Longbourn house: la vita ai piani bassi di casa Bennet

Longbourn House
di Jo Baker
Einaudi, 2014

pp. 386
€ 18




È necessario fare uno sforzo, uno sforzo considerevole, per leggere questo romanzo nella sua unicità e indipendenza rispetto a quella che probabilmente è l’opera più celebre di miss Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio; uno sforzo che forse in fondo non vale nemmeno del tutto la pena compiere, ma che, se si vuole giudicare il romanzo della Baker al di là di possibili parallelismi con la celeberrima storia austeniana, diviene necessario seppure piuttosto arduo. Longbourn house deve infatti moltissimo al sopracitato romanzo della Austen, al punto da essere presentato come una sorta di rilettura del mondo evocato dall’autrice inglese in cui la Baker erge a protagonisti della storia quei fantasmi che in Orgoglio e Pregiudizio si muovono sullo sfondo: la servitù di casa Bennet, un microcosmo pulsante di vita e sentimenti, in attività perenne, persone e storie le cui vite sfiorano quelle della famiglia ai piani alti che sono chiamati a servire e delle cui vicende sono inevitabilmente spettatori più o meno partecipi. Il legame con l’opera austeniana è senza dubbio fortissimo, fatto di costanti richiami alla ben nota trama e nuovi dettagli immaginati dalla Baker, mentre le vicende della famiglia Bennet si intrecciano alle vite della servitù e danno al lettore la possibilità di avvicinarsi alla storia conosciuta da molteplici angolazioni e punti di vista. E innegabile è anche una parziale similarità alla celebre serie televisiva Downton Abbey, ispirata al romanzo Ai piani bassi di Margaret Powell, per la scelta di dare spazio alla rappresentazione della servitù, alle vicende umane e al contesto storico dell’epoca entro cui si muovono i capi opposti della gerarchia sociale. Ma come Longbourn house non è la riscrittura di Orgoglio e Pregiudizio dal punto di vista della servitù, allo stesso modo non è nemmeno una sorta di Downton Abbey ambientato un secolo prima: è una storia pulsante di vita e sentimenti, che merita di essere letta nella sua originalità, cercando il più possibile di non forzare il legame con l’opera della Austen – anche perché ci si avventurerebbe in territorio pericoloso e le debolezze del romanzo della Baker risulterebbero davvero difficili da ignorare di fronte al capolavoro austeniano- ma provando a godere appieno di un romanzo che non nega il proprio debito verso la storia cui è inequivocabilmente legata e che possiede voce e trama assolutamente autonome.

Vale quindi la pena fare quello sforzo cui si accennava da principio e cercare per quanto possibile di leggere il romanzo sorridendo dei rimandi più o meno espliciti a Pride and Prejudice ma non lasciandosi distrarre dalla ricerca a collegamenti ed allusioni velate all’opera della Austen. Perché se accettiamo il patto di addentrarci nella vicenda narrata dalla Baker, le vite di Sarah, Mr e Mrs Hill, della piccola Polly, dell’affascinante e misterioso James Smith, ci appariranno così intriganti e complesse da offuscare per un attimo ciò che accade ai piani alti – e lo dico ovviamente con tutto il rispetto, anzi la reverenza, nei confronti del capolavoro austeniano di cui anche la sottoscritta è una lettrice assidua – che in questa storia non esiste se non laddove le vite della famiglia Bennet si intrecciano a quelle della servitù, protagonista assoluta della vicenda. Baker conferisce dignità, nomi e ruoli ben delineati a quei fantasmi affaccendati che si occupano di Longbourn house e della famiglia che servono; nel farlo, racconta le storie di lavoro, fatica, umiltà, sogni, sentimenti, sofferenza del mondo ai piani bassi, mentre anche lo sfondo storico e l’aspetto sociale assumono nuova sostanza.
L’aria era tagliente alle quattro e mezzo del mattino, quando cominciò la sua giornata di lavoro. La leva di ferro della pompa era fredda e, nonostante i guanti, i geloni le bruciavano mentre risucchiava l’acqua scura da sottoterra per riempire il secchio in attesa. Una lunga giornata da far passare, e quello era solo l’inizio.
E la servitù protagonista della vicenda non è un’entità indistinta ma un mondo composto di personaggi ognuno con la propria individualità e carattere che si va via via svelando, alcuni al centro della scena altri semplici figure di contorno ma egualmente delineati con cura.

Partiamo proprio da qui, dalla trama e dai suoi protagonisti: una giovane domestica, Sarah, precocemente rimasta orfana ed accolta a Longbourn house sotto la guida e l’affetto della governante, Mrs Hill; una donna di mezza età questa a tratti spigolosa e severa ma di buon cuore e capace di infinito affetto e compassione; la piccola Polly, ingenua ed infantile, che non fatichiamo ad immaginare più felice in una vita in cui le fosse permesso godere della propria infanzia e giocare spensierata piuttosto che lavorare a servizio seppure per una famiglia buona come i Bennet; James Smith, il misterioso e taciturno valletto giunto una mattina a Longbourn house, custode di un passato oscuro e segreti insospettabili. Intorno a loro, le vite di altri servi e bottegai che sfiorano le esistenze degli abitanti di casa Bennet, domestici giunti dalla città al seguito dei propri ricchi padroni, soldati, pastori, contadini, fantasmi dal passato.
E nel più tipico stile romance non mancano i sentimenti, amori di cui presto intuiamo gli sviluppi ma non per questo meno intriganti da seguire, figli illegittimi, gelosie e rivalità, fughe notturne e lacrime versate.

Ma la trama e soprattutto il romanzo naturalmente non si riduce a questo e molte aspettative suscitate sull’opera dopo la presentazione in anteprima in Einaudi sono state mantenute. Intanto, come si accennava, la complessità dei personaggi, almeno di quella manciata di protagonisti indiscussi della vicenda: Sarah, James, Mrs Hill, sono vividi e contraddittori, profondamente umani e complessi, le personalità assolutamente distinte ed uniche. Ne intuiamo il carattere e il cuore pagina dopo pagina, per mezzo delle loro stesse voci che l’autrice lascia libere di alternarsi fra parole e pensieri, ognuna sorprendentemente unica e riconoscibile.
Se la trama quindi a tratti pecca di scarsa originalità, seguire il pensiero, le speranze e le attese di queste umili vite piene di dignità è comunque sempre una scoperta, ognuno di loro l’occasione per riflettere sui temi portanti del romanzo: i sentimenti innanzi tutto, fondamento della storia tanto ai piani alti quanto nelle stanze della servitù, celati, insospettabili, complessi da comprendere e ancor di più da vivere; il peso del passato, fardello di esperienze spesso difficile da sostenere; convenzioni e ruoli che la propria condizione di partenza impone, ma contrastati dal desiderio bruciante di costruirsi una vita su misura, amare chi si è scelto e muoversi liberamente nel mondo. E il lavoro, ovviamente, la vita durissima della servitù di una rispettabile famiglia di campagna, descritta con minuzia di particolari, senza eccessivo pathos o brutalità, ma sincera rappresentazione delle fatiche quotidiane che si celano dietro le mussoline, i pranzi e i balli, le giornate sonnacchiose ai piani alti. Infine la guerra: la vita militare, onore e brutalità, che dalle uniformi scintillanti sfoggiate da gentiluomini in sale da ballo affollate di giovinette affascinate, si intreccia al ricordo per sempre vivido di sangue e morte in una terra straniera, un orrore impossibile da dimenticare e marchiato per sempre nel cuore e sulla pelle. È quello sfondo storico delle guerre napoleoniche che nel romanzo della Baker diviene prepotentemente protagonista di alcune tra le pagine più intense, ma necessarie per comprendere appieno la complessità del personaggio che del proprio passato porta ancora il pesante fardello; pagine necessarie anche per cementare il disprezzo verso quegli uomini prepotenti e vili che si nascondono dietro il potere della propria posizione.

Una profonda malinconia traspare dal racconto, è il sentimento di una classe piegata dalla fatica, dai sogni frustrati, da convenzioni impossibili da ignorare; ma c’è spazio anche per la speranza, almeno per le nuove generazioni che non si arrendono ad una vita prestabilita, il disegno già perfettamente tracciato, e al contrario cercano invece di costruirne una a propria misura. A lati opposti in questo senso troviamo Mrs Hill, che non ha potuto far altro che accontentarsi della vita migliore possibile per una donna della sua condizione, non una vita del tutto infelice ma sempre e profondamente velata di malinconia; e Sarah invece, ostinata, caparbia, viva, che smania per uscire da quel piccolo mondo, per conoscere la vita e sentirsene davvero parte, per non accontentarsi mai al contrario di Mrs Hill. Sarah che pagina dopo pagina cresce sotto gli occhi del lettore, progressivamente meno ingenua e timida, e che da bambina diventa adulta; sbaglia, si innamora, cade, si rialza, e intanto lavora, senza sosta, celando dietro la rispettosa imperscrutabilità i propri sentimenti. E insieme a Mrs Hill è sicuramente James il personaggio altrettanto malinconico: sfuggente, taciturno, misterioso e tormentato, ma capace di gesti di puro altruismo, protettivo e pronto a sacrificare tutto per difendere l’innocenza di una bambina. Perchè di troppa violenza è stato testimone e protagonista:
Sapeva che gli uomini erano capaci di tutto ed era giunto alla conclusione che in realtà alcuni, per quanto camminassero, parlassero, pregassero, mangiassero, dormissero e si vestissero da uomini, non erano affatto tali. Appena ne avevano il tempo e l’opportunità, si rivelavano fredde creature dagli strani appetiti, indifferenti al male che procuravano per soddisfarli.
James è un uomo, con un passato impossibile da lasciarsi alle spalle, è un giovane che si innamora completamente, è un vecchio che si piega sotto il peso del dolore. È in fondo il personaggio maschile meno convenzionale della storia, è l’eroina da cercare ed infine salvare.

E tra giornate di lavoro sfiancante, demoni personali, sentimenti e sogni, colpisce inoltre l’ironia che a tratti emerge dal racconto: è uno stile vivace che la Baker utilizza sapientemente per restituire al lettore un’umanità a tutto tondo, dove le signorine non smettono di essere creature eteree per rivelarsi umane come ogni altro essere su questa terra, seppur viste sempre con una certa benevolenza da chi giorno dopo giorno si prende cura di loro; lì, ai piani bassi, dove la giornata inizia prima dell’alba e il lavoro prosegue costante fino a sera, la voce ironica dell’autrice inaspettatamente si rivela nelle parole della composta Mrs Hill, ma anche in quelle di Sarah, che delle eccitanti novità ai piani alti colgono ovviamente gli aspetti pratici più urgenti. Le feste, i pranzi, i viaggi, lo struggimento, la pena; e l’incertezza per il futuro e per la propria posizione, l’onore, l’orgoglio e l’avventatezza: quanto opposte sono le vite degli abitanti di Longbourn house eppure quanto simili sono in fondo preoccupazioni e sentimenti!

Si, come recita la fascetta, Longbourn house è una storia d’amore che sarebbe piaciuta a Jane Austen, perché l’amore è il centro e allo stesso tempo il pretesto per raccontare una storia di più ampio respiro. È una storia di sentimenti, è romanzo di formazione. È il ritorno a luoghi che abbiamo amato, di cui possiamo comprendere ora tutta la complessità e il fragile equilibrio su cui si fonda.