di Eloisa Morra
Quodlibet, Macerata 2014
pp. 240
€ 20
Eloisa Morra apre la sua monografia con una domanda di Anna
Banti (a proposito di Fenoglio): «Chi ha scritto le pagine che andiamo
leggendo?» (p. 7). La stessa domanda si potrebbe porre il lettore del libro
della studiosa, Un allegro fischiettare
nelle tenebre. Ritratto di Toti Scialoja. Un volume considerabile una conditio sine qua non per tutti i futuri
studi scialojani, non solo per la mole straordinaria di testi (inediti,
sfuggiti alla critica, trascurati), ma soprattutto per il metodo di lettura (e
non di analisi) utilizzato nel trattare i materiali.
Il sottotitolo “ritratto” è la vera chiave di volta per
entrare nei meandri dell’operazione compiuta da Eloisa Morra: un ritratto
cristallizza nel tempo e nello spazio, fissando qualcosa che resta immutabile e
come lo si è colto in un determinato cronotopo.
Creare un ritratto dinamico è (quasi) impossibile: Eloisa
Morra è riuscita in questo.
Ha scommesso su qualcosa che, in apparenza, potrebbe essere
considerato fuori moda: il legame tra biografia e creatività artistica.
Ripercorrendo le tappe della vita di Toti Scialoja, la studiosa costruisce un
percorso biografico legato a doppio filo con un’artisticità a trecentosessanta
gradi. Ma ogni fase della vita non è una mera manciata di anni, consumati tra
le proprie carte, nella propria fucina di Efeso: è una fitta rete di incontri e
di letture, di recensioni, di “sentito dire”, di viaggi, di scoperte.
Eloisa Morra riesce a ricostruire questo puzzle, mettendo al
centro l’artista romano, senza togliere nulla a chi e a cosa ha interagito con
lui: l’humus diventa, nelle mani della giovanissima studiosa, uno strumento per
dipingere il ritratto di Scialoja, senza pretese di essere arrivata da qualche
parte, ma quasi con la consapevolezza di aprire tante porte, di spalancare
tanti mondi, vergini e inediti, ancora da studiare, ancora da approfondire.
Questa consapevolezza, a parere di chi scrive, porta la
Morra a costruire un libro bussola, orientato secondo una precisa architettura,
che poco presta il fianco a fraintendimenti, che non fa di Scialoja un eroe
incompreso e da rivalutare, bensì gli restituisce la statura che ha avuto tra i
coevi, che oggi va ricostruita, alla luce dell’interdisciplinarietà che lo
contraddistinto.
Scorrendo i titoli dei paragrafi è chiara la volontà della
Morra: quella di restituire metodologicamente ciò che Scialoja ha fatto
artisticamente.
Si analizzino uno per uno: forse è l’unico modo per entrare
nel mondo di Scialoja secondo Eloisa Morra.
1. L’isola delle voci.
Le prime letture. Un’isola è sola in mezzo al mare: galleggia
nell’acqua, elemento instabile, mutevole, capriccioso, ma anche motore di vita,
di refrigerio, di sollievo. Un’isola chiude segreti che sfuggono alla terra,
che rimangono sospese, che camminano in punta di piedi, a pelo d’acqua, come le
voci, che si sentono, che si frangono e si rinfrangono nell’aria. L’isola delle
voci sta alle prime letture, come le letture infantili stanno al nascondersi in
un cantuccio per scrivere versi poetici. E allo stesso tempo, la formazione di
quella vischiosità letteraria che caratterizzerà tutta la produzione
scialojana.
2. Gli anni
dell’attesa. Storia di un esordio. Come si può attendere un esordio? Si
è consapevoli che sta per sbocciare qualcosa? O si attende l’indefinito, che,
nel momento in cui esplode, diventa un prisma?
Un materiale magmatico che la Morra individua in: pregiudizi
e intuizioni, nel rapporto tra Moravia e Scialoja, nella domanda sulla mancanza
della poesia, e sull’attività di recensore dell’artista romano.
3. Paesaggi di parole.
Scherzi e prose. Attingendo dal vocabolario della pittura, un’Eloisa
Morra, padrona della materia, comincia un percorso all’insegna dell’ut pictura poësis che sfocerà nell’ultimo, magistrale, capitolo (che si
analizzerà a breve). Un lavoro che si apre con la parola «paesaggi», ma che si
nutre di musica, di giochi, di polemiche, di scaramucce ludiche, di vita
vissuta, e che, al centro, ha una crisi, quella creativa, che non chiude,
perché vissuta dall’interno, in maniera endofasica, ma che apre, e che cerca
linfa per sbocciare e splendere.
4. Motivi
e figure. Viaggio nei libri nonsense. Si può viaggiare in qualcosa che
non ha un senso? Si possono trovare cronotopi (motivi e figure) nel nonsense?
Eloisa Morra rintraccia nel labirinto vita-arte i punti di forza che fanno di
Toti Scialoja un classico col quale si debbono fare i conti, un punto di
passaggio obbligato, per chi vuole comprendere cosa significa far dialogare il
proprio vissuto con la propria fucina creativa, senza perdere se stesso, anzi,
cercando in se stesso la motivazione che spinge a fare arte. Un’arte a
trecentosessanta gradi che si confronta con istanze diverse (il disegno, il
nonsense, la perdita di un senso, la poesia), ma che dialoga anche con lettori
diversi. Toti Scialoja non ha paura di destinare le sue filastrocche a bambini
(Tre per un topo), lasciando spiragli
anche a quel mondo degli adulti che troppo facilmente tende a mettere
l’etichetta “infantile”.
Arricchendo il volume di una
nutrita bibliografia su Toti Scialoja, la Morra fornisce un itinerario
ragionato all’interno della produzione dell’artista, restituendo l’estrema
varietà del mosaico dei suoi interessi e dei suoi guizzi creativi.
Una scommessa vinta, insomma, un
rischio corso a perdifiato, ma che vale l’oro di una conquista, non solo per la
giovane studiosa, ma anche e soprattutto per la letteratura italiana del
Novecento.
Due note di merito, infine, che il
volume cela, ma non nasconde.
La prima è doverosa nei confronti
del linguaggio: la studiosa dimostra di essere in grado di saper usare e
mescidare diverse lingue e diversi linguaggi artistici, trattandoli con
eleganza e discrezione, senza lasciare che uno metta in ombra l’altro.
La seconda è l’uso delle fonti,
italiane e straniere: una legge di vischiosità individuata dalla Morra non solo
negli illustri e (quasi) ovvi referenti, ma soprattutto in quegli artisti che
corrono sottotraccia, agendo dall’interno e sbocciando nella scrittura di
Scialoja.
Una monografia da leggere, da
studiare e da usare come strumento: un libro fresco, che trasuda l’entusiasmo
della sua autrice, e la passione che la lega a doppio filo a Scialoja, all’arte
e alla poesia in generale.
Anche Eloisa, come Toti, allegra
fischietta nelle tenebre, conscia che qualcosa resterà, e qualcosa aprirà: al
grido, che spesso (conoscendola personalmente) ripete sempre, «Viva Toti!».
Ilaria Batassa
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