L'assassino non sa scrivere
di Stefano Piedimonte
Guanda, 2014
pp. 251
€ 17.00
Immaginate una serata di chiacchiere e bevute colossali seduti a un tavolo con Stephen King, Stefano Benni, Tim Burton e il musicista jazz Sonny Rollins che accompagna il tutto con generosi assoli di sax.
Così, con questa immagine perfetta che sembra già l'incipit di una storia, Stefano Piedimonte potrebbe descrivervi i miti all'origine della sua scrittura. E in particolare il mix che ha dato vita al suo nuovo libro («Il libro più mio») L'assassino non sa scrivere, uscito per Guanda da poche settimane.
Se dovessimo aggiungere dei convitati a questa favolosa serata di alcolica creatività, diremmo Márquez, Calvino, Pennac... E un qualche arguto autore di satire, un abile scrittore comico antico o moderno, considerata la compagnia potrebbe andar bene anche un epigrammista godereccio e puntuto come Marziale.
Perché questo va ricordato: tra un'atmosfera fiabesca e un morto ammazzato, Piedimonte ci fa molto, molto ridere. E non solo perché, con grande spregio del pericolo e soprattutto del bon ton editoriale, Piedimonte ha in effetti deciso con questo nuovo libro di invitarci tutti a Fancuno: minuscolo paese impaludato in una provincia italiana non meglio identificata, ma non per questo meno verosimile e vera. Ma anche perché l'ironia è uno dei pochi modi per guardare a fondo nelle cose ed emergerne poi indenni (o quasi), come fa la voce narrante del romanzo, vecchio cronista di provincia prossimo alla pensione, che tesse e intreccia le vicende di tutti, la storia dell'assassino analfabeta ma anche dei suoi pittoreschi compaesani, con ironica lucidità che a volte diventa comicità irresistibile, e riservando a se stesso un solo, densissimo momento di messa a nudo. Una delle pagine più belle del romanzo, in cui il giornalista si confessa e rivela come un "risognatore" di sogni:
«masticarli e rimasticarli fin quando diventano una pasta molliccia, e allora mi ci voleva lo stomaco foderato d'amianto per continuare a rimasticarli».
E il vecchio cronista non è l'unico, in questo libro lieve e profondo, a essere custode di storie, che servono di volta in volta a curare o a dannare, spesso a ricomporre i pezzi delle vicende e delle persone, con quel gusto della parola magica - che sola può (ri)mettere al mondo - di marqueziana ispirazione. Mitici (e mitopoietici) sono la barista Siusy che, con la cura riservata alle piccole cose e parole di ogni giorno, rimette in sesto i suoi avventori; il filosofico comandante dei carabinieri che monta galeoni e si fa chiamare Dottore perché «è uno che vuol curare il mondo»; il fiorista Bruno, che cura le sue unghie e le camelie come fossero un dono d'amore per la moglie non più lì; persino il "sirial ciller", l'assassino che non sa scrivere, comico e tragico personaggio che ammazza «a cazzo di cane» ma forse considera il suo uccidere come una sorta di insolita - egoista o altruista, chi lo sa - terapia.
Luna Orlando