Il Salotto | Intervista a Lavinia Petti

Foto di ©Stefano Granato
 Non semper somnia fallacia sunt, 
ovvero dialogo libero su Napoli, la letteratura 
e tutti gli sbagli di giovinezza

Abbiamo intervistato Lavinia Petti, giovane autrice napoletana del fortunato Il ladro di nebbia edito da Longanesi. Il ladro di nebbia è un romanzo molto atipico, almeno per quanto concerne le coordinate italiane, dato che si articola come una sorta di storia fantasy in salsa napoletana, dove non c'è un confine netto e preciso tra ciò "che si sogna, ciò che si ricorda, ciò che si vive e ciò che sui scrive". Uno splendido esercizio meta-letterario se si vuole ma condotto attraverso un approccio il quanto più diretto e fruibile per tutti. Lavinia Petti, come Il suo ladro di nebbia, non appare il classico profilo da scrittore poseur ma appare una giovane donna curiosa di scoprire il mondo ed anche se stessa. 

La prima cosa che si scorge nel tuo romanzo è la voglia, anzi l’esigenza, di ridonare a Napoli una patina di magia che, complice la cronaca, troppo spesso negli ultimi tempi pare aver perso. È così oppure hai semplicemente usato “una Napoli ideale, scaturita dai tuoi sogni”?

C’è una cosa che mi preme particolarmente specificare quando parlo di questo romanzo: l’ho scritto a diciassette anni. Non lo dico perché mi si perdonino gli errori, ma per sottolineare quante realtà diverse si addensano al suo interno e quante dinamiche sgambettano dietro ogni passaggio. Al principio ho descritto Napoli nel modo che ritenevo più semplice, quello che mi risultava più familiare: fantasticando. Dopo dieci anni ho dato un senso a tutto ciò e adesso so esattamente quello che voglio: questa città ha bisogno di ricordare quali sono i suoi sogni, dove si nascondono, perché stanno dormendo, e di scoprire come e quando si risveglieranno. Il ladro di nebbia, da questo punto di vista, è solo l’inizio.


Foto di ©Stefano Granato
Antonio M. Fonte ricalca qualche personaggio/scrittore reale, è una sorta di assemblage di diversi “profili” letterari oppure, anche qui, è pura creazione?

Io lo ritengo pura creazione, ma non ho dubbi che anche inconsciamente qualcosa o qualcuno mi abbia condizionata. Nutro una irrefrenabile passione per Neil Gaiman e forse descrivendo Antonio M. Fonte un po’ mi sono rifatta a lui. A ogni modo, la maggior parte delle caratteristiche che appartengono al mio personaggio appartengono (o forse è meglio dire che appartenevamo) anche a me. In lui sono semplicemente esasperate, rimane pur sempre un personaggio letterario.

L’immaginario in questo Il ladro di nebbie sembra degno di un videogioco oppure di qualche avventura fantasy”. Frasi del genere si sono lette spesso e volentieri sul tuo romanzo, tanto da essere definito “il primo frutto della Harry Potter generation”. Fatte salve queste definizioni sembra che, almeno a mio parere, questo romanzo sia frutto di un continuo rimescolamento di storie che hai ascoltato e letto da piccola, hai approfondito da ragazza e non ti sei lasciata alle spalle ora. Insomma mi sembra una sorta di “biografia fantastica dell’animo di Lavinia Petti oggi”.

 Io definisco Il ladro di nebbia una fiaba per adulti, e mentre lo scrivevo mi sono accorta di rimescolare ingredienti classici per una ricetta che sentissi mia. È quello che fanno gli scrittori dai tempi di Omero, no? Alcune storie fanno più rumore, altre sono più silenziose. E questa è una storia che parla di storie, raccontata, in fondo, da chi le storie le scrive: quindi sì, è una biografia fantastica, carica di riferimenti letterari che non ho mai voluto nascondere. Sono consapevole che cercando la mia strada e la mia voce a tratti ho ricalcato le orme e trascritto gli echi di chi ammiro o a lungo ho ammirato. È un processo naturale quando sei alla tua prima esperienza. Prima di segnare un cammino i tuoi passi tendono a ricalcare le tracce di chi è già passato da quelle parti, specialmente se quelle impronte ti stanno comode o sono della tua misura. 

Hai scelto di usare un linguaggio colloquiale, piano. Non temi che questa scelta stilistica ti possa precludere, diciamo così, l’accesso al “gotha culturale delle lettere italiane”?

Ho infinite ragioni per provare ansie e paure in un momento simile (e le provo davvero tutte!), ma questa è l’ultima... anzi, direi che grazie al cielo è del tutto assente. Scrivo per la gioia di raccontare storie, per divertirmi e per divertire, per dimenticare la realtà e per farla dimenticare, non per il bisogno di appartenere a una élite. Non mi sento una scrittrice, ma una narrastorie.

  
Nel libro si possono scorgere, più o meno velati, molti riferimenti alle cose che ti piacciono, dall’arte all’avventura. Ci potresti dire almeno un paio di “passioni nascoste” che hai disseminato lungo i capitoli?

Sono una collezionista maniacale, ho serie difficoltà a buttare oggetti e ricordi. Tra le mie manie c’è quella di raccogliere orologi rotti.

Foto di ©Stefano Granato
Pensi che la tua storia, magari sulla scia della trasposizione cinematografica de Lu cunto de li cunti operata da Matteo Garrone, possa trovare una sua possibile destinazione anche, per esempio, in una serie televisiva o in un uno stesso film?

Quale scrittore non lo vorrebbe? Una delle mie passioni è il cinema, quindi questo sarebbe un sogno. So che il mio romanzo non è esattamente semplice da trasporre, che insomma non è un prodotto da low budget, per questo sono così minuziosa nelle descrizioni: è un invito a seguire le linee dell'immaginazione, a vederle con l’occhio della mente.

Che cosa c’è di profondamente napoletano in questo libro?

Il nonsense di cui è impregnata questa città. È facile immaginare cose che non esistono o esistono solo a metà quando nasci e cresci quaggiù.

In fondo al volume edito da Longanesi rispondi al famoso “Questionario di Proust”. Mi permetto di chiederti una spiegazione su una sola risposta. Alla domanda “Il mio eroe letterario” tu rispondi “Long John Silver de L’Isola del Tesoro di Stevenson”. Come mai proprio lui?

Amo il mare e il suo odore, i villaggi di pescatori, le avventure dei pirati. So che prima o poi scriverò una storia per loro. Long John è un personaggio inaspettato, pieno di sfumature, il cattivo a cui vuoi bene, perché in fondo vive inseguendo un unico principio: la libertà. Stevenson era fiero di averlo creato, questo è chiaro. Ma il mio Long John Silver, più che dello scrittore scozzese, è quello di Björn Larsson. Raccontando la sua “vera storia” mi ha fatto innamorare

Ti piace ancora giocare a nascondino nel bosco e fare progetti strampalati?

Se rispondo di sì mi gioco la carriera?



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Intervista a cura di Mattia Nesto

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