Ricette umorali – Il bis
di Isabella Pedicini
Fazi, 2015
pp. 150
€ 14
Isabella Pedicini scrive
in punta di penna, animata da una autentica e genuina passione per l’umorismo
(sempre elegante e mai triviale) e i giochi di parole, che “fanno scendere in campo” (altra frase
fondamentale da tenere bene a mente, qualora ve ne sia ancora bisogno)
filosofia, letteratura (tanta letteratura), cinema e storia dell’arte. Perché l’agone
qui è sì la cucina e il desco in genere, ma declinato in tutte le possibili
sfaccettature. Le ricette proposte infatti spaziano da quelle semplici a quelle
meno semplici, come del resto sono le situazioni della vita.
Perché di vita “pulsante e palpabile” (non trovo
aggettivi migliori da usare, vedendo l’argomento trattato) che qui si disquisisce.
Infatti per ogni ricetta, oltre che una forma geometrica (scelta con indubbio
gusto e una piccola dose di mistero), viene associato anche uno stato d’animo
ed un episodio, più o meno importante, della vita dell’autrice (non si sa, fino
a che punto, romanzata o meno).
È un libro leggero come
una buona ricetta mediterranea cucinata dalle sapienti mani di una madre di
famiglia, ma non frivola, anzi, emana un senso di profonda riflessione su una
tematica, il cibo e la convivialità,
che troppo spesso, a meno che non si parli di Grecia o Roma antica, viene
derubricato con tanto di spallucce per abbracciare lo show-cooking che va tanto di moda.
La “mutazione antropologica”
che Pedicini coglie è quella che ha reso gli individui della Penisola atavica
schiavi di bizzarre abitudini, alla cui sommità si erge, quasi sorta di idolo
selvaggio, l’apericena.
In questa specie di Tramonto della società occidentale visto
dai fornelli, l’apericena è un brusco cambio di rotta, rispetto alle tradizioni
nostrane. Infatti costringe i commensali del Centro e Sud Italia a cenare, de facto, alle ore 19.30,
rinnegando la mediterraneità che non fa mai sedere a tavola per la cena prima
delle ore 20.30 passate (fuso o non fuso franchista).
E invece no! Potenza delle mode ecco che da Roma a Palermo interi nugoli
di mediterranei si siedono, o cercano di sedersi, su traballanti catafalchi
(leggasi sgabelli) tentando di afferrare il maggior numero possibile di
pizzette (dal volto stantio e arcaico), agguantare noccioline (sempre tristi e
unte) e di non far rovesciare l’immancabile spritz (lo scrivo con la lettera
minuscolo in quanto ormai è diventato, per antonomasia, sinonimo di aperitivo,
anzi ape alla milanese) sul vestito
della vicina. E dire che, per stessa ammissione di Pedicini, per aperitivo nel Sud Italia si intendeva
quella chiccosissima usanza per la quale, prima del fatidico pranzo, ci si
ritrovava in piazza per sorseggiare un calice di vino bianco sparlando
allegramente dei passanti e degli alti papaveri del Paese (Sedotta e Abbandonata e Divorzio
all’italiana dominano in questo senso).
Ma, come avevo sostenuto
in precedenza, è un libro profondo questo e lo si capisce bene verso il fondo
quando la scrittrice si lancia in una tesi ricolma di orgoglio meridionale
(tale da far disperare per il fatto che Peppino Garibaldi fosse nativo di
Nizza, invece che di una più esotica Locri, Ischia o Termoli):
Il fenomeno del ritorno alle pietanze semplici e poco elaborate, la riscoperta di frutta, verdura, erbe spontanee in antitesi all’impero dei Big Mac, costituisce un tema su cui, in cucina, si intavolano grandi propositi e discussioni. E nessuno poi sparecchia. Tuttavia questa nuova recente attitudine green della città non racconta nulla di nuovo alle zone rurali, soprattutto a quelle del meridione, che non hanno mai interrotto la loro frugale fedeltà all’olio d’oliva, al vino e al grano. Fanno sorridere i decaloghi scritti da blogger coi baffi e gli occhiali doppi a proposito del mangiar sano se confrontati con i deschi del sud Italia, refrattari all’incantamento del cibo precotto. La stessa filiera corta, il chilometro zero, il genuino clandestino, l’orto sociale e co. , costituiscono attività nobilissime, ma non aggiungono niente alla gastronomia delle persone che abitano i territori di campagna. Anche per questa ragione le religioni monoteistiche del veganesimo e del crudismo hanno difficoltà ad attecchire in questi territori che preservano, tenacemente, un’idea arcadico del rapporto uomo –natura.
Ecco qui, espresso in poche righe, il cuore messo a nudo della scrittrice di
Benevento. E ora torniamo tutti quanti ai nostri blog di cucina, alle ricette
che mai metteremo in pratica (e soprattutto nel forno) ed ai nostri dannati
cupcake. Ma prima sorseggiamo un po’ del giallo-antico-zafferano-di-una-volta,
il liquore Strega. È ancora presto per pensare alla letteratura, godiamoci un
buon liquore in compagnia. Prosit!
Mattia Nesto
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