di Maria
Vittoria Masserotti
ilmiolibro.it,
2015
pp
190
15,00
Maria
Vittoria Masserotti è l’autrice di questo romanzo, "CasaMarina". Maria Vittoria Masserotti
era mia amica. Maria Vittoria Masserotti è morta il 12 marzo 2015.
È
sempre difficile parlare del libro di una persona che conosciamo perché l’obiettività
è inarrivabile. C’è sempre quel quid d’interesse
aggiunto, c’intriga molto vedere quanto dell’amico/amica è presente nel testo:
la sua biografia, le sue abitudini, i suoi gusti, il suo modo di esprimersi, i
luoghi che descrive. Qui c’è l’aggravante della morte, improvvisa, crudele,
recentissima. Cercherò, per quanto mi è possibile, di superare il filtro del
dolore, della familiarità, e pormi in un’ottica distaccata.
Di
M.V. Masserotti ho seguito tutto il percorso narrativo. Si era dedicata in tempi
relativamente recenti alla scrittura, ben presto il gesto di scrivere era
diventato una ragione di vita per lei. Se il suo profilo Facebook non fosse stato cancellato, potrei riportare le
sue esatte parole, con le quali più e più volte, anche in amabile contraddittorio
con me, ha espresso l’ineluttabilità del suo bisogno di comunicare attraverso
la parola scritta.
Ho
letto il suo primo romanzo, “Luce” e
le sue due raccolte di racconti, “Cose”
e “Racconti per una canzone”, ma poco
prima di morire mi disse che considerava “CasaMarina”
il libro, quello che nella vita si
scrive una volta. Purtroppo è stato il suo testamento spirituale ed ha
visto la luce solo pochi mesi prima della sua scomparsa.
La
trama ruota intorno a tre generazioni di donne: Cosima, la nonna, Clara, la
figlia e Lilly, la nipote. Il periodo storico comprende il fascismo e due
guerre mondiali, ma la Storia, anche se è motore di eventi fondamentali - come
la morte di Clara nella Resistenza e il bombardamento di Villa Marina - in
realtà resta sullo sfondo. Quello che conta, come spesso accade nella vita femminile,
è l’Amore, con la A maiuscola, inteso come l’autrice lo intendeva, cioè
romantico, estatico, assoluto, violento e trascinante a tutte le età, un amore
persino difficile da capire, perché tantrico e filosofico.
“Non capisco ma sento. Sento nell’anima che qualsiasi cosa succeda, io sono nell’eternità.”
Quest’amore
è declinato in tre figure femminili. Cosima è la protagonista assoluta, informa
di sé tutta la narrazione, è la donna forte, la governante di CasaMarina, ossia
la villa al mare di una ricca famiglia di Firenze. Cosima giganteggia dalla
prima all’ultima pagina, rimane viva nei ricordi e nei geni delle generazioni
successive. Clara è sua figlia, un po’ schiacciata nella storia fra
madre e nipote, pasionaria e ribelle, si arruola fra i partigiani e viene
uccisa. Lilly, la nipote, è il personaggio più autobiografico.
Sono tre, hanno
caratteri diversi, ma l’amore è il medesimo e, paradossalmente, è più importante
degli uomini che lo provocano. I maschi, seppure distinti e
caratterizzati, restano tuttavia sullo sfondo. È un amore declinato su tre personalità
e tre vicende, che regala vertigini di rapimento ed ebbrezza ma anche abissi di
dolore.
“Annaspo. Non so nuotare nel mare della sua
assenza. Non conosco questo dolore che si diffonde malgrado me. (…) Guardo il
mondo che non ha nessuna ragione di essere senza di lui. Ho perso i colori, la
realtà è in bianco e nero. Tutto i giunge ovattato o con una violenza inaudita.
Sono scorticata, anche il volo di una farfalla mi ferisce.”
Senza
amore “si perdono i colori”, si perde il sapore e il gusto della vita. Però si
va avanti, bene o male, la depressione viene accantonata e la realtà ha di
nuovo il sopravvento. È questo essere forti, è questo essere donna.
C’è
un’altra protagonista, forse la principale, Casa Marina. Luogo del cuore, che
verrà abbandonato solo nell’ultima pagina ma, in realtà, portato sempre con sé.
È un abbandono intriso di radici, di memoria, di passato. Casa Marina è una
villa nascosta fra i lecci di Castiglioncello, con la discesa a mare, la
scalinata che porta ai “pungenti”, cioè gli scogli locali. È teatro di vita, di
amori, di lavoro, di giochi, di passioni e tuffi fra le onde. È impregnata dell’odore
di corteccia resinosa e di salmastro, è bagnata dagli spruzzi, è lambita dalla
risacca. Vediamo cambiare in fretta, sotto i nostri occhi, i fotogrammi: abiti,
modelli di auto, personaggi. Il tempo
passa veloce ma la Casa rimane, anche dopo che è stata distrutta, perché è, come
dicevamo, un luogo dell’anima, un nucleo che tiene insieme personalità e
affetti.
Il
romanzo alterna la narrazione onnisciente ad alcuni capitoli dove la focalizzazione
si sposta all’interno, che sono anche, a mio avviso, i migliori, quelli scritti
con piglio più originale. Tuttavia il contrasto fra i due stili non stride ma,
anzi, dà profondità.
Ci
sono alcuni difetti, secondo me, nell’impianto della storia, perché certe parti
andrebbero sviluppate di più e alcuni spunti interessanti (come l’intreccio dei
rampolli di Cosima, costretta dalle convenienze a riconoscere il figlio dell’ex
marito invece che la propria bambina) sono solo accennati e poi abbandonati. Se
nella vita vera le cose accadono per caso o per accumulo, nella finzione narrativa
non possono esserci vicoli ciechi e tutto deve avere una sua ragione di esistere.
Ma
ciò che trascina e commuove non è il plot,
non è lo stile, e nemmeno la passione raccontata con toni pudichi e carichi di
riserbo, quanto, piuttosto, l’atmosfera che si respira. Nessuna scuola di
scrittura può insegnare l’atmosfera, o c’è o non c’è, o la infondi col talento,
oppure ciò che produci non ha soffio vitale. “CasaMarina” ha atmosfera da vendere: giovani donne volitive, con le
gonne e i capelli agitati dal vento di mare, auto di lusso, pentole che bollono
sul camino, bambini che giocano, trine, pizzi, scialli, lettere. Ma anche geloni,
candele, pane, bombe, camionette, partigiani.
Ed
ora, lasciatemi svestire i panni di recensore e rientrare in quelli dell’amica.
Tante volte ho rimproverato a Maria Vittoria, che gli amici chiamavano Mavie,
di indulgere troppo all’autobiografismo. Chissà se ha pensato un poco anche
alle mie parole quando ha scelto l’epigrafe: “una faccenda di carta che sto ricalcando brevi manu da chissà quale
indecoro interiore.” L’ultimo capitolo mette i brividi, non tanto per la
vicenda che racconta, quanto perché Lilly - la sessantacinquenne che decide di allontanarsi
da CasaMarina per vivere a pieno quell’amore del cuore e dei sensi negato alla
madre e alla nonna - è spaventosamente simile all’immagine di
Maria Vittoria, della sua grande sete di vita, della sua aderenza alla vita. Nel finale, Lilly sceglie di trascinarsi dietro
le sue radici e, insieme, di liberarsene, sfidando il moralismo, i vincoli
dell’età, il viluppo di chi ti vorrebbe diversa da quella che sei. È molto
triste il pensiero che quel lieto fine, quella pienezza sempre auspicata
e forse raggiunta solo a lampi e bagliori, non potrà realizzarsi mai più.
“Adesso, qui e ora, Lilly si sente di nuovo piena di possibilità, si apre
un mondo davanti a lei, sconosciuto. Non ricorda più la sua età, è senza tempo,
percepisce chiaramente solo il suo corpo poggiato con noncuranza sui sedili del
treno e sa di essere viva, sa di vibrare al suono di una musica nuova.”
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