Gianfranca Lavezzi (a sinistra) introduce l'incontro con Andrea Molesini, presentato da Gloria Ghioni |
Il 29 ottobre, per festeggiare la giornata per la promozione della letteratura italiana indetta dall'ADI, il collegio Santa Caterina di Pavia, da sempre molto sensibile alle iniziative per la lettura e la cultura, ha ospitato Andrea Molesini, scrittore pluripremiato sia per i suoi titoli per adulti (Non tutti i bastardi sono di Vienna ha vinto il Campiello e il Comisso, tra gli altri), sia per i titoli di romanzi per bambini (Premio Andersen alla carriera), per le traduzioni e per la saggistica.
L'occasione, poi, era particolarmente ghiotta, visto che ho avuto l'onore e il piacere di parlare con Molesini di Presagio (qui trovi la recensione). Il primo quesito, imprescindibile per la discussione, è stato se definirlo un romanzo breve o un racconto lungo. Al di là dell'etichetta, Molesini commenta che il racconto lungo «ha un bersaglio, e tutto - anche le più piccole metafore - deve puntare al bersaglio, appunto». Che niente fosse casuale, era già chiaro dall'attenzione paratestuale e strutturale dell'opera: si tratta di un "romanzo-teatro", per citare la bella definizione data da Paccagnini in una delle prime recensioni su Presagio. Infatti, dopo la premessa drammatica con l'epigrafe di Rilke, che rimanda all'agguato della vecchiaia, abbiamo un prologo, tre atti (in tre lingue diverse, a conferma del cosmopolitismo alla base dell'opera), e un epilogo.
Anche altre caratteristiche del romanzo riconfermano e smentiscono al tempo stesso le "leggi" classiche del teatro. Abbiamo un'apparente unità di luogo (Venezia), che si dispiega però in due opposti: l'Hotel Excelsior (luogo cosmopolita, intreccio di vite e di genti) e l'isola di San Servolo (dove, nel manicomio, si consuma il silenzio della solitudine e della reclusione). Allo stesso modo, l'unità temporale (pochi giorni ma cruciali tra luglio e agosto 1914) sono dilatati e rivissuti alla luce di flashback e prolessi.
Va detto che parlare con l'autore riempie sempre la sala di nuove scoperte: Molesini ci dimostra con letture di stralci dal romanzo quanto il tempo sia centrale. Fin dall'inizio, il protagonista Niccolò Spada cerca di interpretare l'orologio, per essere rassicurato da qualcosa di oggettivo. Ecco, quel qualcosa che si smarrisce con le lancette rotte poco più avanti. E con la spirale angosciosa e gravida d'attesa della Venezia pre-bellica, il tempo dell'orologio diventa il tempo dell'interiorità, scandita dai balzi umorali di Niccolò che conosce Margarete.
Un'impressione personale? Bellissimo notare come in questo Presagio, parlandone con l'autore, la condensazione della storia in meno pagine rispetto ai romanzi precedenti abbia portato Molesini a un'attenzione formale altissima. Qualche esempio? Rintoccano gli endecasillabi (ad esempio "l'azzurro inferocito dei suoi occhi") e ogni dettaglio è frutto di riflessione, sia sulla sua forma stilistica, sia sulla sua posizione nel testo.
Un romanzo estremamente sorvegliato, insomma. E poi è splendido spaziare, parlare con l'autore del percorso che ha portato a Presagio, titolo scelto «perché finalmente i traduttori non avranno alternative e lo tradurranno così... Non si potrà neanche abbreviare! Non vi dico cosa si sente con Non tutti i bastardi sono di Vienna!» E invece Molesini ce lo racconta: ci racconta di come una signora sia andata dal libraio dopo aver sentito parlare del romanzo a Fahrenheit e, in dubbio sul titolo, abbia... interpolato il titolo originale con "Non tutti i bastardi sono di Besate", ovvero il suo paese!
Tra aneddoti, letture e pareri stilistici, arriviamo anche a parlare di cosa rappresenti la letteratura italiana, oggi. Contrariamente a quanto si sente ultimamente circa la letteratura come divertimento, Molesini pensa che «leggere sia quanto di più faticoso e innaturale esista. Richiede uno sforzo, congetture, un ragionamento complesso che alla mente costa». Non crede, quindi, che la lettura coatta nelle scuole o le imposizioni siano particolarmente fruttuose. Né ritiene che un buon libro debba essere solo distensivo. Anzi,
La letteratura esiste per disturbare i significati. Siamo tutti dei naturali cercatori di senso, destinati allo scacco.
E lasciamo che siano proprio le parole di Molesini a chiudere il ricordo (bellissimo) di questo incontro:
La letteratura è la parola giusta nel punto giusto; la letteratura usa le parole non per far avvenire le cose, ma disturba il significato comune. È come fare un viaggio, trasforma. Il libro disturba i significati.
GMGhioni
Ringrazio personalmente Gianfranca Lavezzi, per la fiducia nell'affidarmi la presentazione dell'incontro; il collegio Santa Caterina e la rettrice Mariapia Sacchi per la sempre splendida ospitalità. E ringrazio di cuore Andrea Molesini che, oltre al bell'incontro, mi ha dedicato parole pensate su ogni "mio suo" romanzo (e ci siamo capiti)!