Agostino
di Alberto Moravia
1^ Edizione, Roma, Edizioni Documento, 1943;
1^ Edizione ufficiale, Milano, Bompiani, 1944;
Nuova edizione per il 70° anniversario, Milano, Bompiani, 2014.
A.c. di Simone Casini, con testi di Umberto Saba e Carlo Emilio Gadda.
pp.182, € 11,00
pp.182, € 11,00
Giovedì 11 dicembre scorso la nuova
edizione Bompiani per i settant’anni di Agostino è stata
presentata a Roma, presso la Casa Argentina, da Dacia Maraini, Mario Andreose e
Simone Casini, che ne è il curatore, oltreché l’estensore della corposa
introduzione. Una celebrazione – sono intervenuti anche Raffaele Manica, che a
Moravia ha dedicato una monografia per Einaudi, Antonio Debenedetti e Paolo Di
Paolo – e un’occasione per riprendere questo romanzo spartiacque tanto nella
produzione moraviana quanto, per certi versi, nella letteratura italiana.
La nuova edizione reca in copertina un
fotogramma dell’omonimo film del 1962 di Mauro Bolognini, che ritrae con nitore
e semplicità il fulcro della storia: i due protagonisti in due pose esplicative
(il ragazzo sulla soglia, ombroso e corrucciato, osserva la madre mollemente
distesa, addormentata). La nuova copertina succede al Guttuso della “barca
sbagliata” della prima edizione ufficiale (Bompiani 1944, successiva a quella
semi-clandestina e avventurosa ad opera di Federigo Ghigo Valli
per le Edizioni Documento), allo schizzo dell’adolescente di Fulvio Bianconi
per l’edizione Garzanti del 1974, al ragazzo di David Hockney nel
Bompiani-“L’Espresso” del 1979 e soprattutto, tra tutte le altre, alla
migliore, la marina di Ram degli anni Trenta – edizione 2007.
Caratteristica del libro, oltre la lunga
introduzione e l’assenza di una cronologia della vita e delle opere, due
commenti in calce al romanzo, l’uno di Umberto Saba, l’altro di Carlo Emilio
Gadda, come sempre notevoli – per far luce sul libro, illuminano e oggettivano
anche la loro poetica, la loro idea dell’arte, come la buona critica dovrebbe
fare.
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Il fatto è che si vuole interpretare Agostino come
romanzo di formazione o, per altro verso, romanzo psicanalitico – che usa lo
strumento psicanalitico – quando, se si dovesse valutare secondo questi due
parametri, esso non ne emergerebbe come un grande risultato. Qui è la
questione: se letto come romanzo psicanalitico, Agostino è
meccanico come meccaniche, fin troppo consequenziali l’una all’altra, le scene
che lo compongono. E’ meccanico e scopertamente freudiano lo scandirsi degli
eventi traumatici – da una condizione edenica di connubio con la madre alla
lacerazione; l’arrivo del bagnino; l’incontro con i ragazzi e la presa di
coscienza della differenza di classe; l’omosessualità, sfiorata nella figura di
Saro; l’incontro con la donna, infine – ed è a tal punto automatico, meccanico,
che non è certo in questo, nel racconto dei fatti, che risiede il valore del
libro. Se invece lo si legge come romanzo di formazione – come Casini induce a
fare, accostandolo a Törless e Demian –
allora si rivela un libro sbagliato: nessuna formazione infatti si produce, nel
corso del racconto; il ragazzo è squassato da traumi che non sceglie di vivere
o conoscere, così come questi eventi non sono varchi per una maggior coscienza
di sé e del mondo, ma solo per prendere atto di una lacerazione avvenuta ma non
ancora elaborata, tra l’età abbandonata – segnata dal privilegio dell’innocenza
– e la maturità cui, seppur ritrosi, si comincia a tendere – segnata dalla
liberazione dal fardello dell’innocenza.
Nessuna formazione, nessuna anti-formazione.
Dove è quindi il valore di Agostino? E perché comunque lo troviamo,
quale è, un bel romanzo – sebbene meccanico nella struttura e vagamente urtante
nello svolgimento (nessuno dei personaggi è davvero simpatico, nessuna delle
figure, dal protagonista in giù, appassiona o coinvolge davvero)? Probabilmente
il valore di Agostino è nel trattare, in una dimensione
adolescenziale, agli inizi di una vita, i temi che contraddistinguono la
narrativa di Moravia: la borghesia con i suoi rapporti di forza, le sue meschinità
e ipocrisie, la sua indifferenza, i suoi egoismi.
Agostino è un dramma di interno
borghese. Non un romanzo di formazione, non un romanzo psicanalitico. Un
dramma di interno borghese. Esattamente come i romanzi precedenti e come i
successivi, in Agostino Moravia è interessato allo studio,
all’analisi dei rapporti sociali, dei rapporti sociali in seno alla borghesia e
dal punto di vista della borghesia. Prendendo da Calvino la definizione dei Promessi
sposi come romanzo dei rapporti di forza, si può dire che lo stesso
faccia Moravia: costruisce una narrazione di inaudita violenza, dove la
menzogna si annida ovunque, i rapporti sociali si costruiscono su basi violente
e di pregiudizio, dove il rancore e l’acrimonia muovono la storia verso un
finale che rivela a tutti – a noi, al protagonista – se non la verità delle
cose nella loro nudità, la profonda falsità delle cose come prima apparivano.
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Moravia non ha interesse a indugiare sullo
sviluppo di Agostino come individuo. Se spendesse tempo su questo versante, ne
verrebbe fuori un romanzo di formazione – attenzione all’individuo,
rivendicazione dell’alterità dell’individuo prescelto rispetto a chi lo
circonda. Tutt’altro: Agostino è medio, come medi sono i protagonisti dei
romanzi moraviani. Una medietà, una borghesia di cui Agostino reca tutte le
tracce. Questo il tema – fondamento dell’opera di Moravia. E’ in questo senso,
solo cioè in funzione di una indagine sulla borghesia, alla ricerca della
rivelazione delle sue ipocrisie che Moravia adopera lo strumento psicanalitico.
L’edipismo, la dinamica tra figlio e madre, tra madre e bagnino, figlio e
ragazzi, sono non nocciolo di una formazione, ma concreta raffigurazione delle
dinamiche borghesi tout-court, còlte al di fuori dell’appartamento,
in una sospesa condizione quale quella estiva, della spiaggia, del mare.
Questo il motivo per cui Agostino occupa
una posizione chiave nell’opera di Moravia: essa è al centro della riflessione
dell’autore intorno al nulla, al disfacimento della borghesia occidentale, alla
fatua ipocrisia che falsa ogni rapporto, all’incomunicabilità, ed è al centro
del processo che porta Moravia a riflettere compiutamente su ciò che, nei
romanzi precedenti, Indifferenti e Ambizioni sbagliate,
era stato con inusitata forza intuìto e scagliato, nella letteratura italiana,
quasi senza mediazione, fulmine a ciel sereno. Agostino cristallizza
questo momento di passaggio, da un Moravia moralista – che intuisce e quindi
mette in scena le cose come sono, come gli si sono rivelate, nella loro nudità
– a un Moravia esegeta ed ermeneuta, per cui a essere raccontate non sono più
le cose nella loro verità – la scoperta del vero – bensì i modi attraverso cui
un mondo intero, quello borghese, sociale, politico, umano, cerca di sfuggire
alla rivelazione di questa verità, per non farci i conti. Agostino si
situa al centro di questo percorso, e come tale, esso è anche al centro di un
movimento letterario italiano che nel 1944 comincia a tendere al realismo,
accogliendo tanto lo strumento psicanalitico quanto il tema politico – lo
scontro e la coscienza di classe. Questo è il motivo per cui le descrizioni, la
metafisica concretezza che sprigiona dalle immagini, dalle descrizioni, sono
così importanti e centrali e per nulla secondarie all’interno del libro: sono
esse a conferire al dramma borghese che è Agostino quell’aria
elettrica e sospesa che lo contrassegna, l’atmosfera di imminente crollo, di
certezze e sicurezze che si fa, nella vicenda di dolore del protagonista,
allegoria del crollo di un’intera classe sociale, e del mondo che essa ha
rappresentato.
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