di Giorgia Lepore
E/O, 2015
pp. 198
€ 16
C’era bisogno di un nuovo ispettore nella letteratura italiana? Che cosa dobbiamo ancora scoprire di così torbido? In effetti, la società, non un modello di specchiata trasparenza, offre materiale in abbondanza ma, insomma, siamo un paese levantino, almeno per una bella fetta, quindi perché sorprenderci. Dal Levante che più Levante non si può, ecco Giorgia Lepore, la nuova firma noir di E/O, una casa editrice che, bisogna dirlo, raramente sbaglia un colpo.
Giorgia è di Martina Franca, valle d’Itria, e ha fatto l’archeologa. Sarà per questo che a lei piace scavare. Pure adesso che, lasciata la scopetta, ha deciso di cimentarsi con la scrittura. L’esordio è stato “L’abitudine al sangue”, pubblicato da Fazi nel 2009, la storia di un giovane rampollo della corte bizantina avviato dal padre, l’imperatore romano d’oriente, alla carriera militare quando la sua vocazione era tutt’altra.
Questo cortocircuito tra genitori e figli, che oscilla tra morbosità e continui abbandoni, già emerso con la precedente opera, è l’asse portante della nuova dove il protagonista, l’ispettore di polizia Gregorio Esposito, detto Gerri, è l’elemento contraddittorio del romanzo stesso. Intanto, essendo l’ispettore, a lui viene assegnato il caso, pur con i dovuti distinguo, e fin qui il discorso torna. Ma quello che contraddice, appunto, il canone tradizionale, è che Esposito svierà il lettore dall’indagine stessa, finendo per attrarlo verso un’indagine altra che ha per oggetto lui in persona. Un vero depistaggio.
Partiamo dal nome: Gregorio Esposito richiama inevitabilmente una precisa origine. Cos’è d’altronde il titolo del libro se non la traslitterazione in italiano di un famoso proverbio partenopeo? Ma Giorgia è stata archeologa e va seguita nello scavo. C’è la storia di un prete di strada che ha raccolto un bimbo abbandonato e questo bimbo abbandonato ha dei tratti somatici che… sì, possono essere napoletani ma affondano ancora più in profondità. Sono tratti nomadi. Chissà qual è l’origine di Gerri, il suo vero nome, come ha fatto a entrare in polizia. Va letto il noir per scoprirlo.
Dal presente fatto di ragazze uccise vicino al mare, tante, troppe, da destare il sospetto di una perversa catena e di un unico omicida, si genera un universo parallelo: il passato del protagonista. L’indagine da fare, in questo romanzo di esordio di Gerri, a cui ne seguiranno altri – il secondo con ambientazione nel Gargano misterioso – dovrà essere indirizzata verso una serie di relazioni declinate in modo scomposto, prive di radici, a partire da quella madre-figlio.
Ci prova Lavinia a entrare in questi trascorsi scorbutici, una ragazza minorenne figlia di un senatore in carriera, di sinistra, o almeno così si definisce questo tipo. Un modo sottile, da parte di Giorgia, di dirci come l’assimilazione di canoni comportamentali, ma direi perfino estetici, omologa le elite al di là di aspetti nominalistici. Lavinia potrebbe avere tutto e invece non ha nulla, neppure un briciolo di rapporto con i genitori, specie con il padre. La sua esuberante sfacciataggine cattura Gerri e lo sollecita in un gioco pericolosissimo: al di là delle pallottole che rischiano di uccidere, c’è in ballo il sentimento più profondo, quello che potrebbe imporre di fare i conti con le mancanze e i complessi che derivano dalla propria vicenda, ma che con Lavinia rischia di imboccare la deriva di un’incoscienza inammissibile.
Tutto questo è vissuto come un rincorrersi di pensieri, di situazioni che si riaffacciano, di dubbi evanescenti: la materia di cui sono fatti i sogni, che nella testa di Gerri la fanno da padrone. Un brodo primordiale che circola e si ricicla, fatto di creature e passaggi che non lasciano in pace neanche se dormi. Soprattutto quando dormi. Non a caso, il libro si apre con un’autentica carrellata di incubi. Gli incubi di Gerri e gli incubi di altri personaggi. Angosce oppressive che, pensandoci bene, sono l’incipit più adeguato per chi vuole confrontarsi con il noir e, perché no, inventarsi un nuovo ispettore. Se lo legge Tiziano Sclavi ci trova materiale per Dylan Dog. Alla prossima.
Marco Caneschi