Quando Einaudi chiama – un invito ristretto ad una manciata di addetti ai lavori di varia provenienza- la blogger risponde. L’occasione, anche se una visita nel quartier generale della storica casa editrice varrebbe comunque la pena, è data dalla presentazione del romanzo Longbourn House di Jo Baker, uscito per Einaudi il 21 ottobre.
Entrare dalla porta principale di uno dei colossi dell’editoria italiana e sbirciare negli uffici a porte socchiuse dove si intravedono scrivanie e scaffali colmi di libri, bozze, manoscritti, ha un fascino davvero irresistibile e l’ambiente elegante ma inaspettatamente più amichevole e informale di quanto ci si aspettasse ha reso l’incontro ancor più interessante. Intorno al tavolo delle leggendarie riunioni del mercoledì, una manciata di giovani blogger invitati a partecipare alla presentazione del romanzo della Baker di cui settimane fa si era iniziato a parlare sui social anche per via dell’ambientazione austeniana. Longobourn house è infatti la dimora della celeberrima famiglia Bennet e l’assonanza con Orgoglio e Pregiudizio aveva già incuriosito molti di noi. Al momento della presentazione, sul romanzo circolavano solo pochi dettagli: paragonato a Downton Abbey – e all’ispirazione letteraria della serie, il romanzo Ai piani bassi di Margaret Powell, anche questo edito da Einaudi- per la scelta di raccontare la storia dal punto di vista della servitù, dopo l’inequivocabile richiamo al romanzo della Austen – fatto al quale ammetto ho guardato non senza sospetto- era una delle cose che personalmente mi incuriosiva maggiormente.
Dopo l’incontro in casa editrice parte del mistero è stato svelato, ma molto apprezzabile la scelta di non dare eccessivi dettagli sulla trama del romanzo di cui adesso, con il libro tra le mani, potremo gustare appieno, ma orientare il discorso su temi ed ambientazione e soprattutto sul lavoro di editor e traduttore. Se infatti in un primo momento poteva in parte deludere la mancanza dell’autrice, occasione sempre molto intrigante per addetti ai lavori e lettori che si confrontano con l’artefice del libro, la scelta di presentare il romanzo della Baker per mezzo di Andrea Canobbio e Grazia Guia (gli editor) e Giulia Boringhieri (traduttrice) si è rivelata estremamente interessante. Ciò che ne è emerso in una chiacchierata di poco più di un’ora è la sensazione di avere tra le mani un romanzo che dell’universo austeniano riprende uno dei luoghi più amati, casa Bennet, ma come pretesto per ambientarvi una storia completamente originale e staccata da quella di Pride and Prejudice (cui ovviamente non mancano piccoli accenni nella trama sparsi in maniera più o meno evidente) e raccontare non tanto i retroscena, il punto di vista della servitù sulle celebri vicende di Lizzie e delle sorelle, ma una storia indipendente, di cui è possibile godere liberamente dal romanzo della Austen.
Ciò che viene sottolineato dagli editor è infatti il desiderio della Baker, cui lo spunto più forte forse è stato in fondo autobiografico provenendo lei stessa da una famiglia di servitori, di ricostruire non il capolavoro austeniano ma casomai l’intero mondo dell’autrice. È, come sottolinea la Boringhieri, «un volo d’uccello su Orgoglio e Pregiudizio», la rappresentazione di un’intera epoca e un mondo in cui ampio spazio viene dato a tutto ciò che nell’originale austeniano rimane sfondo un po’ sfocato: la vita della servitù, le guerre napoleoniche, la condizione sociale dei ceti più modesti. E, immancabile, una storia d’amore nel più puro stile romance, anch’essa ovviamente ambientata ai piani bassi. Un microcosmo scandito dal ritmo massacrante del lavoro, in cui Sarah, la giovane protagonista accolta ancora bambina come domestica a Longbourn house, si muove freneticamente insieme a personaggi di cui nomi o ruoli ci sono già famigliari e che qui prendono vita e nuova dignità. È il quotidiano fatto di bucato, pulizie, pasti da organizzare, orto ed animali, una macchina in moto quasi perenne per garantire ai piani alti la tranquilla esistenza di una famiglia rispettabile. Il mondo dei servitori che la Baker ha scelto di eleggere a protagonisti del suo romanzo e il contesto storico sociale in cui la storia è ambientata, rendono la vicenda intrigante e sono gli stessi su cui editor e traduttore si soffermano maggiormente nel presentarci il libro, di cui ci anticipano le prime pagine nella gradevole lettura fatta da Giulio Iovine – invitato insieme ad altri membri del club di Jane Austen- e dalla quale si intuiscono già abbastanza chiaramente lo stile ironico e la ricostruzione accurata alla base del romanzo.
Estremamente interessanti sono state quindi le parole della Boringhieri in merito alla traduzione e alle insidie che si celano dietro al lavoro su un’opera come questa e da cui intuiamo le fatiche di un accurato lavoro di ricerca al fine di rendere al meglio termini specifici dell’originale (tra cui ci porta come esempi “spencer” e “petticoat”), oltre alla necessità di mantenere le differenze stilistiche nelle voci e nel tono dei vari capitoli e personaggi. Un lavoro accurato, che la Boringhieri racconta con piacere mentre fa circolare tra noi una copia delle famigerate note del traduttore, come esempio della tipologia di insidie che si incontrano di fronte alla traduzione di un’opera di questo genere.
Cos’altro aggiungere: nel quartier generale di Einaudi ci è stato presentato, senza troppi fronzoli, antipatiche mosse di marketing o inutili anticipazioni, un romanzo che catturerà sicuramente la curiosità degli estimatori dell’opera austeniana, che bramano di fronte ad ogni nuovo libro che possa aggiungere dettagli al mondo immaginato dalla scrittrice inglese, ma anche altro genere di lettori – se mai esiste un genere di lettore che non ha famigliarità con l’opera della Austen- che di quel mondo sceglie di osservare i suoi protagonisti nascosti.