Rete
padrona. Amazon, Apple, Google & Co. Il volto oscuro della
rivoluzione digitale
di
Federico Rampini
Feltrinelli,
2014
pp.
288
€ 18,00
L'autore
lo presenta come un viaggio. Un viaggio attraverso il tempo, per
analizzare le rivoluzioni digitali che negli ultimi vent'anni hanno
mutato tanto profondamente il mondo in cui viviamo, il nostro
rapporto con la comunicazione, l'informazione, la conoscenza, la
socialità, le persone. Attraverso lo spazio, dalla California della
Silicon Valley ai regimi autoritari di Cina e Russia, per mostrare le
vie spesso tortuose percorse da tecnologie che, concepite per aiutare
l'uomo, finiscono per trasformarsi in strumenti di oppressione e
squilibrio sociale. E attraverso le esperienze individuali degli
uomini che queste tecnologie ci hanno donato: Bill Gates, Mark
Zuckerberg, Steve Jobs. Rete padrona è il tentativo di
Federico Rampini di sviscerare il gap che riconosciamo oggi
tra l'esultante fase pionieristica di vent'anni fa, quando si vedeva
nella Rete lo strumento definitivo di liberazione dell'uomo
attraverso la conoscenza, ai più discutibili esiti moderni della
rivoluzione digitale: i nuovi Padroni dell'Universo divenuti
controllori onnipresenti della nostra privacy, elusori fiscali,
generatori di sperequazione economica e disagi sociali. Un viaggio
che Rampini considera "indispensabile per cogliere la vera
natura del capitalismo contemporaneo", e che ha il difficile
compito di districarsi tra i due opposti estremi dell'ottimismo
tecnocratico e della disintegrazione apocalittica:
Non sono un luddista contrario per principio al progresso tecnologico: se lo fossi, non avrei subìto l'attrazione irresistibile verso la modernità che mi spinse a emigrare in California. Volevo andare a vedere da vicino il laboratorio del futuro. Quella che state per leggere non è una lamentazione a senso unico sui danni di Internet e dei gadget digitali, anche se di alcune derive patologiche bisogna essere consapevoli: il progresso è tale se ne restiamo noi i padroni.
Peccato
sia un viaggio che ci mostra solo paesaggi già visti, e che alla
fine non conduca da nessuna parte. Il saggio di Rampini si
caratterizza per superficialità di approccio e scarsità di
approfondimento tematico; non dice quasi nulla che non appartenga
ormai da anni al bagaglio di conoscenze comuni a chiunque non abbia
vissuto fino a ieri in una grotta. Le parti più decisamente dedicate
alle problematiche della rivoluzione digitale, che dovrebbero
costituire lo specifico del libro, si attestano per buona parte ad un
livello da Internet for Dummies ("La colpa, come sempre
non è della tecnologia, ma di chi li usa" è sostanzialmente il
concetto di fondo del saggio); fino a spingersi persino a fornire
definizioni per concetti come "link" ("la breve
citazione che noi clicchiamo e ci porta al contenuto integrale"),
un po' come fa Di Più che,
quando in un articolo si cita un nome straniero, fornisce tra
parentesi la pronuncia italiana traslitterata a favore di un
eventuale pubblico attempato. Peccato che, in un saggio sul "volto
oscuro della rivoluzione digitale", certe nozioni si sarebbero
date per scontate. Dove Rampini brilla è invece nelle discussioni di
tipo geo-strategico o economico, che evidentemente gli riescono più
congeniali, come nei capitoli sulla Muraglia di Fuoco Cinese o sulle
monete virtuali.
Ma
da dove deriva una natura così fatiscente per un saggio che, in
premessa, aveva tutte le carte in regola per destare come minimo un
ragionevole interesse?
Il
primo problema di Rete padrona è strutturale. Nel senso che,
se siete tra coloro che seguono da sempre l'attività giornalistica
di Federico Rampini come corrispondente di Repubblica da New York,
avete già letto questo libro. Il volume non lo dichiara in
alcun modo, ma il saggio di Rampini per un buon 90% altro non è che
il collage di articoli già
apparsi su Repubblica o su altri giornali come "Azione", il
settimanale della Cooperativa Migros Ticino; con le necessarie
modifiche e giunture nel raggruppamento dei singoli pezzi quando
troppo corti per raggiungere la "forma-capitolo", o le
inevitabili minime revisioni per adattare il pezzo al nuovo contesto.
Certo, alcuni paragrafi e parti di capitoli sono stati scritti ex
novo, e ci mancherebbe. In larga percentuale, tuttavia, se volete
leggere le opinioni di Rampini sul tema "Rete padrona" non
avete che da usare Google. Troverete il saggio quasi integralmente
reperibile su Internet nei suoi "componenti originari", del
tutto gratis e senza le fastidiose sovrapposizioni e ripetizioni
ossessivamente ricorrenti tra le pagine del libro; conseguenza
inesorabile, quando si fondono parti in origine autonome
semplicemente giustapponendole, senza rielaborarle a fondo. E per un
libro che costa 18 euro, e che si esaurisce in sostanza in un centone
di pezzi già pubblicati qua e là a partire almeno dal 2011, credo
sarebbe stato corretto specificare che non si trattava in toto
di contributi inediti. Di norma lo si fa; penso ad esempio a raccolte
come A passo di gambero, di Umberto Eco (Bompiani, 2006).
Non
è una semplice questione di principio. Fondere insieme articoli di
provenienza eterogenea – cronologica e tematica – in un discorso
che si pretenderebbe generale e unitario quale quello che Rampini
intende qui sviluppare, è un'operazione che non funziona. Non
funziona nei singoli capitoli, che spesso si ritrovano a saltare di
palo in frasca lungo precarie suture perfettamente evidenti (gli
"attacchi" dei pezzi di Rampini sono tutti uguali nello
stile, si vede benissimo quando ne comincia uno nuovo), associando la
presentazione di temi e figure accomunati da affinità intrinseche
talvolta piuttosto esili. E non funziona al livello del discorso
complessivo, dove Rampini, in mancanza di una rielaborazione
sostanziale della materia originaria, si ritrova a mettere insieme un
libro in cui l'atteggiamento dell'autore verso il proprio tema cambia
a seconda del punto di vista da cui lo osserva. L'esempio migliore
sono forse i casi Snowden e WikiLeaks, la cui discussione ricorre
svariate volte nel corso del libro, con prospettive e valutazioni di
volta in volta differenti in merito all'effettiva capacità
"eversiva" (in senso lato) delle rivelazioni: ora
presentate come la prova di quanto sia facile sconvolgere un sistema
dall'interno, pur senza essere ai ranghi più alti dell'operatività,
ora lievemente sminuite come cose che in fondo, quando vennero
"rivelate", già tutti sapevano grazie alle analisi dei
giornali.
Ma
si può andare ancora oltre: perché, al di là dei problemi che
attengono alla maldestra "composizione" del volume, il
saggio di Rampini vacilla proprio in quello che dovrebbe costituire
il cuore pulsante dell'argomentazione, e cioè l'analisi della natura
chiaroscurale della "Rete padrona". Come ho detto,
l'assunto fondamentale dei vari articoli che compongono il testo è
che non esistono tecnologie buone o cattive di per sé, tutto dipende
da come le si usa. I giganteschi protagonisti della rivoluzione
digitale nascono in un'ottica libertaria, egualitarista, free,
e finiscono per "inquinarsi" cedendo alle lusinghe della
pubblicità. Forniscono servizi di cui ormai non sappiamo più fare a
meno (i servizi di posta elettronica di Gmail, le ricerche di Google,
le interazioni sociali di Facebook e Twitter), ma al tempo stesso li
sfruttano per carpirci dati personali, informazioni su gusti e
preferenze, trend di acquisto e altro, per venderci ai Big delle
pubblicità; o, nel caso dei Governi, per controllare i popoli e far
passare immagini "corrette" della realtà politica.
La
domanda è: e dunque? C'era bisogno di leggere un libro, per saperlo?
Oggi, nell'Anno del Signore 2014? Dopo le rivelazioni sul Datagate, o
le cronache delle proteste di San Francisco contro i techies,
per restare solo a due macro-episodi? Probabilmente le analisi di
Rampini meritavano il loro giusto spazio mano a mano che uscivano sui
giornali, a partire dal 2011, diffondendo la conoscenza di fatti di
cui solo allora si cominciava a rendersi conto; ma riproporle
identiche oggi, quando ormai costituiscono communis opinio,
sotto forma di saggio unitario, pare un po' fuori tempo massimo.
Oltre alla definizione di uno "stato dell'arte" noto ai
più, oltre alla messa in campo di nozioni, informazioni e
ricostruzioni di vicende, cos'ha da offrirci Rete padrona che
già non sappiamo? I giornali li leggiamo tutti, e lo facciamo quasi
tutti i giorni; ci siamo accorti da parecchi anni che, quando
scriviamo una mail su Gmail, gli AdSense si modificano in base al
contenuto, o che su Facebook la pubblicità è ormai chirurgicamente
personalizzata, o che gli Stati Uniti controllano i cellulari di
tutti, in Cina e in Russia su Internet si trova solo quello che non
dà fastidio al Governo, in California si accumulano miliardi nelle
mani di una ristretta tecno-élite, mentre i mezzi pubblici cadono a
pezzi e la gente viene sfrattata da case i cui prezzi di mercato
salgono sempre più alle stelle.
Se
il volto oscuro della rivoluzione digitale è questo, è già da un
bel po' che è stato messo in luce.
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