Pornokiller
di Marco Cubeddu
Mondadori, 2015
pp. 196
€ 17,00
eBook € 7,99
C'è un passaggio di questo Pornokiller, opera seconda del genovese Marco Cubeddu dopo l'esordio di Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013), che centra e sintetizza meglio di qualsiasi discorso l'anima del romanzo. Siamo proprio all'inizio:
Carlo è in uno dei camerini al primo piano della Hardcorps, si fissa nello specchio fumando un'altra sigaretta. "Ma io non ci sto più. E i pazzi siete voi." Possibile che un omone del suo genere, imbottito di cultura a stelle e strisce fino al midollo, dovesse, invecchiando, risolversi a essere così nazionalpopolare da agghindare i suoi pensieri modellandoli attraverso le rassicuranti nenie cantautoriali della sua infanzia? "Che diavolo di mattinata infernale. Non ne posso più di questa merda". (p. 43)
Proprio in questo scarto, nella frattura insanabile tra i modelli culturali d'oltreoceano del protagonista, Carlo Ballauri, ex rampollo di una famiglia torinese in auge nell'Italia craxiana, ora regista fallito e fallimentare nell'industria del porno, e il forte retroterra "nazionalpopolare" delle origini, si dispiega la trama del romanzo cinematografico di Cubeddu, che da parte sua fa di tutto per ostentare e, se possibile, portare al parossismo questo conflitto. Il risultato, scientemente perseguito (c'è da credere) stando alla verve postmoderna della scrittura dell'autore, è "un irresistibile frullato pop" (aletta di copertina dixit). Gustoso o indigesto, a seconda delle inclinazioni più o meno pop e pulp del lettore. Ma da questo punto di vista Cubeddu, imbastitore di lazzi e di situazioni borderline, è molto onesto; la sua prosa in ogni singola pagina non fa concessioni, non scende a compromessi con l'ipotetico 'gusto' di una certa tipologia di lettore: 'questo è il campo di gioco, queste sono le carte e le regole, se permettete, le faccio io', sembra voler dire l'autore di Pornokiller a ogni sequenza del romanzo.
Chi accetta queste regole viene dunque scaraventato, nel caso del romanzo in questione, in una storia assurda e grottesca (leggi: quotidianamente verosimile) di fallimento e di una probabile redenzione. La storia cioè del suddetto Carlo Ballauri, quarantenne dal fisico e dal passato ingombrante che, complice l'incontro casuale con una ninfetta pseudo-punk (minorenne disadattata) per i vicoli di Torino e a dispetto delle minacce del boss del porno Michele Ortaggio (con tanto di energumeno dalle non meglio precisate origini slave al seguito), decide per la prima volta nella sua vita di mettersi in gioco e di assecondare le velleità artistiche che matura sin dalla giovinezza. Scommette su una rivincita che può quasi toccare con mano, tanto e tale è l'impatto che l'apparizione di Brunilde (così, wagnerianamente, si chiama la ragazzina fatale di cui sopra), musa anoressica e ammorbante più che donna-angelo, provoca sul sistema nervoso, già seriamente messo a repentaglio da droghe ed eccessi vari, del presunto sociopatico Carlo.
Abbandonando le riprese di "Pornokiller", ennesimo annunciato flop nell'universo del porno, per tuffarsi con generosità e ritrovata energia nel surreale quanto improbabile progetto di "Lolita cyberpunk", miraggio (proveniente dal passato) di un futuro e magnifico riscatto, Carlo Ballauri (e con lui il lettore) arriverà alla conclusione che il presente e il futuro non possono che essere come il passato perché, narrativamente parlando, "l'eterno ritorno dell'uguale è anche il ritorno di ogni sua variazione" (p. 190). Così la conclusione del "soggetto scalettato", ovvero prodromo di una successiva sceneggiatura (nonché del conseguente film), che si rivela essere, alla fine, la facies formale di questo romanzo. Coup de théâtre raddoppiato dallo svelamento dell'identità della voce narrante: Alessandro Spera, già protagonista della già ricordata opera precedente di Cubeddu. Come a voler suggellare l'apoteosi di un'istanza estetica che solo nell'esibito gioco intertestuale, quale possibilità narratologica di mise en abyme, trova il suo compimento. Al gusto del lettore, come sempre, la sentenza finale.
Pietro Russo
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