di Luciano Garofano e Rossella Diaz
Infinito edizioni, 2014
pp. 176
€ 14
La società occidentale del nostro tempo è connotata da un inquietante crescendo di violenza, che si declina attraverso una gamma oltremodo composita di sfumature dove subdolo e palese s'intrecciano e a tratti si confondono, finendo spesso per accecare le coscienze già indebolite da una carenza di valori solidi e coerenti che esortino a chiamarsi fuori dallo svilimento della vita (non solo umana) in nome di una presunta sopravvivenza di stampo esclusivamente materialistico, dove tutto è concesso senza un rigurgito etico di qualsivoglia natura.
L'asservimento della coscienza umana ai labirinti del male ha innescato un meccanismo perverso, complice forse anche la manipolazione occulta (o storpiatura che dir si voglia, ma questa è solo una considerazione a margine di chi scrive, che esula dai contenuti del libro) di alcune teorie religioso-spirituali della tradizione orientale, così come della tradizione giudaico-cristiana, che esortano a non giudicare. Tale meccanismo ha progressivamente scardinato la capacità di discernere fra l'esercizio del senso critico e l'assenza di giudizio. Una coscienza debole (o indebolita) e confusa privilegerà necessariamente il sentiero più comodo che, nella fattispecie, si delinea in un'assenza di giudizio figlia dell'ignavia, dell'indifferenza e soprattutto di una presunta tolleranza e apertura mentale verso ciò che asseconda le istanze più sordide, viziose e basse delle proprie pulsioni egoiche. Poiché si tratta di uno schema comportamentale spesso attuato in modo inconsapevole, è molto difficile arginarlo e limitarne le conseguenze drammatiche, di cui siamo inermi spettatori nei numerosi comparti del vissuto umano.
Fra gli esempi più eclatanti inseriti in questa spirale di violenza pressoché inarrestabile, troviamo la violenza sulle donne e le sue varie ramificazioni, che costituiscono il tema portante del libro.
I due aspetti più cruenti della violenza sulle donne s'innestano su due fenomeni che non di rado sono legati in modo indissolubile, vale a dire lo stalking e il femminicidio. Forse non tutti sanno che il termine femminicidio è stato coniato nel 1993 dall'antropologa messicana Marcella Lagarde, elaborando gli studi condotti dalla sociologa e criminologa femminista statunitense Diana Russel, per descrivere tutte le forme di discriminazione e di violenza che gli uomini e la società infliggevano alle donne in quel periodo nel Messico, con riferimento soprattutto alla strage delle donne di Ciudad Juarez, città al confine tra Messico e Stati Uniti, dove dal 1992 più di 4.500 giovani donne sono scomparse e più di 650 sono state stuprate, torturate e poi uccise e abbandonate, nel più totale disinteresse delle Istituzioni e con evidenti complicità delle forze dell'ordine corrotte, della politica e della criminalità organizzata.
E' impossibile non provare un moto di inquietudine leggendo che almeno una donna su tre in tutto il mondo ha subito violenze fisiche, sessuali o abusi di altro genere, spesso da parte del proprio partner. La violenza sulle donne è un fenomeno trasversale, che coinvolge qualunque ceto sociale, cultura e continente e che, seppur stigmatizzata dalle istituzioni, di fatto viene spesso tollerata, giustificata e condonata in nome di una mentalità saldamente intrisa di atavici (e cruenti) principi di stampo maschilista e patriarcale.
L'organizzazione mondiale della sanità (Oms) ritiene che la violenza sulle donne sia una priorità per la sanità pubblica e una violazione dei diritti umani soprattutto all'interno delle mura domestiche ma non solo, e che in molti casi subisca una recrudescenza a causa di tutta una serie di fattori di rischio, quali ad esempio una posizione socioeconomica debole e/o precaria, un basso livello di scolarizzazione, l'assunzione di alcol e sostanze psicoattive, una scarsa qualità delle relazioni intrafamiliari, un'insufficiente coesione sociale e, talvolta, una penalizzazione a livello istituzionale dell'indipendenza economica della donna che si trova dunque impossibilitata a divorziare. Sempre secondo l'Oms, fra le morti riconducibili alla violenza sulle donne, occorre annoverare i delitti d'onore, gli infanticidi di bambine e le pratiche abortive non convenzionali.
Sempre facendo riferimento ad alcuni studi condotti dall'Oms, Garofano e Diaz sottolineano come, anche solo circoscrivendo le ripercussioni della violenza sulle donne a un tessuto socio-antropologico più civilizzato quale dovrebbe essere, perlomeno in teoria, quello del mondo occidentale, si rileva una massiccia presenza di patologie mentali e disturbi di natura psicologica come l'ansia, la depressione, la bulimia e l'anoressia, che limitano la capacità di prendersi cura di sé e dei propri figli, e accentuano la tendenza all'isolamento, minando la capacità di interagire serenamente con i colleghi di lavoro. Inoltre, le donne vittime di violenza hanno tendenza al suicidio, paura, sensi di colpa, ansia, attacchi di panico, scarsa stima di sé, disfunzioni sessuali, problemi di alimentazione, disturbo da comportamento ossessivo-compulsivo e disturbi da stress post-traumatico. In molti Paesi, fra cui l'Italia, il fenomeno dilagante della violenza sulle donne è spesso sottostimato anche in ambito sanitario, a causa di una scarsa capacità di ascolto rivolta a questo tipo di problematiche, complice l'assenza di protocolli in grado di mettere a fuoco le particolari condizioni di vita femminile, la tendenza a riferire costantemente i malesseri e i disagi delle donne a problemi di tipo biologico, piuttosto che a specifici eventi di vita e a relazioni violente.
In un simile scenario, non c'è da stupirsi se le donne sono inclini a far passare sotto silenzio gli atti di violenza subiti.
Nel Rapporto tematico degli omicidi basati sul genere, presentato a Ginevra il 25 giugno 2012, Rashida Manjoo, Relatrice Speciale dell'Onu contro la violenza sulle donne, ha evidenziato come a livello mondiale, gli omicidi basati sul genere, nelle loro diverse manifestazioni, abbiano assunto proporzioni allarmanti poiché continuano a essere accettati, tollerati e giustificati (con l'appellativo di delitti passionali in Occidente e di delitti d'onore in Oriente). Nel suo Rapporto, vengono passate in rassegna anche altre pratiche omicidarie perpetrate sulle donne, come ad esempio la lapidazione, i delitti associati a pratiche di stregoneria e magia tuttora assai diffusi in alcuni Paesi dell'Africa, dell'Asia e delle isole del Pacifico, gli omicidi finalizzati all'estorsione del pagamento di una dote (praticati in alcuni Paesi dell'Asia meridionale), per non parlare dell'aborto dei feti o dell'uccisione delle bambine in quanto future donne, e la pratica del sati (le vedove indiane vengono arse vive sulla pira funeraria del marito).
Manjoo ha quindi analizzato il fenomeno del femminicidio in alcuni Paesi da lei visitati, fra i quali spicca l'Italia, dove si è trattenuta dal 15 al 26 gennaio 2012 allo scopo di approfondire il fenomeno sotto tutti i punti di vista. Sulla scorta delle informazioni acquisite nell'ambito delle ricerche condotte ad ampio spettro, è emerso che la violenza domestica, con un tasso del 78%, rappresenta la forma di sopraffazione maggiormente diffusa nel nostro Paese ancorché sottovalutata. Il numero crescente di omicidi compiuti da partner, coniugi ed ex-partner costituisce la riprova di un fenomeno di estrema gravità, che però non sempre viene percepito come tale in un contesto tuttora fortemente impregnato di principi di stampo patriarcale, che si tramandano da tempo immemorabile alla stregua di valori forse non proprio legittimi ma comunque ritenuti tollerabili, soprattutto se la donna manifesta una forma di dipendenza di natura materiale/finanziaria ovvero psicologica dal partner, corroborata dalla percezione che la risposta dello Stato non sia appropriata, cosa peraltro vera come sottolinea a più riprese Manjoo che invoca l'impellente necessità di varare una legge in materia di violenza sulle donne volta a colmare le numerose lacune che persistono in ambito giuridico. Ma non basta: urge provvedere a una formazione mirata che migliori le competenze dei magistrati ma anche degli psicoterapeuti e degli operatori sociali, fermo restando che uno dei maggiori ostacoli è rappresentato da una certa recrudescenza di vari aspetti della mentalità maschilista, esasperati, in modo più o meno subdolo, da una spiccata inadeguatezza a livello istituzionale sulla quale si innesta di prepotenza una manipolazione mediatico-pubblicitaria che tende a esaltare la percezione della donna come un mero oggetto di piacere fisico, la cui fruibilità è destinata a esaurirsi a un rapporto di tipo usa e getta totalmente avulso da una qualsivoglia forma di impegno ma soprattutto di rispetto. Va da sé che, con simili presupposti, la donna è sempre più esposta a un clima di violenza e sopraffazione, da cui non è facile sottrarsi senza un livello molto elevato di consapevolezza, lucidità mentale e resilienza psichica associato ad alcuni elementi di supporto (escludendo a priori, come evidenziato più sopra, quello giuridico-istituzionale) a livello familiare, economico-professionale e di relazione (amici, colleghi di lavoro, ecc...). Ma neppure questo può bastare, laddove entri in gioco il fenomeno dello stalking, a cui Garofano e Diaz dedicano una parte cospicua del libro, ripercorrendo dieci vicende, che risalgono agli ultimi anni, e che sono tutte accomunate da un epilogo drammatico. A corollario di queste storie, vengono proposte le testimonianze molto toccanti dei familiari di alcune vittime di tale fenomeno.
In prima battuta, gli autori tengono a precisare che lo stalking non è mai riconducibile, come certa cattiva stampa vorrebbe insinuare, a un abbigliamento provocatorio piuttosto che a un atteggiamento volutamente ammiccante adottato da una donna che intende in qualche modo sedurre o far colpo su un esponente del sesso opposto. Sorvolando sulla malevola e becera gratuità di certe speculazioni, va detto che lo stalking affonda sostanzialmente le radici in un bisogno parossistico dello stalker di controllare costantemente la vittima verso la quale ha sviluppato una profonda e intensa polarizzazione ideo-affettiva. Tale comportamento è quasi sempre adombrato da una ferita narcisistica (o abbandonica) esacerbata nel corso del tempo da varie situazioni che hanno reso il soggetto totalmente incapace di accettare e metabolizzare un rifiuto. Moltissime persone subiscono una ferita abbandonica, anche in circostanze permeate da disagi o sofferenze di notevole intensità, ma non per questo agiscono una dinamica comportamentale inquadrabile come psicotica. I rifiuti e gli abbandoni, ancorché sofferti e dolorosi, fanno parte della vita, e un soggetto supportato da solidi argini interiori ne è consapevole e li gestisce, forse a fatica, ma certamente senza porre in essere comportamenti distruttivi o autodistruttivi.
Il libro descrive in modo ampio ed esauriente i meccanismi soggiacenti al fenomeno dello stalking (termine che deriva dal verbo inglese to stalk, che si può tradurre come perseguitare o fare la posta). Come spiega il Prof. Alessandro Meluzzi nella post-fazione del libro, lo stalker è il sintomo perfetto della nostra società che ha generato la sindrome del maschio fragile, terrorizzato dalle logiche dell'abbandono, perché non ha già sperimentato nella propria vita infantile legami di attaccamento a base sicura che stanno alle fondamenta di qualsiasi salute del corpo e della mente. Un bambino che ha avuto un buon rapporto con la madre, diventa un uomo sano. Se un individuo ha una madre disconfermante, repellente, disturbata e disaffettiva, allora diventa un bambino malato e probabilmente un adulto disturbato.
Di converso, un bambino forte con una capacità creativa a base sicura, probabilmente sarà un adulto sano nelle relazioni attaccamento-perdita. Un bambino fragile [...] vivrà ogni separazione come una tragedia irreparabile perché significa far scattare l'identificazione tra la donna che lo ha abbandonato con una madre abbandonica che ha cercato di riparare per tutta la vita, seguendo una donna ideale che potesse rappresentare ciò che non era stata la mamma cattiva.
Dunque, in ultima analisi, prosegue Meluzzi, non ci dobbiamo stupire se il maschio fragile impazzito, dopo aver scoperto che la sua mamma riparatoria lo ha abbandonato, piuttosto che perderla prende un'arma e la uccide per poi uccidere se stesso.
Credo che questo assunto delinei alla perfezione l'essenza dello stalking che, sempre secondo Meluzzi, costituisce un evento che si situa in un pezzo della storia [...] dell'Occidente post-industriale e post-moderno, dove si considera fisiologico che un matrimonio su due sia destinato a rompersi, a riprova di una connotazione oltremodo labile del concetto di legame, avallato dalla granitica certezza che tanto, se le cose dovessero andar male, si può divorziare. Solo trent'anni fa, questo ragionamento sarebbe stato inconcepibile e improponibile. Il dilagare delle logiche edonistiche e materialistiche ha contribuito a deformare il concetto di libertà associandolo a un liberalismo e a un libertinaggio, in senso proprio e figurato, che poco o nulla ha a che vedere con l'esercizio consapevole del libero arbitrio e del rispetto della libertà altrui, che non può mai prescindere da un'assunzione onesta e leale delle proprie responsabilità. L'individuo davvero libero (uomo o donna che sia) è riuscito a costruirsi un equilibrio interiore e anche a riconciliarsi (ove necessario) con la figura della madre abbandonica (o del padre abbandonico se il soggetto è di sesso femminile). La conquista di tale equilibrio, se non lo rende immune dalla sofferenza e dalla fatica di vivere, di sicuro gli impedisce di trasformarsi in uno stalker o comunque di attuare degli schemi di comportamento disturbati e disturbanti, definiti dal Prof. Meluzzi comportamenti rituali e ripetitivi, che generano alcune dinamiche di rassicurazione, poiché la ripetizione è l'unica forma di rassicurazione che conosce la mente umana, e che culmina nella difesa psicodinamica di proiezione che esaspera lo schema della vittima: la colpa non è mai mia ma è sempre degli altri. Tale assioma è cementato dalla convinzione che la sfera emozionale possa essere spiegata in termini razionali.
Detto ciò, posto che la radice malata dello stalker è costituita dal bisogno sia di individuare una figura femminile chiamata a fungere da madre riparatoria sia di esercitare un controllo reiteratamente ossessivo su questa, si possono distinguere varie ramificazioni dove una dinamica può risultare prevalente. Troviamo così lo stalking che fa leva sulle dinamiche di idealizzazione, secondo cui la donna o l'uomo che abbandona possiede delle caratteristiche così straordinarie da renderla/o insostituibile. Se prevale la dinamica del rispecchiamento, la fusionalità che ne consegue induce lo stalker a pensare: eravamo fatti l'uno per l'altra. Piuttosto che perderla, preferisco morire per lei o con lei.
Lo stalker risentito è connotato da una struttura ossessivo-paranoide che lo spinge a ostentare sicurezza, determinazione, freddezza e atteggiamenti dispettosi associati a crudeltà mentale. Lo stalker bisognoso d'affetto non riesce a elaborare una perdita poiché la considera un evento irrimediabile, e sviluppa una depressione clinica. Lo stalker incompetente sostiene di essere innamorato di una donna che ha visto una volta sola. Lo stalker respinto, che è un narcisista paranoico, non metabolizza l'abbandono e fa di tutto per ripristinare la relazione, anche a costo di ricorrere alla violenza. Lo stalker predatore può trasformarsi in uno stupratore e/o in un serial killer. Esistono anche gli stalker reciproci, una situazione che caratterizza molti matrimoni in cui domina la volontà di farsi male a vicenda senza limiti e con qualunque mezzo.
La sezione del libro dedicata a dieci vicende di stalking subite da donne di qualunque età (dall'adolescenza alla terza età, dove la vittima di una delle storie descritte nel libro è una vedova di 80 anni), livello di scolarizzazione ed estrazione sociale, è particolarmente toccante, così com'è toccante lo spazio dedicato alle riflessioni dei genitori e dei familiari di alcune vittime. C'è anche la testimonianza di una donna miracolosamente sopravvissuta a un tentato omicidio per stalking. L'incedere garbato della narrazione, che non strizza mai l'occhio al sensazionalismo né tanto meno al pietismo, è impreziosito dalla dignitosa compostezza con cui coloro che hanno perso una figlia, una sorella o comunque una persona cara, spesso dopo anni di inferno (poiché lo stalker non desiste dal suo insano proposito, anche a costo di tornare alla carica per anni e anni), ci rendono partecipi del loro immane strazio, ma denunciano al tempo stesso la totale assenza di tutele per le vittime di queste tragedie annunciate, a fronte di una macchina della giustizia che favorisce puntualmente i carnefici che possono beneficiare di sconti di pena, dichiarandosi pentiti talvolta solo per ottenere l'indulto o un ulteriore sconto di pena se, al momento del delitto, sono incensurati, e/o se, durante il periodo di detenzione, danno prova di buona condotta. Questo significa che, nel giro di pochi anni, l'assassino si può ritrovare a piede libero e tornare a colpire. Oltre all'iniquità di un simile trattamento, le vittime, ma anche gli operatori della salute mentale, rilevano la necessità di far intraprendere allo stalker un percorso riabilitativo e rieducativo che non può essere breve, e di cui peraltro non è garantito il buon esito. Ciò non toglie che sia questa l'unica strada praticabile, come peraltro ribadito da Rashida Manjoo, nella sezione relativa alla Missione in Italia inclusa nel Rapporto contro la violenza sulle donne, unitamente all'adozione di opportune riforme legislative e politiche che prevedano l'integrazione di misure volte a tutelare le donne vittime di violenza domestica e l'eventuale affidamento dei minori. Si rende inoltre necessario un percorso formativo mirato per gli operatori sociali, i medici di base, le forze dell'ordine e per tutte le figure chiamate ad accogliere adeguatamente le richieste di aiuto delle donne vittime di violenza. Anche la scuola dovrà ricoprire un ruolo di primaria importanza, contribuendo a una trasformazione radicale della mentalità, promuovendo un utilizzo non sessista del linguaggio (e questo vale anche per i media), a garanzia di un'interazione rispettosa e di un livello di potere equo fra uomini e donne.
Come sottolineano gli autori di questo libro, che tutti dovrebbero leggere con grande attenzione, oggi l'Italia è ancora del tutto inottemperante rispetto agli standard e agli impegni internazionali. Il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza maschile sulle donne, non deve essere una ricorrenza rituale. Alle parole devono corrispondere politiche adeguate per fermare la violenza di genere, che è una violazione dei diritti umani.
Cristina Luisa Coronelli
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