Un mistero in bianco e nero. La filosofia degli Scacchi.
di Giangiuseppe Pili
Le Due Torri, 2012
pp. 196, € 18,00
Giangiuseppe Pili ci ha consegnato un volume di difficile
collocazione. «Figurarsi!»,
obietterebbe il lettore disattento: «è
un libro sugli scacchi, va collocato tra quelli».
Vero, se non fosse che gli stessi scacchi hanno un'identità non
facilmente definibile. Sono un gioco, certo, ma un gioco che
racchiude interi variegati e complessi universi («Gli
scacchi sono il gioco che riflette più onore sullo spirito umano»,
ebbe a dire Voltaire).
Quello che l'autore si propone
di fare in Un mistero
in bianco e nero,
poi, non è certo un'indagine sulle mosse da giocare, sulle aperture
o sul mediogioco. È molto di più. Si tratta, in buona sostanza, di
una riflessione sulle strutture di pensiero mediante cui il giocatore
affronta le sessantaquattro caselle e al contempo di uno studio sulla
logica alla base del “nobil giuoco”.
Con uno stile brillante e rigoroso come solo un logico può avere – Pili è laureato, per l'appunto, in questa disciplina – lo scrittore riesce nell'impresa di rendere scorrevole e talvolta persino divertente una trattazione di assoluta profondità.
Le
domande sorgono con la spontaneità di chi, curioso e non incline ad
accogliere le semplicistiche “definizioni ufficiali”, si
interroga su tutto ciò che ruota attorno al regno di Caissa, mitica
dea protettrice degli scacchi. A partire dal linguaggio parlato entro
i suoi confini, ovvero la notazione algebrica che con estrema
precisione ci permette di ripetere le mosse giocate, magari, secoli
fa (troverete anche la trascrizione di una partita tra Napoleone e
“il Turco”, in cui il grande stratega si dimostra uno scacchista
piuttosto mediocre).
È
un linguaggio formale, dotato in quanto tale di un valore sintattico
e non semantico. Si occupa della struttura del discorso, dove il
discorso è lo svolgersi del gioco, e non include in sé niente che
esuli dalla descrizione delle mosse e da una elementare valutazione
delle stesse. Gli è estranea ogni considerazione sui principi
generali o sulle buone norme strategiche. Garantisce però
l'eliminazione di ogni ambiguità:
«Caissa […] si “arrende” e preferisce costruire un linguaggio logico che non parli di significati né di verità o falsità. […] Ci dà un'idea solo di come si possano costruire enunciati non ambigui e chiari a tutti coloro che conoscano le regole di codifica, indipendentemente dalla lingua che parlano» (p. 36).
Particolarmente
interessanti, forse perché sullo stesso argomento ne sono state
scritte a milioni e quasi sempre in modo approssimativo e confuso,
sono le pagine che mirano a far luce sulla complessità degli
scacchi. Con chiarezza e puntualità vengono qui enumerati e
illustrati i vari ordini di complessità, di volta in volta legati a
questioni di fattualità, problemi della conoscenza e
meta-complessità. Non è opportuno dilungarci oltre, ma chi vuole
saperne di più legga quelle righe e troverà illuminanti le
osservazioni in merito.
Lo
studioso fissa poi l'attenzione sulla distinzione, lucidamente
operata, tra necessità, possibilità e casualità. Scacchi e molto
altro, dicevamo, e in effetti in casi come questi vengono sviscerati
concetti che informano di sé l'intera storia della filosofia.
Seguono, tra le altre cose, una disamina attenta delle tipologie di
errori comunemente commessi e un mini-saggio (dove il prefisso è
ovviamente riferibile all'esiguo numero di pagine, non certo alla
loro qualità) sull'intelligenza artificiale, in cui Pili ha modo di
sviluppare nitide argomentazioni sulle differenze “procedurali”
presenti tra il pensiero umano e il pensiero – tra virgolette, si
intende – dei calcolatori elettronici. Fosforo e silicio a
confronto, insomma:
«Il computer computa milioni di mosse al secondo, l'uomo due o tre. Il computer ha nella memoria milioni di partite, l'uomo poche o nessuna. Il computer valuta una posizione in base al calcolo, l'uomo lo fa soprattutto in base all'euristica. Il computer tiene conto di tutte le possibilità, l'uomo ne seleziona pochissime» (p. 132).
E qualche pagina dopo, in chiusura del
capitolo, leggiamo:
«Ma quanto è straordinaria la mente umana che riesce a raggiungere lo stesso livello di quel computer, senza milioni di partite nella memoria, senza un repertorio di aperture completo e che può, quando vuole, alzarsi per andare a prendersi un caffè?» (p. 141).
Efficace
e funzionale a rendere più agevole la lettura, che beninteso non può
concedersi il lusso di alcuna distrazione, è l'inserimento in alcuni
luoghi del testo di scorci narrativi e fantasie letterarie.
Più
volte ci imbattiamo in una riuscita personificazione di Caissa,
divinità raffigurata mentre dialoga con gli umani, riceve domande ed
elargisce risposte più o meno soddisfacenti agli occhi di scacchisti
propensi a interessarsi soltanto al modo per vincere più spesso
possibile.
Degno
di nota è anche un vero e proprio racconto breve che inscena una
raggelante distopia scacchistica. Un cupo e alienante futuro in cui
ognuno è classificato e identificato in base al punteggio ELO
raggiunto durante la propria attività agonistica, naturalmente
obbligatoria per tutti i cittadini del mondo possibile 104 nell'anno
galattico 3001.
Tutto oro, dunque, in questo libro? Sostanzialmente sì, considerando che i granelli di sabbia presenti sono talmente pochi e talmente piccoli da non minacciare mai la sua purezza. Essi sono dati, a parere di chi scrive, da una certa forma di malcelata superbia qua e là avvertibile nel reiterato utilizzo dell'espressione «noi filosofi» (quando Un mistero in bianco e nero è stato pubblicato Pili era ancora fresco di laurea) e, a livello prettamente testuale, da isolati errori da attribuire probabilmente a disattenzioni editoriali. Pensiamo, ad esempio, alla terza persona del verbo “essere” che, dopo punto fermo, compare apostrofata e non correttamente accentata. Infine, un errore grave e assai fastidioso che non vogliamo davvero credere d'autore riguarda la locuzione latina “aut aut”, considerata qui espressione inglese e dunque totalmente stravolta nella forma e nel significato.
Nel
complesso però, lo ribadiamo, siamo davanti a una pubblicazione
decisamente riuscita. Colpisce per profondità, intelligenza e
scorrevolezza. Da leggere.