Un’assurda e inquietante allegoria del potere: "La serra" di Harold Pinter

La serra
di Harold Pinter


in Teatro, Einaudi, 2005

Traduzione italiana di Alessandra Serra

pp. 65
€ 18,00


Chi sono gli improbabili protagonisti di quest’opera di Harold Pinter? Che cos’è la serra che dà il titolo alla pièce? Non ci sono battute introduttive che chiariscono le cose al lettore-spettatore; scatta così un meccanismo classico ma sempre efficace per catturare il pubblico, costretto a seguire con attenzione i dialoghi per capire cosa sta succedendo. Pian piano scopriamo di trovarci in una sorta di istituto, una casa di riposo non meglio precisata, dove i pazienti sono indicati con un numero e non hanno la libertà di muoversi dalle loro stanze. Il personale di questa inquietante istituzione è altrettanto preoccupante: Roote, il direttore, fonda il suo ruolo di responsabile sul controllo rigoroso, sul rispetto pedissequo delle procedure, terrorizzato da qualsiasi cosa possa sconvolgere il regolare mantenimento dell’ordine; i due avvenimenti che fanno da motore alla storia, il parto di una paziente e la morte di un degente, turbano Roote proprio perché non previsti e dunque di difficile gestione non essendoci regolamenti che possano indicare come comportarsi. Accanto a lui, in questa casa di riposo-prigione, troviamo i suoi assistenti Gibbs e Lush, l’infermiera Miss Cutts e Lamb, un membro “subalterno” alle dipendenze dell’istituto.

Nonostante i suoi lavori siano per lo più drammatici e vi regni un’atmosfera opprimente, a ben guardare la scrittura di Pinter ha sempre racchiuso in sé anche uno humor sottile, talvolta grottesco ma mai gratuito. Ne La serra il registro comico è più marcato che altrove, e la scena iniziale in cui Roote e Gibbs discutono della morte di un paziente e dei rapporti sessuali avvenuti tra una degente e tutto il personale medico stabilisce subito, con le sue ripetizioni, i fraintendimenti e le insensatezze pronunciate dai personaggi, il tono assurdo della pièce. L’aggettivo “assurdo” non è casuale, visto che in quest’opera giovanile è più evidente l’influenza sulla drammaturgia pinteriana di Samuel Beckett, che i critici hanno sempre sottolineato e che lo stesso Pinter non nasconde. Anche in questa prova scritta ad inizio carriera, comunque, sono evidenti due peculiarità che distinguono l’autore inglese dal suo collega irlandese: la ferocia dei personaggi e le situazioni conflittuali. I dialoghi di Pinter sono, in tal senso, inconfondibili: il pinteresque ha anticipato di decenni quel mix di assurdità e tensione che renderà cult film come Pulp fiction o Le iene.

Nel film del 1994 di Tarantino l’esplosione di rabbia di Jules arriva dopo una lunga e amabile dissertazione sugli hamburger; ne La serra, scritto nel 1958, dopo una sequenza di chiacchiere vacue, il primo atto si chiude con una scena di incomprensibile e inquietante violenza, tipica del teatro di Pinter, in cui Lamb viene portato in una stanza insonorizzata, collegato a degli elettrodi e sottoposto ad una serie incalzante di domande personali: “Soffre di crisi depressive?”, “Le capita di fare spesso cose di cui si pente poi il giorno dopo?”, “Le donne le fanno paura?”; ogni tanto gli viene sparato nelle cuffie un suono lancinante che quasi lo tramortisce; alla fine di quella che appare una vera e propria tortura immotivata, l’ultima, essenziale, domanda: “Sente mai il desiderio di diventare il membro di un gruppo in cui vengono osservati gli stessi ideali e gli stessi principi?”. Prima che l’atto si concluda e cali il sipario su questo interrogativo e sul suo significato, il seviziato Lamb sembra già avere una risposta: egli desidera far parte di questo istituto ed è entusiasta di fare la sua parte. Ecco che allora questo personaggio, nell’ordine gerarchico della serra, si configura chiaramente (ne avevamo già avuto degli indizi nelle sue battute precedenti) come un subalterno che ha introiettato i valori della classe dominante ed ora li serve con convinzione.

Leggendo questa scena di sconvolgente potenza vengono in mente le riflessioni di Michel Foucault sulla biopolitica: il filosofo francese ha messo infatti in luce come il potere eserciti il proprio controllo assoluto pervadendo anche l’intimità degli individui, colonizzando gli spazi privati e persino quelli mentali dei singoli, producendo in tal modo disciplina e consenso.

Nella società moderna nulla sfugge più al vaglio del potere, nemmeno le relazioni: Miss Cutts è un’amante che non si limita a cercare il partner (Roote), ma vuole ardentemente soddisfarne le esigenze, corrispondere totalmente ai suoi desideri; la sua perenne insicurezza testimonia la paura di non esser all’altezza dell’altro, di non riceverne l’affetto; la relazione diventa così un rapporto di forza e si esprime, da parte dell’infermiera, in una costante ricerca di compiacere il partner. Il potere esercita il suo fascino allo stesso modo, inducendo l’oppresso a voler esser amato dall’oppressore, fino al punto di sottomettersi pur di ottenerne l’amore.

Inconsciamente, però, Miss Cutts cova la tentazione di uccidere il direttore: la subordinazione al potere, sebbene volontaria, non esaurisce completamente le forze psichiche dell’individuo, che conserva sempre un residuo di resistenza; ma finché questa opposizione non emerge, finché l’uomo non ne prende coscienza liberandosi del fascino attrattivo del potere, il carico di eversione si sfoga in direzioni sterili. Lush si ribella a Roote, ma solo a parole, e spesso preferisce lottare con Gibbs, suo pari, in quella che diventa una lotta di successione per accaparrarsi il potere del capo: l’autorità non viene messa in discussione, non si vuole abbatterla, ma solo prenderne il posto.

Per Alfred Hitchcock era fondamentale, affinché si creasse la suspense, che il pubblico fosse a conoscenza del pericolo che i protagonisti corrono: l’esempio sempre citato è quello della conversazione ad un tavolo di un bar sotto cui gli spettatori hanno visto piazzare una bomba, pronta ad esplodere. Anche in Pinter è sempre presente un senso di inquietudine, ma la forza peculiare della sua drammaturgia consiste nel generare questa palpabilissima tensione nonostante all’apparenza non vi sia alcun motivo di apprensione: come i personaggi de La serra, anche noi lettori sentiamo che sta per succedere qualcosa, ma non capiamo perché, né cosa sia. Quello di Pinter, non a torto, è stato definito teatro della minaccia: se in altre sue opere questo pericolo arriva dall’esterno rispetto alla stanza in cui si trovano i protagonisti, qui è la stanza stessa ad essere la minaccia; nonostante la retorica di unità ed armonia così bene espressa nel discorso di Natale che tiene Roote ai suoi sottoposti, l’istituto-società in cui i personaggi agiscono si fonda sulla violenza repressiva ai fini di perpetrare il proprio ordine gerarchico. Violenza subita e perpetrata da tutti, contro tutti.

Rispetto ad altri lavori pinteriani, ne La serra è più trasparente l’allegoria costruita dall’autore, che fa della casa di cura una rappresentazione della società e dei rapporti di potere che la governano; l’elemento più marcato in tal senso, e inaspettato in una drammaturgia giocata solitamente sull’ambiguità quando non sull’ermetismo, è la scelta di chiamare Lamb uno dei suoi personaggi: agnello sacrificale già nel nome, egli verrà usato dalla società ristretta dell’istituto come capro espiatorio cui addossare le colpe emendando il resto della comunità. Il potere sa fabbricare questi pharmakos, questi mostri da prima pagina ai quali addebitare tutto il male nascondendo così che è la struttura stessa e non il singolo individuo ad essere marcio. L’apparente maggiore ingenuità con cui è costruita La serra nulla toglie, comunque, al disorientamento che coglie il lettore-spettatore di fronte a dialoghi magistrali nella loro tensione e al nitore dell’analisi pinteriana.

Anche quando sembra parlare di tutt’altro, Pinter ci sta sempre mostrando i meccanismi del potere: non è un caso che l’Accademia di Svezia abbia motivato l’assegnazione del Nobel al drammaturgo inglese sostenendo che nelle sue opere egli “scopre il baratro che sta sotto le chiacchiere di tutti i giorni e spinge ad entrare nelle stanze chiuse dell'oppressione”.

Anche nel mondo de La serra la violenza, alla lunga, in un modo o nell’altro diventa incontenibile ed esplode nella sua forza selvaggia e distruttiva. Ma Pinter non si fa illusioni: il potere è cinico e sa rigenerarsi sui cadaveri della storia.