La musica è la mia signora. L'autobiografia
di Duke Ellington
Minimum Fax, Roma 2014
traduzione italiana di Franco Fayenz e Francesco Pacifico
prefazione di Franco Fayenz
pp. 462
17 euro
Il libro è la versione integrale dell’autobiografia scritta da Duke Ellington. Sì, proprio il grande Duke Ellington, in persona. Leggendolo però il sottofondo musicale che ne esce è tutt’altro che jazz. Direi che piuttosto sentiamo in lontananza un Yann Tiersen del favoloso mondo di Amélie, ma tutto in un ottimistico e stucchevole maggiore, senza modulazioni né malinconia. Duke ci sta servendo una scatola di dolcissimi macarons mentre ci fa accomodare nei suoi appartamenti che sembrano arredati da Barbie Principessa. Perché Duke vuol mostrarsi un uomo tutto d’un pezzo, religioso senza macchia e senza paura, amante della vita e di tutti – proprio tutti – gli esseri umani: il ritratto che ne esce è quello di una creatura mitologica mezzo Madre Teresa e mezzo Pangloss. Sì, perché Duke vuol davvero convincerci di aver vissuto nel migliore dei mondi possibili. E noi lettori non gli crediamo, nemmeno per un attimo.
Mi sono immaginata bambina, a dieci anni, seduta sulle ginocchia di nonno Duke, pronta a sentire una delle sue storie. Nonno Duke mi racconta delle persone che ha incontrato, dei luoghi fantastici che ha visitato, di come la vita sia sempre stata generosa con lui, di quella volta che gli hanno operato l’ernia (leggere per credere, pp. 200 e seguenti). Magari nonno Duke salta qua e là tra gli argomenti, talvolta si ripete o addirittura arriva a contraddirsi. Il tono è quello della fiaba (non alla Grimm, intendiamoci, ma una senza ombre, alla Peppa Pig), dove tutto ha una tranquillizzante morale. Duke da ragazzino va a New York, incontra le persone giuste e trova subito i posti giusti. I soldi piovono dal cielo, letteralmente: vuol tornare a Washington per organizzare meglio la sua permanenza a New York, e lo fa con quindici dollari raccolti per strada (p. 49). Certo, le cose spiacevoli accadono. Ma giusto una o due. Come nel 1965, quando il comitato musicale del Pulitzer lo segnala per un premio speciale, ma la commissione glielo rifiuta. Dai Duke, dicci che hai rosicato. Invece no. Duke sa che è stato meglio così:
«Il destino è gentile con me; non vuole che diventi troppo famoso mentre sono ancora troppo giovane.» (p. 267)
Oppure quando in Giappone, durante il tour tra gli anni Sessanta e Settanta, rubano dall’armadio del figlio Mercer (suo manager) più di settemila dollari. Il cameo si conclude col ritrovamento di gran parte del denaro e il perdono del ladro (p. 314), modello Wojtyla col suo attentatore. Certo Duke, come no.
Verso metà libro però capisco. Sto leggendo una di quelle sezioni intitolate “I personaggi del dramma”, dove fa carrellate di uomini e donne che ha incontrato. Luis Armstrong, Ella Fitzgerald, Frank Sinatra, Orson Welles. Lì ho compreso di trovarmi, più che sulle ginocchia di Duke, davanti alla sua pagina Facebook. Ho pensato ai profili delle celebrità: in genere si mostrano felici e pieni di energie, si fanno foto in giro per il mondo raccontando delle bellissime persone che hanno conosciuto, tutti individui formidabili, tutti “amici”. Quello che leggiamo è un Duke Ellington da social network. Lo seguiamo nei suoi viaggi intorno al mondo, lo vediamo ingraziare tutti ed elargire complimenti a questo e a quello. Lui è fortunato e la sua vita è traboccante di felicità.
Credo davvero di avere la grazia? Certamente. In primo luogo mia madre me l’ha detto un’infinità di volte, sempre con quella voce tranquilla e molto intima. Parlava sempre a bassa voce e io sapevo che ogni cosa che diceva era vera. Non importava il dove né il come, lo percepivo a livello inconscio. Per questo ancora oggi non ho paure di nessun tipo, a parte ferire il mio prossimo e offenderlo. La mia vita è stata piena di fatti straordinari e inesplicabili. Ho sempre incontrato la gente giusta nel posto giusto e al momento giusto e ho sempre fatto in modo di ottenere il consiglio e la guida che mi servivano a seconda dell’occasione. (p. 31)
Se dunque la tua esistenza è regolata da una nient’affatto misteriosa sfiga e l’unica legge sempre rigorosamente applicata è quella di Murphy, ti servirà un Alka-Seltzer per leggere della vita di Duke il predestinato, guidata dalle imperscrutabili leggi della grazia divina. Com’è possibile che abbia incontrato solo persone formidabili? Dove sono gli incidenti di percorso? Possibile che Duke abbia evitato la personale razione di imbecilli che tocca, volenti o nolenti, a ciascuno di noi? La risposta è ovviamente no. Ha vissuto come noi sul pianeta Terra, dunque avrà avuto anche lui i suoi problemi. Ma l’autobiografia è un profilo social ante litteram. Duke ci tiene a mostrarsi padrone di ogni situazione. Ringrazia chi di dovere. Delle brutte esperienze, di quelli che l’hanno maltrattato, non ce ne vuole parlare. Nel mondo dei social ognuno cerca di mostrarsi al meglio, sempre. Così fa Duke latte-e-miele.
Eppure, al di là della patina tanto melensa da far venire la carie, ho trovato questa lettura davvero interessante. Intanto si tratta di un documento storico importante che Minimum Fax ci fa avere lasciandolo così com’è, filologicamente rispettoso della volontà di chi l’ha scritto. E poi è davvero curioso vedere come un mostro sacro del jazz mondiale parli di sé e del suo rapporto con la musica. Ci sono perle su altri musicisti altrettanto famosi, aneddoti su come sono nati brani celeberrimi. Dietro alla piaggeria retorica si sente a volte qualche odore, sapore, atmosfera. Eccolo là, penso. Il vero Duke, i suoi sentimenti genuini. Quando Duke ama davvero, lo si percepisce.
Se mi si chiede di descrivere New York, devo pensare in termini musicali, perché New York è la gente e la gente è la musica. Questa incredibile città abbraccia nella sua struttura tutta l’umanità, e unisce ogni nuovo battito di cuore alla sua vibrante pulsazione. New York è una donna, ed è un poco di tutto. (p. 75)
Questo dunque mi sono divertita a cercare per tutto il libro: il mood, al di là delle frasi di circostanza. Lo finisco pensando che Ellington non era certo quello che si può definire un gran simpaticone. È stato un genio dalla vita straordinaria. Lo riprendo daccapo: avevo lasciato per ultima la prefazione di Franco Fayenz – lo faccio con tutte le prefazioni, per non farmi influenzare, a maggior ragione se a scriverle è un’autorità come Fayenz. Sorrido: mi sento meno in colpa.
Il Duca che c’è nell’autobiografia è il medesimo che conobbi allora: tale e quale. Da un lato, un uomo viziato, ipocondriaco, religioso fino al bigottismo, disposto ai compromessi e all’adulazione dei potenti, che diceva di amare tutti mentre in fondo amava soltanto se stesso e – forse – il suo principale collaboratore, Billy Strayhorn. Dall’altro, un personaggio di fascino estremo, conscio di essere uno dei maggiori musicisti del ventesimo secolo senza distinzione di generi (non accettava, anzi detestava il termine jazz) e innamorato in ogni fibra della musica. (p. 9)Manuela Cortesi
Duke Ellington - It don't mean a thing (1943):
https://www.youtube.com/watch?v=qDQpZT3GhDg
Duke Ellington & his orchestra - Take the 'A' train (live in Berlin 1969)
https://www.youtube.com/watch?v=-7xCnhEYk9U
Mood Indigo del Duca nella versione di Nina Simone contenuta in Little Blue Girl (1958)
https://www.youtube.com/watch?v=5euaoFlU87g