Io mi ricordo
di Paola Capriolo
di Paola Capriolo
Giunti 2015
pp. 272
13.60 euro
Mi
ricordo: un titolo significativo perché nell’ultimo romanzo di Paola Capriolo,
scrittrice e traduttrice, tutto ruota intorno alla memoria.
Adela e Sonja sono madre e figlia, si rincorrono tra le pagine che si divididono tra il doloroso passato ai tempi del Nazismo e il presente non meno difficile perché ancora in cerca di risposte.
Adela e Sonja sono madre e figlia, si rincorrono tra le pagine che si divididono tra il doloroso passato ai tempi del Nazismo e il presente non meno difficile perché ancora in cerca di risposte.
Partendo proprio dal libro. Critica Letteraria ha dialogato con
l’autrice per chiederle se oggi ideali e speranza siano ancora possibili.
1. Ha
scritto un romanzo in cui i personaggi femminili, Adela e Sonja, sono molto
caratterizzati e al tempo stesso il contesto storico gioca un ruolo importante
nella narrazione. Quali sono state le sue ispirazioni durante la stesura di Mi
ricordo?
Nonostante
l’importanza del contesto storico, l’ispirazione è stata in primo luogo
interiore, esistenziale; più che la Storia in senso stretto, mi interessava
esplorare le ripercussioni di una tragedia storica così immane nella
quotidianità e nel destino di queste due donne. C’è molto “vissuto” in Mi ricordo, forse più che in tutti i
miei libri precedenti; ma c’è anche un catalizzatore molto potente, la famosa
frase di Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”, attorno alla quale tutta
questa materia storica, psicologica, in parte persino autobiografica, si è
andata pian piano componendo in una sorta di disegno, di figura. Così è nato il
romanzo.
2. Le due
protagoniste hanno avuto un rapporto non semplice. Adela è sempre stata
distaccata nei confronti della figlia Sonja per ragioni che si scoprono a poco
a poco nella lettura. Le loro strade si sono divise troppo presto, ma c’è
qualcosa che continua a legarle malgrado tutto?
Certo: la
memoria e la compassione. Sono questi, in fondo, nel loro intreccio
indissolubile, i temi centrali del libro. I destini delle due protagoniste sono
così strettamente legati che Sonja, quanto più viene a conoscere la vicenda di
Adela, tanto più riesce a conoscere se stessa; perché il presente affonda le
sue radici nel passato e l’identità personale, quando è autentica, non può non
basarsi anche sulla memoria, sul rapporto tra le generazioni.
3. La figura
del Maestro è misteriosa e affascinante. Come lo ha immaginato? Mi chiedo se il
personaggio e il suo carteggio con Adela nasconda un riferimento a qualche nome
conosciuto.
Ho
pensato ad alcuni grandi intellettuali dell’epoca che, in un modo che oggi ci
appare quasi inspiegabile, hanno manifestato simpatia per il nazismo o si sono
in qualche misura compromessi con quel regime; ma non avevo in mente una figura
precisa. Il Maestro è un personaggio lasciato volutamente nel vago, non
sappiamo neppure se sia davvero un grande poeta o se (come mi pare più
probabile) appaia semplicemente tale alla sua ingenua ammiratrice. Certo non
c’è grandezza nel suo comportamento, al contrario, c’è una profonda viltà, una
mediocrità morale che sembra incompatibile con il vero genio poetico.
4. Lei è una
studiosa di letteratura tedesca, il suo romanzo è ambientato in un contesto
molto significativo in un cui, proprio a livello letterario, l’adesione
all’istituzione si scontrava con una forte opposizione. Dopo i fatti nazisti in
che modo gli scrittori tedeschi si sono serviti della parola per cercare di
comprendere quello che fosse accaduto?
Mi viene
in mente soprattutto la cosiddetta “letteratura delle macerie” dei primi anni
del dopoguerra, rappresentata tra gli altri da Heinrich Böll: era davvero uno
scavo impietoso, condotto con grande rigore etico, tra le macerie non tanto
reali, quanto morali e psicologiche, che il nazismo aveva lasciato dietro di
sé. Ma è un tema che, in forme diverse, percorre tutta la letteratura tedesca
del secondo Novecento, almeno fino alla caduta del Muro.
5. Recentemente
Erri de Luca, durante il processo in corso, ha reagito alle accuse dichiarando
che il potere, qualunque esso sia, vada combattuto attraverso « la potenza
della parola». La realtà di oggi è piena di messaggi politici alterati e
violenti, forse la parola non salverà il mondo, ma può renderlo un posto
migliore?
Io credo
che la parola sia, innanzitutto, la forma principale del nostro interagire con
il mondo: tutto avviene attraverso la parola, grazie alla parola o per colpa
della parola. Di qui il suo immenso carico di responsabilità. Quando la parola
è arte, però, più che di“migliorare” il mondo credo che dovrebbe proporsi di
illuminarlo, di renderlo trasparente. E’ quello che hanno sempre fatto i grandi
romanzi.
Paola
Capriolo è nata a Milano nel 1962. Ha esordito come narratrice nel 1988 con la
raccolta di racconti La grande Eulalia (Feltrinelli). Hanno fatto seguito i
romanzi Il nocchiero (Feltrinelli 1989), Il doppio regno (Bompiani 1991), Vissi
d’amore (Bompiani 1992), Una di loro (Bompiani 2001), Qualcosa nella notte
(Mondadori 2003), Una luce nerissima (Mondadori 2005), Il pianista muto
(Bompiani 2009), Caino (Bompiani 2012).
Saggista, autrice di libri per ragazzi, collabora, inoltre, con le pagine culturali del Corriere della sera. Come traduttrice di letteratura tedesca si è occupata delle opere di Goethe, Kafka, Kleist e Thomas Mann.
I suoi libri hanno vinto numerosi premi letterari e sono tradotti in molti paesi stranieri.
Saggista, autrice di libri per ragazzi, collabora, inoltre, con le pagine culturali del Corriere della sera. Come traduttrice di letteratura tedesca si è occupata delle opere di Goethe, Kafka, Kleist e Thomas Mann.
I suoi libri hanno vinto numerosi premi letterari e sono tradotti in molti paesi stranieri.
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