di Marco Peano
Minimum Fax (Nichel) 2015
pp. 252
€ 14
Dopo la morte della madre Mattia si sente «il primo e ultimo orfano della storia dell’umanità». Perché il dolore è un fatto privato che, quando arriva, non vuole essere condiviso con nessuno. E la perdita della propria madre è un dolore che non si spiega.
L’invenzione della madre, il romanzo d’esordio di Marco Peano, è il susseguirsi di scene di un film che non si riesce a vedere, in cui coprirsi gli occhi e aspettare siano passate.
Madre-letto, madre-braccio, madre-occhio. Mattia, ventisei anni, commesso di una videoteca di provincia, scandaglia la lunga malattia della madre, iniziata con un tumore al seno che si è espanso fino al cervello.
Da quando la situazione è peggiorata la vita di Mattia e del padre è cambiata in funzione delle esigenze della donna. Si dice di là per indicare la stanza di casa adibita alla sua degenza. La malattia porta con sé un nuovo vocabolario che impedisce di chiamare le cose con il loro nome: Mattia e il padre sanno che quello è il luogo in cui, una volta dimessa dall’ospedale, trascorrerà il tempo rimastole. Julian Barnes in Livelli di vita, il memoir scritto dopo la morte della moglie, trova inappropriato l’uso del termine 'spegnersi' per riferirsi alla morte: «come un abat-jour? come una radio»? si domanda. Allo stesso modo Mattia annota le espressioni di circostanza che si utilizzano in caso di malattia, a partire dal divieto di pronunciare la parola ‘cancro’, ma anche i termini scientifici, le etimologie, il linguaggio ambiguo dei medici.
Mattia sa che lei non ce la farà questa volta. Decide, dunque, di non lasciare niente indietro. Quello che accade alla madre trova senso nei ricordi e nei gesti un tempo insignificanti, che ora acquistano un nuovo valore. La donna prende forma agli occhi di Mattia che inventa per sé la figura di sua madre.
Dopo la morte della madre Roland Barthes le dedica ogni giorno un frammento, Dove lei non è (Einaudi) è la cronologia della sofferenza di un figlio che non riesce a superare il lutto.
Anche le suggestioni di Mattia sono libere e spontanee. Mette in atto un continuo gioco di rimandi e associazioni il cui scopo è fissare per sempre la memoria di lei. Un bicchiere d’acqua fresca in estate lo riporterà a quella volta in cui preparò qualcosa da bere per la mamma e un’amica. I momenti della malattia si trasformano in istantanee da conservare con cura. Una pera è il frutto che la madre desiderò improvvisamente mangiare e a cui riuscì a dare solo un morso quasi inesistente. Un cd qualsiasi è, invece, la musica di Aznavour che le piaceva tanto. Quando il gatto di casa sta male, il suo dolore diventa quello della madre: «in ogni angolo delle sue giornate, il figlio scopre la madre-gatto pronta a fargli un agguato».
Mattia intraprende un percorso faticoso per riuscire a collocare la morte di sua madre in una sfera accettabile. Ancora una volta torna in mente Roland Barthes, quello della La camera chiara, un saggio sulla fotografia ma, in realtà, un omaggio alla figura materna che doveva anticipare il romanzo mai scritto, la Vita Nova: è dall’esperienza dalla mancanza e dall' «impotenza di dire ciò che è evidente» che la letteratura ha vita.
Martina Pagano
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