Gus - 1. Nathalie
di Christophe Blain
di Christophe Blain
Traduzione di Michele Foschini
Bao Publishing, 2014
pp. 79
€ 16,00 cartaceo
Bao Publishing, 2014
pp. 79
€ 16,00 cartaceo
Per
me il selvaggio West ha sempre rappresentato il luogo dove il valore
della parola veniva sospeso per lasciare spazio all'importanza
dell'azione. Pur esercitando il massimo dello sforzo sulla mia
memoria, mi viene difficile ricordare più di cinque o sei sequenze
del cinema western rese famose da un dialogo, mentre potrei fare un
elenco pressoché infinito di sparatorie, duelli, fughe, attacchi
indiani o assalti ai treni, e questo coinvolgendo il classico
John Ford (la cui visione del West è stata purtroppo invecchiata più
dalla critica cinematografica che dall'età), l'apocalittico
Peckinpah, o molto di quel cinema degli anni
Settanta che - citando il western - metteva in scena personaggi silenziosi (basti guardare
il carpenteriano “1997: Fuga da New York”).
Il cinema western trova la sua misura morale proprio nel giudicare gli uomini dalle proprie azioni, scartando del tutto il peso delle loro parole. Perché quando un uomo con molte cose da dire incontra un uomo con il fucile, quello con molte cose da dire è un uomo morto perché durante un duello non bisogna parlare, bisogna semplicemente sparare.
Nemmeno
“Gus” - il fumetto western firmato da Christophe Blain di cui Bao Publishing ha pubblicato il primo volume - si
allontana dal canone, utilizzandolo però in maniera ironica nel
racconto di tre banditi alle prese in egual misura con problemi di
legge e problemi di cuore. Gus - mente del gruppo - spreca un gran
numero di parole per pianificare complessi assalti a treni
portavalori o per cercare di portarsi a letto qualche disponibile
signorina. In entrambi i casi spesso e volentieri le cose vanno a
finire male: sia che si trovino nel bel mezzo di una rapina o durante
un appuntamento galante, Gus e i suoi compari Gratt e Clem si
ritrovano sempre a dover fare i conti con il peso delle loro azioni e
quello delle loro parole. Perché in fondo non c'è poi molta
differenza tra l'inseguimento di una diligenza o quello di
un'avvenente signorina, perché in entrambi i casi parlare non serve
a nulla, bisogna semplicemente capire qual è la strada migliore per
raggiungere l'obiettivo e arrivarci il più velocemente possibile.
E Gus fallisce il suo scopo non perché il piano sia
male congegnato, quanto perché Christophe Blain ha rivestito i suoi
personaggi di questo problema tutto moderno di credere che la parola
conti più di molti fatti e quindi ai protagonisti della sua storia
rimane solo la consapevolezza che le parole (di cui non possono fare
a meno) sono più una trappola che una benedizione.
Non è
un caso quindi che l'unico a combinare qualcosa con una ragazza sia
il silenzioso Clem, poco dedito alle parole e sempre concentrato
sull'azione. Blain si ritaglia con la storia d'amore di Clem e il
racconto dell'amicizia virile dei tre banditi i momenti più intimi
del volume dove le parole smettono di essere il tramite per ottenere
qualcosa (poco conta che sia una sottana o una cassa piena di soldi)
e riprendono invece corpo e spessore sotto forma di ricordi e ruvidi
segni d'affetto.