Un pomeriggio con Baricco: gli onori di casa alla Holden. Fuori piove. È un pomeriggio buio a Torino, nonostante sia marzo, nonostante il sole abbia già illuso molti sull’imminente arrivo della primavera. La Scuola Holden da un paio di anni è a Piazza Borgo Dora, nell’ex Caserma Cavalli. Dentro la luce è calda, le pareti gridano ai colori, è un tripudio di rosso, arancio e giallo, che dal cortile cupo brillano dietro ogni finestra. Quattromila metri quadrati dedicati non solo alla scrittura, ma all’arte in ogni sua forma, dal teatro al cinema, da Game of Thrones a Tolstoj. Il preside è Alessandro Baricco, ed è proprio lui che ci ha invitati per una presentazione non-presentazione del suo ultimo romanzo, La Sposa Giovane. Da bravo padrone di casa, ci accoglie con un sorriso e una proposta: visitare la scuola insieme, cercando di spiegarci un’idea e una filosofia: dalle luci regolabili in base alle esigenze di scrittura o di meditazione, ai colori forti e decisi sulle pareti, passando da una mappa concettuale, che possa dare l’idea di cosa è per lui questa scuola, questo “percorso” attraverso le contaminazioni che l’arte permette. Si divide in sei college, ovvero sei indirizzi di studio tra cui scegliere: Acting, Crossmedia, Filmmaking, Real World, Scrivere e Series. Metà del tempo gli studenti lo trascorrono a frequentare, il resto ad approfondire percorsi. “L’idea di base - spiega Baricco - è che se alla fine del tuo percorso hai seguito solo un colore di studi, una strada, hai fatto male la Holden, se ti sei fermato a cimentarti con tanti altri colori hai fatto bene”. Certo, fa un po’ impressione vedere sulla stessa direzione-linea Limonov, Il trono di spade, Harry Potter e Cuore di tenebra. “Sono solo esempi”, precisa il preside di fronte al nostro stupore. Anche le aule sono strutturate in maniera da contaminarsi: uffici, sale mense ed aule si alternano nell’edificio, in maniera da risultare, e far risaltare, spazi sempre vissuti e vivibili: “Così da chi sta andando a farsi un caffè è costretto a passare davanti a chi studia, rinnovando l’ispirazione”.
Un approccio “estetico” al romanzo, circumnavigando l’argomento. Dopo la visita guidata, si torna in una sala della scuola, dove ci ritroviamo a girare attorno al vero motivo dell’intervista, la pubblicazione del nuovo libro con Feltrinelli, La Sposa Giovane, ma con la sorpresa di non poter in realtà chiedere nulla del libro. Lo stesso Baricco scherza su questo approccio, voluto dall’editore, e così il pomeriggio diventa un surreale “chiedo-non-chiedo” che ci permette di conoscere meglio lo scrittore, di fugare alcuni pregiudizi (molti sostengono che non sia simpatico e disponibile, a noi è sembrato il contrario), di capire cosa spinge uno scrittore a cimentarsi in un nuovo lavoro e qual è il rapporto coi lettori. Si rompe il ghiaccio con una domanda sul versante “estetico” del libro, ovvero sulla scelta di una doppia copertina, una in cartoncino più classico e una in cartoncino traslucido, e Baricco confessa:
Sono diverse perché mi era già successo in passato, alla fine bisogna scegliere la copertina, non si capisce perché, poi tecnicamente parlando ne potresti scegliere anche quattro; vorresti poter scegliere una o più varianti e in questo libro abbiamo proprio fatto così; l’idea era quella di dare un alone più classico ad una, in pratica potremmo dire che c’è quella più tradizionale, versione “Mi nonna”, e quella versione “Mi figlio”, ho provato a capire se il gusto della prima era più vicina ai giovani, ma mio figlio ha sedici anni e ha scelto quella “tradizionale”, per cui...
E l’immagine cosa rappresenta?
L’immagine rappresenta proprio lei, c’ho lavorato con Tanino Liberatore, volevo trovare un’immagine di lei e abbiamo a lungo provato. Quando fai le cose divertendoti e con molta cura, lo fai per bene, anche nei particolari che gli altri non noteranno; si fa tutto per il piacere di fare un gesto fino in fondo.
Tra un brindisi e qualche domanda si prosegue a ruota libera. Parlando di presentazioni passate, Baricco commenta:
Anche io ho imparato tantissimo dei miei libri, avevo trent'anni quando ho cominciato, mi ricordo che tutto quello che mi dicevano di fare ho fatto, dal Maurizio Costanzo Show in poi... però allora non c’era questo modo di presentare i libri. Ho imparato tanto sul cosa fare o non fare.
Si passa alle recensioni dei libri, quanto contano per lui:
Certamente all’inizio le leggi diversamente; c’è un tempo anche per quello, le guardi come una cosa stranissima che ti è accaduta, un tempo in cui cominci ad odiarlo, a non capirle. Chi ha la fortuna di fare questo mestiere da tanti anni vede come cambia l’approccio, la rete è un po’ una variante che è intervenuta ad un certo punto, è un po’ come essere al circolo dei lettori.
E i lettori? Come vive il rapporto con quelli della rete e l’annullamento delle distanze, cerco di capire il suo modo di vivere questa immediatezza, e lui:
Noi siamo una generazione di scrittori che ha vissuto molto di più la vicinanza col lettore, noi li vediamo, Calvino non li vedeva. Poi facciamo le presentazioni, gli spettacoli e questo li avvicina a te fisicamente. Il fatto di leggere le righe su cosa pensano del tuo libro annulla questo mistero, non sei più così lontano in nessun modo, tutta la distanza è diminuita, ma non mi ha mai fatto effetto. Alla fine se scrivi libri tu accetti una distanza relativa con il lettore, gli racconti cose che non hai mai detto nemmeno a tua moglie. Da lì in poi, il fatto che lo vedi che ti stringe la mano e ti scrive cosa pensa diventa un fatto normale. Io superato lo shock non l’ho mai vissuto in una maniera particolare, né mi sono mai difeso, anzi, sono stato molto in pubblico. Sono nato in un ecosistema così e mi sembra naturale, mi sembrerebbe assurdo tornare a scrivere come prima, in lontananza, penso che sia parte della vita e lo vedo come una cosa positiva e sono anche contento che i miei allievi vadano a sbattere contro questo.
I libri degli altri, il teatro e il mestiere di essere uno scrittore. La domanda di un collega, che riporta le frasi di una intervista sul modo di scrivere, anche su pezzetti di carta, porta il discorso sul come si forma una storia:
Io in effetti lavoro così, su appunti sparsi e biglietti di carta, se andate di là li trovate ovunque nel mio ufficio. Non è che tutti lavorano così, ci sono colleghi che lavorano in maniera più lineare, hanno in testa la storia e vanno su quel binario.
Sul teatro e i prossimi impegni, arriva una domanda e Baricco ne approfitta per ricordare Smith e Wesson, uscito nell’ottobre dell’anno scorso e la strana percezione per cui tutti hanno parlato di un romanzo sotto forma di pièce teatrale:
In realtà è una pièce teatrale in due atti, ma molti non lo hanno percepito così. Il libro è uscito per circostanze casuali prima dello spettacolo, cosa sia non è più così importante.
Scende un momento di lieve imbarazzo e Baricco esordisce dicendo:
Capisco che sembri innaturale non parlare del romanzo, ma in realtà è naturale non parlarne. Poi il fatto di parlarne è una roba innaturale che facciamo duecento volte al giorno, alla fine quando ho dato il libro a mio figlio non è che lui avesse voglia di parlarne con me. Se ne parlano due è importante ma che io da scrittore ne parli con voi non è molto importante, a parte che tra di noi scrittori non si parla mai dei propri libri, e se succede è solo un discorso sulla parte artigianale, sul perché abbiamo scelto un finale ad esempio.
Scrivere sotto pseudonimo? “Sarebbe faticoso, non mi appartiene”. La curiosità cresce, le domande fioccano da una parte all’altro del tavolo, lo scrittore non si sottrae, si lascia “inquisire” con garbo e controllo. L’essere scrittore ha cambiato la lettura dei libri degli altri?
Se tu scrivi libri da tanti anni leggi in un modo particolare, non sei in una situazione normale. Siamo abbastanza falsati, come lettori, certo è interessante lo sguardo che abbiamo, è un’angolatura unica. Io posso dire che ci sono libri che non ho mai smesso di leggere, legati ad una sorta di idea di salvezza, e sono: Il Circolo Pickwick di Dickens, in generale Dickens, e poi un libro che in pochi amano ma che io invece trovo fantastico è la trilogia di Rebecca West, a cui mi sono avvicinato per curiosità, partendo dal secondo libro della trilogia.
Nella sua veste di scrittore-insegnante chiediamo come è cambiato il modo di scrivere oggi:
Nella mia esperienza di insegnamento ho visto molti ragazzi talentuosi che avrebbero potuto scrivere in maniera fantastica, che hanno fatto altri mestieri. La diversificazione del talento è una cosa che è cambiata negli anni, i ragazzi che sono qui (alla Holden) al secondo anno potrebbero far tutto, arrivano già con un talento che la scuola fa emergere, probabilmente per il contesto. Questa è la differenza. Nel modo di scrivere è cambiato ad esempio il ruolo del finale. Oggi c’è questa idea dell’abbandono del finale, il baricentro si è spostato nella storia. Nella lingua invece io trovo che non esista un progresso possibile, a livello stilistico ogni essere è unico e irripetibile.
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