Giunti, 2015
pp. 240
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La tempesta perfetta si verifica quando tutte le dimensioni
di una crisi si influenzano e si aggravano a vicenda. La storia di Bibi è
l’esempio di una tempesta perfetta.
Una storia vera, o meglio, più vera del vero, perché
guardata dall’innocenza e dalla mancanza di filtri di una bambina.
Un viaggio che inizia dalla fine, dalla morte, e alla morte
spesso ritorna, nella memoria, nei distacchi, negli abbandoni: una morte che
aleggia sempre, pronta ad afferrare l’infanzia e la vita di Bibi, la quale
diventa strumento per sconfiggere la signora con la falce, ma anche simbolo
eterno di una piaga storica e politica, che ha sconvolto un paese, il Ruanda,
senza guardare in faccia nessuno.
Christiana Ruggeri si fa da parte, si mette dietro le
quinte, rinuncia al ruolo di cronista di una storia drammaticamente vera,
drammaticamente reale, fatta di ossimori, di paradossi, di crudeltà, ma anche
di umanità.
Il bene e il male si guardano allo specchio, ognuno con i
propri rappresentanti.
Bibi ha visto morire la famiglia, si ritrova sola, nel limbo
tra l’aldiquà e l’aldilà, e viene salvata dal suo vicino di casa, Joseph. Da
questo salvataggio, che poco ha del miracoloso, quanto, piuttosto, del
coraggioso e dell’umanità gratuita, comincia una catena di volti che appaiono e
scompaiono, lasciando non nel già straziato corpo di Bibi segni indelebili, ma
ridonandole, passo dopo passo, frammenti di un’anima che non sarà più come
prima, ma che può rimettere insieme i cocci della tragedia.
Bibi racconta la vita attraverso la morte, da grande, seduta
in un bar, con un’estranea, che, con il tatto raro di pochissimi giornaliste,
declina ogni responsabilità autoriale, lasciando il giusto spazio, il giusto
tempo a una storia che non ha bisogno di filtri.
Ognuno dovrebbe leggere Dall’inferno si ritorna per
comprendere il dolore cieco e irrazionale, immotivato e illogico, sbandierato
in nome di un’ideologia che fa acqua da tutte le parti; ma, al contempo, ognuno
dovrebbe leggere Dall’inferno si ritorna, perché dall’inferno si ritorna, attraverso
incontri, attraverso mani tesi, attraverso la gratuità mai scontata, mai
semplice, ma sempre in bilico tra l’ambiguità e l’abbandono fiducioso.
Un viaggio nella memoria di una bambina racchiusa nella
testa di una ragazza, studentessa di Medicina a Roma, adottata da una famiglia
italiana; un viaggio nitido e scolpito attraverso ricordi indelebili, che, pur
nella loro crudeltà, nel loro strazio, nel loro cinismo, devono essere
quotidianamente alimentati per costruire pagine di futuro pulsante.
Christiana Ruggeri non regala speranze, o illusioni, ma
lascia voce a chi una voce non l’ha potuta avere: non una cronaca, ma un dono,
fatto a una ragazza che ha bisogno di tornare a dire “io”.
Nessun lieto fine, nessuna promessa, nessun sogno: soltanto
la realtà della Storia, della cieca barbarie umana, di un’illogica strage che dimentica
Dio, che dimentica gli uomini, le donne, le anziane, i bambini.
Intorno a questa tragedia umana, passano ombre di tragedie
di dimensioni familiari, di persone non direttamente coinvolte, ma spettatori
ciechi e muti di un’ombra che ha colpito il Ruanda, e l’ha risucchiata tra le
tenebre.
Una tempesta perfetta sorvegliata dall’umiltà e dalla
discrezione magistrali di Christiana Ruggeri, la quale non mira a effetti a
sorpresa, a virtuosismi letterari, a giochi retorici, ma, scevra di ogni
orpello, di ogni ornamento inutile, decide di restituire alla realtà una
consistenza nuova, inaspettata, perché crudelmente vera.
Un linguaggio a tratti confuso, ma comprensibile perché specchio
delle anime; una sintassi secca, scarna, ma estremamente reale (si badi, non
realistica).
Ma soprattutto, un libro che non è letteratura, non è
giornalismo, non è reportage: è semplicemente realtà vissuta, raccontata dalla
pelle, dalla memoria, dal cuore a un’alterità estranea, ma, forse, disposta ad
ascoltare, a essere testimone muto, mero strumento per far gridare con
delicatezza una voce troppo a lungo rimasta strozzata nelle viscere di un
inferno.
Un volume da tenere sul comodino, da leggere anche in
maniera frammentaria, per rendersi conto che l’inferno è dietro ogni angolo,
che può aprire le sue voragini da un momento all’altro, ma anche per ricordarsi
che in mezzo alla fuliggine, alle fiamme, alle lacrime, alla polvere, vi sono
diamanti che non smettono di brillare di luce propria.
Ma
soprattutto che, camminando in mezzo all’inferno, guardandolo, vivendolo, si
può ritornare: in posti inaspettati, sconosciuti, nuovi, ma pur sempre in
luoghi, che rimangono attaccati alla patria, mediante la memoria.
Ilaria Batassa
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