Fëdor
Dostoevskij
Damocle
Edizioni, 2015
Traduzione di Chiara Munerato
Traduzione di Chiara Munerato
pp.
21
€ 5,00
Nel
1873, Fëdor Dostoevskij (1821-1881) assume la direzione della rivista Graždanin
(Il cittadino) dove pubblica “Il diario
di uno scrittore”, opera che contiene una serie di articoli, diffusi
settimanalmente e poi raccolti in volumi. Gli scritti vertono su temi di
cultura e attualità, come eventi di cronaca nera, antisemitismo, materialismo.
Quello
pubblicato dalla Damocle Edizioni è un estratto denominato “Due suicidi”, scritto nel mese di
ottobre del 1876. Prende spunto da due fatti di cronaca, le morti per suicidio
di due giovani donne, l’una accompagnata da un cinico biglietto, l’altra da una
preghiera e da un’icona stretta fra le mani. Due morti simili eppure opposte, l’una dettata
dalla noia, l’altra dal bisogno, l’una figlia della disillusione, l’altra della
disperazione.
Fine
vita e suicidio sono due temi molto sentiti dall’autore, specialmente dopo che
gli fu revocata la condanna a morte sul patibolo, esperienza che lo segnò per
tutta la vita. Sia ne “L’Idiota”che
in “Delitto e castigo”, afferma che
vivere, anche in condizioni precarie, anche per soli altri cinque minuti, è l’unico
desiderio di chi è vicino alla morte.
L’intelletto
è il nemico dell’uomo, è ciò che tormenta perché tenderebbe a dare ordine alla
natura e agli accadimenti. Ma il caos si oppone (non a caso Dostoevskij è
chiamato “artista del caos”), impedisce alla mente di dare forma alle cose, di
placarsi. L’intelligenza tortura, non fa vivere rilassati come animali, fa
capire che, se l’anima è destinata a morire col corpo, allora non ha senso
coltivare ideali e battersi per essi.
La
prima ragazza si è suicidata respirando cloroformio. Apparteneva a una casa di
pensatori, d’illuministi. Ella credeva ciecamente in ciò che le avevano
istillato ed è morta di noia, di una “sofferenza
animalesca ed irrazionale”. È morta di “linearità”, di semplicità, anelando
a qualcosa di più complicato, di meno logico, di più spirituale.
La
seconda ragazza, una povera sartina senza lavoro, si è gettata dalla finestra con
un santino fra le mani. È morta per necessità, con umiltà, affidando la sua
anima a Dio dopo aver pregato.
Alla
fine ci sono solo due strade: il nichilismo di Nietzsche oppure la
spiritualità, la religione, il bisogno di credere nell’immortalità dell’anima. Due
sono le creature, due i tormenti, due i suicidi.
Anche
questo piccolo testo fa parte della collana dedicata ai classici russi con
testo a fronte, diretta e tradotta da Chiara Munerato.
Patrizia Poli
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