di Stephen Greenblatt
Rizzoli, 2012
pp. 364
È di moda indagare su libri, biblioteche, abbazie, monasteri, vangeli perduti, scomparsi, proibiti. Ne è nato un filone oramai inflazionato con romanzi dalla discutibile ricostruzione storica. Nonché contenenti tesi azzardate. Ci sono molte più cose, aveva ragione Amleto, la storia va riscritta, a volte, ma è sempre bene partire da una base scientifica. Poi un amico mi consiglia questo saggio e la prima reazione è di diffidenza. Tuttavia scopro che l’autore, Stephen Greenblatt, è docente di letteratura inglese a Harvard ed è già noto ai lettori italiani per un bel libro su Shakespeare. Memore del pragmatismo tipico degli intellettuali anglosassoni e confidando sulla loro serietà, mi sono liberato da lacci e lacciuoli e procurato il libro che ruota attorno a Poggio Bracciolini, l’umanista che nel 1417 scoprì in un’abbazia tedesca, forse quella benedettina di Fulda, il De rerum natura di Lucrezio.
La riscoperta di Lucrezio muove dall’analisi dei temi fondamentali del suo poema, nato all’insegna del recupero della filosofia di Epicuro. Il materialismo, l’invito alla ricerca della felicità, a non aver paura della morte, a vivere sobriamente i piaceri che la natura offre, a non temere la divinità, a considerare le religioni come mistificatrici per eccellenza influenzarono Machiavelli, Montaigne, Shakespeare, Giordano Bruno, Galileo, Newton, Leopardi, Nietzsche. Poi, si sa, le idee – come aveva ragione in questo Platone! – conducono una vita propria ed ecco che la “felicità” sale in un naviglio, varca l’Atlantico ed entra di prepotenza addirittura nella costituzione americana, grazie a Jefferson, appassionato lettore del poeta latino ed epicureo dichiarato.
Le vicende narrate nel saggio, che scorre come un romanzo, un buon romanzo, vedono Poggio Bracciolini, imbevuto dell’insegnamento del grande Coluccio Salutati e intimo di una ristretta cerchia di umanisti e collezionisti di testi pagani, viaggiare instancabile alla scoperta di codici latini e greci dimenticati. È al servizio di otto papi e padre di quattordici figli, con l’amante, e di altri cinque con la giovanissima moglie sposata a cinquantasei anni. Un tipo che quando si inalbera non le manda a dire: i bisticci, le rivalità, le sue gelosie entrano di diritto nella commedia dell’Umanesimo. Ad esempio, Poggio litiga e si insulta per tutta la vita con Lorenzo Valla, colui che scoprirà la falsità della famosa donazione di Costantino, fondamento del potere temporale dei papi. Fino a venire alle mani, ultrasettantenne, con Giorgio di Trebisonda per una questione di traduzioni e trascrizioni. Giorgio è più giovane e Poggio rimedia un pugno, anche se non sta a guardare visto che prova a cavare un occhio al rivale.
L’ultimo papa di cui Poggio è segretario personale è il temibile Giovanni XXIII, al secolo Baldassarre Cossa, corsaro di Procida assurto al soglio di Roma in un periodo in cui già c’erano altri due papi, diciamo erano anni… sanguigni, lo spagnolo Benedetto XIII e il veneziano Gregorio XII. Giovanni XXIII è costretto dall’imperatore a indire il Concilio di Costanza per risolvere la situazione, arriva nella città svizzera e fa in tempo a mandare sul rogo il riformatore boemo Jan Hus e il suo seguace Girolamo da Praga. Ma la situazione precipita e il Cossa è incriminato per simonia, sodomia, stupro, incesto, tortura e omicidio. Tra l’altro pare avesse avvelenato il suo predecessore. Viene deposto nel 1415 e il suo nome cancellato dall’elenco dei pontefici ufficiali, infatti fu poi adottato nel 1958 da Angelo Roncalli. Ciò che conta ai fini della nostra storia è che lascia Poggio disoccupato. Tuttavia, in questa condizione precaria, riporta alla luce il De rerum natura.
Al di là di quanto accennato sui contenuti del poema lucreziano, dobbiamo pensare a ciò che esso ha costituito per il salvataggio di un concetto che per un millennio è parso assurdo, inconcepibile. Ovviamente eretico. Gli atomi e il loro viaggio nel vuoto. Ebbene, l’atomismo era nato come corrente filosofica greca molto marginale. Chiaramente Democrito non si riferiva all’atomo come uno scienziato attuale ma era comunque mosso da un quesito di disarmante modernità: qual è il costituente fondamentale della natura e dell’universo. Chi aveva decretato il salvataggio di questa riflessione era stato proprio Lucrezio, per il tramite di Epicuro, poi il silenzio era caduto pesantemente. Ma i censori e i nemici del pensiero non erano riusciti a cancellare l’assunto, quest’ultimo aveva reagito sottotraccia in attesa di essere riesumato e consegnato alla riflessione umana. Finché la fisica ne ha fatto il suo caposaldo. È stato tutto casuale ma le idee vincenti resistono a qualsiasi inquisitore del tempo e dello spazio.