Il
vecchio e il gatto. Una storia d'amore
di
Nils Uddenberg
Traduzione
di Lucia Barni
Corbaccio,
2014
pp.
160
€
12,00
C'è
un famoso detto di Joseph Méry secondo cui Dio avrebbe creato il
gatto per dare all'uomo la possibilità di accarezzare la tigre. È
un bel detto, ma io non ci ho mai creduto: se l'intento di Dio fosse
stato quello, gli sarebbe bastato inventare i sedativi. Io penso che
Dio abbia creato prima il gatto, e solo in un secondo momento,
sfinito dagli incessanti miagolìi di insoddisfazione per cibi
sbagliati e giochi noiosi, gli occhi pesanti per il sonno perduto, si
sia deciso a creare l'uomo e la donna. Così avrebbe finalmente avuto
qualcuno che si prendesse cura di tutti quei gatti al posto Suo. E
finalmente, scacciatili tutti, uomo, donna e gatti, dal Paradiso
terrestre, il settimo giorno poté riposarsi.
Non
si spiegherebbe altrimenti il fatto che l'uomo si sottometta così
supinamente al minimo desiderio, volontà o capriccio del proprio
gatto: costringendosi, per esempio, ad astrusissime e contorte
evoluzioni fachiriche nel letto per evitare di disturbare il sonno
del micio accoccolato in mezzo alle sue gambe; o accettando di
alzarsi ogni notte alle quattro per soddisfare il suo appetito
notturno da puerpera. O altre mille servitù di cui ognuno di noi
gattofili si lamenta e compiace al tempo stesso, talvolta facendo di
una convivenza così bizzarramente malassortita l'oggetto di pensieri
e riflessioni. Come ha fatto, di recente, Nils Uddenberg, settantenne
psichiatra svedese che, dopo una vita passata a rinnegare la
possibilità di avere un gatto, si è visto costretto a diventare il
convivente di una micia che da un giorno all'altro ha deciso di
installarsi in casa sua.
Perché
in genere è proprio così che funziona: noi possiamo scegliere di
avere un gatto, ma alla fine è sempre il gatto che sceglie di
restare con noi. Nel caso di Uddenberg, il gatto destinato a
diventare Micia fa la sua comparsa improvvisa nel capanno degli
attrezzi una mattina d'inverno, e da lì non si muove più se non
per accorciare progressivamente la strada che separava il freddo e
scomodo capanno dal morbido e caldo letto della camera di Uddenberg.
All'inizio restìi all'idea, Uddenberg e la moglie le provano tutte
per convincere l'ospite a cercarsi un'altra casa: non dandole cibo,
lasciandola nel capanno per due intere settimane di trasferta a
Stoccolma nella speranza che decida di andarsene. Niente, nulla.
Quando un gatto si mette in testa di vivere con te, ecco, quello è
il punto di non ritorno. E spesso la cosa finisce per essere motivo
di orgoglio per il prescelto.
La nostra gatta ci ha scelto, non siamo stati noi a scegliere lei. I gatti lo fanno da migliaia di anni ed è per questo che portano con orgoglio la coda ritta in aria. Sono individualisti indipendenti, che si rifiutano di trovare un posto tra i ranghi. Indipendenti come molte persone desidererebbero essere. [...] I gatti fanno come gli pare, sono onesti e fanno le loro scelte. E noi, probabilmente senza alcun motivo, proviamo un po' d'orgoglio al pensiero che abbia scelto proprio noi.
Comincia
così la convivenza tra Uddenberg e la sua gatta, che si caratterizza
fin dal principio come un inesorabile e continuo aumento del potere
di controllo di Micia sulle iniziali resistenze dello psichiatra,
costretto a cedere senza appello alle fusa e alle stranezze della sua
nuova "compagna". Proprio come accade, del resto, in una
vera storia d'amore: che si destreggia di norma nel delicato e difficile
gioco di equilibri con cui lo status quo cerca di mantenersi
tale, intatto, inalterabile e irraggiungibile, mentre le spinte
dell'altro, del nuovo e del diverso, si ingegnano per demolirlo,
ritagliando per sé spazi di manovra e di
coesistenza sempre più ampi ed erodendo inesorabilmente la nostra sempre più fragile
volontà di potenza. Ed ecco che anche nella storia di Uddenberg, piano
piano, si delinea un rapporto fatto di equilibri sbilanciati,
dialoghi muti, dinamiche affettive razionalmente inspiegabili, in cui
i nostri cedimenti "territoriali" sono in parte compensati
da tutto ciò che i gatti hanno saputo trasmetterci sul loro
peculiare modo di vedere e vivere il mondo. Perché i gatti
funzionano a modo loro anche nell'interpretazione del concetto
di "animale domestico", che Uddenberg colloca storicamente:
I gatti non sono mai diventati compagni di caccia dell'uomo come i cani, né loro schiavi come i cavalli o i buoi; non hanno mai prodotto latte o carne come mucche, pecore o maiali. Eppure gli uomini si sono accorti subito che era comodo avere un micio nel granaio. Restava più grano per loro e inoltre con meno escrementi di topi. I teneri micini dagli occhioni supplicanti e il pelo morbido divennero presto i preferiti dei bambini, come una specie di peluche in carne e ossa. I gatti erano tollerati, se non addirittura apprezzati. Tuttavia non sono mai diventati membri della famiglia come i cani: il loro posto era ai margini della fattoria, al confine tra l'animale selvatico e quello domestico.
Il volumetto di Uddenberg è una storia che ricorda l'approccio del miglior
Giorgio Celli: il racconto dolce e meditato di quanto la vita di un
uomo cambi quando un gatto decide di entrare a farne parte, narrato
inframmezzando gli episodi concreti di una quotidiana coabitazione
(dalla scelta di croccantini sempre più gustosi all'operazione di sterilizzazione,
dalle uscite notturne estive a un'angosciante fuga di tre giorni
durante i quali Uddenberg si rende conto per la prima volta della
portata del proprio affetto) e osservazioni di carattere etologico e
comportamentale in cui ognuno potrà riconoscere senz'altro tic e
attitudini del proprio gatto. Il tutto corredato dalle bellissime
illustrazioni di Ane Gustavsson, e gestito con l'ironia e la curiosità
di una persona che non voleva un gatto e si è trovato ad amarne uno,
approfittandone per ricavare dalla sua esperienza un
insegnamento generale sul modo migliore per stare al mondo.
Per me è diventata una sfida filosofica cercare di capire almeno in parte il suo mondo. Dopotutto lei fa parte delle mie frequentazioni quotidiane, e in genere si vuole cercare di capire chi si ha vicino. Anche se si tratta di un gatto.