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Sgombrate la testa, se potete, prima di
leggere questo libro, perché questo non è
un libro facile, nonostante la “mole leggera” e l’italiano semplice.
Lasciate stare i cliché sui “libri che parlano di anoressia e anoressiche”,
perché questo non è un libro che
parla di queste cose, o meglio le sfiora appena, per volare via con un volo di farfalla,
quasi impercettibile, verso territori più profondi di una "elementare" diagnosi clinica. Non preoccupatevi se righerete la carta del libro o del
vostro ebook-reader di qualche lacrima: questo non è un libro per cui non
valga la pena anche di piangere.
Alessandra Arachi, l’autrice del
celebratissimo Briciole, ritorna a 21
anni di distanza con questo Non più briciole. Lo abbiamo detto
all’inizio: è un libro importante questo, che va affrontato con una buona dose, mi si consenta la parola, di coraggio. È la storia, in primis, di una madre, Marta De Bellis che si trova
costretta ad affrontare una tragedia: sua figlia, Loredana, ragazza piena di
brio, spigliata, quasi un genio a scuola, “cade” letteralmente risucchiata nel
vortice dell’anoressia, con tutti i baratri di angoscia e disperazione che ne conseguono. La vicenda si
dipana così da questo grosso problema che prende le fattezze di una sorta di
bestia infida e sozza, che non si riesce a scacciare da casa propria.
L’anoressia viene sviscerata, anche grazie all’aiuto di molti “psicologi tipo”
(dalla scuola junghiana a quella lacaniana, dallo psicologo troppo comprensivo a quello freddo come un inquisitore) che vengono contattati dai genitori di
Loredana per tentare di salvare la figlia.
Lo si legge con un groppo di
considerevoli dimensioni in gola questo libro, perché è secco e tagliente, un
libro “duro”, dato che non si vuole indorare la pillola. Ma se da un lato non
si tace su cosa voglia dire avere a che fare con una ragazza che passa
dall'essere “florida e sana di bellezza” ad avere “i denti traballanti, i capelli di stoppa e le
scapole visibili ad occhio nudo, che quasi vogliono scappare dalla schiena”,
dall’altro non si vuole minimamente (grande pregio della Arachi, del “suo lieve
tocco”, molto più particolare di certe ricerche fine a se stesse) indulgere ad
effetti ed effettacci, magari andando ad insistere sui risvolti più ributtanti
della questione.
Questo, utilizzando ancora una volta il
metodo della descrizione “a togliere”, non è certamente un libro “pulp”. Non lo
è per un motivo molto semplice, eppure in una certa misura, quasi spaventoso:
non si può aggiungere altro dolore ad una malattia, l’anoressia appunto,
talmente squassante e totalizzante.
Il lettore segue quindi le vicende della
famiglia De Bellis che con fatiche immani, resistendo agli strali della sorte, sembra quasi sul punto di crollare, di finire per parcellizzarsi sempre
più nel proprio “dolore individuale”. Ma, essendo questo un libro anche sulla famiglia, i De Bellis si
ritrovano e insieme, almeno apparentemente, riescono ad uscire da questa
situazione.
La verità non sarà così rosea, eppure
non è questo quello che conta. La cosa importante è che Non più briciole sia una
specie di libro denuncia, denuncia che parte in sordina per detonare verso il
finale della storia, sulla cronica “colpevolizzazione” delle madri, da parte di
psicologi e psicoterapeuti, rese le principali “imputate” di tutti i disturbi
particolari che capitano ai loro figli.
Alessandra Arachi, raccontandoci la
storia di Marta, madre certamente “non perfetta” (e forse per questo tremendamente vera), è come se volesse
dirci che sarebbe bello, tristemente bello, se tutta le colpe potessero essere
addossate alle madri. Purtroppo non è così perché nessuno sa ancora “come si fa
a curare l’anoressia”. Non c’è una cura, nel senso di cura generale di questa
“malattia vile”. C’è la cura giusta per Loredana, per Viola, per Clio o per
Susanna. C’è insomma la cura particolare per tutti, ma va ricercata con calma e
pazienza, con estrema calma e pazienza.
Nel libro si può leggere pressappoco
così: “ogni malattia ha il suo giusto medico”. L’importante è trovarlo quel
medico, dice fra sé e sé mamma Marta. E chissà che anche noi, leggendo questo
libro importante (lo voglio ripetere), non capiremo quanto “anche le briciole”,
le cose piccole, le minuzie insomma contino nella vita e come sia troppo semplice
rifugiarci dietro le grandi certezze senza se e senza ma e i colpevoli
“usa&getta” che la società, e talvolta la comunità scientifica, ci offrono
come estremamente facili e riduttivi capri espiatori.
Talvolta, come in qualche libro giallo di
grande pregio, è il colpevole quello a mancare, non il delitto.
Mattia
Nesto
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