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Alessandra Arachi
Anoressia
Editore Longanesi
intervista
Mattia Nesto
Il Salotto | Intervista ad Alessandra Arachi
Dopo la lettura di Non più briciole (Longanesi, 2015) e la recensione (clicca qui), Mattia Nesto ha rivolto dieci domande ad Alessandra Arachi per parlare del nuovo romanzo e delle tematiche forti che l'autrice tratta con grande senso della misura e schiettezza d'intenti.
1. “Non più briciole” ovvero la vita va vissuta tutta intera, non ci si può accontentare o addirittura imporsi che “bastino” solo le briciole. Il suo libro è anche un inno alla vita “tutta intera”?
Mi piace l’idea che questo libro sia un inno alla vita. Che va vissuta tutta intera, certamente. Ma il titolo di questo libro ha anche un significato “politico”: smettiamola di usare i vezzeggiativi per questa malattia chiamata anoressia, perché è una malattia importante.
2. Marta, la madre e Loredana, la figlia. Più Marta che Loredana mi viene da dire è la protagonista o comunque la mia impressione è quella, per questo libro, di una specie “di dialogo interrotto e poi ripreso, dopo un giro immenso e doloroso” tra una madre è una figlia. È così?
Marta, la mamma, è certamente lei la protagonista di questo libro. Una mamma normale, non certo perfetta, con i suoi difetti e le sue frustrazioni. Ma piena d’amore. Non è facile avere un dialogo con una figlia adolescente, praticamente impossibile se questa figlia ha una malattia come l’anoressia. Ma la risposta alla domanda è senza dubbio: sì. Il dialogo tra Marta e Loredana viene ripreso propri dopo un immenso giro doloroso. Ma quando riparte è un dialogo talmente profondo che, a questo punto, è destinato a non interrompersi mai più.
3. Che ruolo giocano gli uomini nell’economia della narrazione. Apparentemente sembrano figure un po’ sfumate, sullo sfondo e dannatamente elementari. Però forse possono anche raffigurare dei punti fermi in un universo cangiante e magmatico come quello delle “sue” donne. Che “uomini” sono gli uomini di “Non più briciole”?
Sono una donna e inevitabilmente mi viene da rispondere che tutti gli uomini sono “dannatamente elementari”. Anche in “Non più briciole” è una donna che racconta gli uomini che attraversano il romanzo ed è inevitabile che il suo punto di vista ne influenzi la descrizione. Però, anche qui, Marta dopo un giro immenso e doloroso finirà per apprezzare quella semplicità maschile, come un dono prezioso.
4. Quanto è grave, anche dal punto di vista statistico, la patologia dell’anoressia nella popolazione italiana? E quanto in realtà sia “poco considerata” sui media e nelle discussioni comuni?
Dal punto di vista statistico l’anoressia incide sulla media della popolazione con meno dell’1%, si arriva all’1,5% quando si parla di bulimia. Ma la cosa grave è che l’anoressia è la malattia mentale con il più alto tasso di mortalità fra i disturbi psichiatrici. Di anoressia si parla tanto, mi verrebbe dire troppo, visto che spesso se me parla a sproposito.
5. Scrivendo questo libro è riuscita a capirci qualcosa di più intorno a “quest’enigma”?
Io ho capito tanto in questi ventun’anni di racconti e di esperienze, da quando cioè è uscito il mio libro Briciole. All’inizio mi cercavano molte ragazze malate, poi sono arrivate le mamme, tante e meravigliose. Doppiamente disperate, perché avevano una figlia malata e perché di questa malattia venivano colpevolizzate in prima persona. Da loro ho capito tanto. Il resto deve capirlo la scienza: è relativamente da poco che vengono fatti studi genetici ed indagini organiche e le risorse per la ricerca sono davvero poche. Briciole, si può dire.
6. In certi tratti del libro pare “prendersela” con una certa scuola medica che vede nelle madri “sempre e comunque le colpevoli”. Per quale motivo secondo lei?
Marta non pare prendersela. Marta si arrabbia proprio con chi non solo parla di colpevolezza delle madri, ma arriva addirittura a definirle “madri-drago”, “madri-coccodrillo”, quando non addirittura “madri pattumiere” o piacevolezze del genere.
7. A più di vent’anni è tornata a raccontare “le briciole”. Come mai? Che non ci sia una vena leggermente da “Pollicino” in lei, alla ricerca dei “piccoli pezzettini di mollica perduti lungo la strada”?
Non pensavo proprio di tornare a scrivere di anoressia. In tutti questi anni mi sono volutamente disinteressata dell’argomento. Poi c’è stato uno scambio di chiacchiere e di mail con il direttore editoriale della Longanesi che mi hanno fatto riflettere. E come Pollicino sono effettivamente andata a raccogliere i pezzettini che mi ero persa lungo la strada in questi anni, scoprendo che molte erano briciole “avvelenate”.
8. È cambiato qualcosa, in vent’anni, nelle tipologie di anoressia o, fondamentalmente, è sempre la stessa “bestia grama”?
La malattia in questi anni non è mutata di una virgola. È invece cambiata l’età in cui ci si ammala di anoressia. O, meglio, si è esteso il range: ora si parte dalle elementari ma si arriva anche ai cinquant’anni.
9. Questo è un libro per certi aspetti molto duro e pesante, perché non si tace su nessun aspetto della malattia, ma per certi altri aspetti anche morbido e leggero, perché non ci si incaponisce su effetti ed effettacci. Per renderlo tale ha fatto un particolare lavoro di cesellatura linguistica, mi riferisco in larga misura per rendere in modo più fedele possibile “gli stati alterati che provoca l’anoressia”?
Conosco bene l’anoressia, l’ho vissuta quando ero più giovane. La scrittura lieve e incisiva è la mia cifra naturale di scrittura, nessuna cesellatura.
10. "Non più briciole" a me è parso un dramma e al contempo un canto di speranza. Perché il dialogo tra la madre e la figlia, seppur sotterraneo ed interrotto, non è mai stato reciso: insomma finché che c'è dialogo, almeno "in potenza", c'è speranza?
Uno degli obiettivi di questo libro è proprio questo: divulgare speranza. L’altro, ovviamente, è quello di sgravare le mamme da quegli inutili (e soprattutto falsi) sensi di colpa che le vogliono responsabili della malattia della figlia. Se riuscissi a raggiungere questi due obiettivi mi riterrei davvero molto soddisfatta. Anche molto molto di più.
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a cura di Mattia Nesto
Riproduzione delle foto autorizzata dall'autrice
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