo, certo),
ma anche in maniera costante, come in un movimento colossale, impercettibile
eppure impossibile da fermarsi. Una
tettonica a placche del proprio io. Per ogni donna la cui parabola si
incontra con quella di Ugo ecco che un pezzettino del suo io viene sezionato,
spezzettato e impastato con nuovi materiali. Alla fine della storia, breve o
lunga che sia, questo non importa, Ugo è un uomo diverso, però non troppo
diverso da prima.
Jutte, Alessia, Deborah,
“Gramsci”, Lisa, Carlotta, Ruth, Elena, Luna, Sonia e naturalmente Betlemme.
Una lunga serie di donne, quasi un “catalogo delle navi” di omerica memoria: appaiono tutte (anche le
più fragili, ingenue e sognatrici) tremendamente consapevoli di sé stesse,
consapevoli del proprio essere donna e di come perseguire nella loro vita. Ugo invece
è tutto l’opposto, “si lascia vivere”,
è buono, generoso e ha modi gentili, ma non riesce mai appieno a
sviluppare la sua personalità complessa. Al liceo è innamorato perdutamente di
una ragazza e in un’afosa giornata estiva si fa tutto il lungomare a piedi pur
di consegnare alla ragazza un ciondolino e dirle prima un “Ciao”
di saluto e poi, dopo aver consegnato il regalo, un altro “Ciao” di arrivederci. Così è Ugo, tanto puro e candido
da sembrare irreale. È anche per questo che, proprio per dare un senso reale alla sua esistenza, Ugo
prima decide di fare l’animatore in giro per i centri turistici del mondo, quindi
di andare dallo strizzacervelli.
Ma se l’analisi non lo aiuta a superare
nessun trauma, l’esperienza come animatore gli fa capire solo una cosa, piccola
se si vuole, ma che, nella semplice ma non banale scrittura di Settimj, s’incastona
con l’eleganza e l’umorismo di un icastico detto di Ennio Flaiano:
“… i villaggi turistici sono una realtà ingannevole. Non c’è da gonfiare il petto. Se fai conquiste non vuol dire che sei bello, bravo o altro. Sei solo un fesso abbronzato che si trova al posto giusto nel momento giusto: quando la gente va in vacanza per riscattare un anno di merda, e in quei pochi giorni vuole sentirsi viva. Sei il beneficiario di una condizione di apertura temporale, tutto qui”.
Un
esercizio utile per carpire il senso di quest’opera, sulla scia del
protagonista che si innamora (o per meglio dire si “affeziona”) ad un personaggio letterario, è innamorarsi di una delle donne che popolano il romanzo (va bene
per entrambi i sessi, senza dover dichiarare le proprie inclinazioni sessuali: nella “Repubblica
delle lettere” non ci sono coppie di fatto, ma solo fatti di coppie, il
lettore e il romanzo).
Io mi sono innamorato di Carlotta, forse
perché odio con tutto il cuore quel nome, che mi fa venire in mente certe
battute acide di “Jack Frusciante è
uscito dal gruppo” (“di quelle con
felpa da cento carte e jeans di Missoni che scoprivano - diobbuòno - cinque sei
centimetri di calza velata”) e poi perché era una ragazza che Ugo conobbe
in università, nulla di serio, insomma. Un tardo pomeriggio di sesso e parole
dolci, frasi sussurrate senza pensiero e più gravi di significato di tutta l’opera
omnia di Hume, questo è stato Carlotta. Forse questo è la mia forma di amore; e poi Carlotta, io me la immagino
bellissima, anche più di Betlemme, troppo giunonica, intimidente e cattolica
per piacermi (e infatti piace, anzi piaceva, e pure tanto ad Ugo).
Soltanto innamorandosi, seppur per un
breve volger di pagine, di una delle donne di Ugo si può capire la piccola ed
intima bellezza di questo romanzo. Cioè il fatto di come non sia un’antologia che di fior in fior fa vedere
tutti i tipi di bellezza femminile. Questo romanzo è una lunga fiaba
per adulti, raccontata in riva al mare l’ultimo giorno di estate, prima che i
turisti, il sesso di agosto e le zanzare assettante di sangue si diano il
definitivo addio. È lì che troviamo Ugo, un poco in disparte, senza
chitarra e senza falò, ma con in mano un libro di Cerentola, mentre a piedi nudi passeggia
sulla sabbia. Guardatelo bene: sta ancora sorridendo alle stelle, che intanto,
tapine, cadono, nascono e muoiono a milioni.
La mia malinconia è tutta colpa tua
È solo tua la colpa è tutta tua e di qualche film anni '80
È solo tua la colpa è tutta tua e di qualche film anni '80